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50 anni dal Referendum abrogativo del divorzio:
12-13 maggio 1974


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1974-2024: cinquant’anni dal referendum sul divorzio
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Verso una legge per il divorzio

Nel corso degli anni ‘60 la struttura della famiglia si modifica, come la società tutta: aumentano le separazioni legali e gli annullamenti di matrimoni da parte della Sacra Rota, e si infittisce la discussione sul divorzio, come testimonia la rubrica “Lettere di separati” del settimanale “Abc”, che dà voce alle difficoltà di questo status in Italia. La rivendicazione di una riforma della famiglia si struttura sempre di più, finché il primo ottobre ’65 il socialista Loris Fortuna presenta il progetto di legge sul divorzio alla Camera e, a dicembre dello stesso anno, nasce la Lega italiana per l’istituzione del divorzio (Lid) ‒ un’associazione politica aperta promossa dal Partito radicale che apre alla partecipazione di tutti i cittadini che vogliono portare avanti la battaglia per il divorzio.

Già la costituzione della Lid è indicativa del clima di fermento: è una novità per l’Italia che venga sollecitata la partecipazione dei privati per premere sul governo e superare la divisione dei partiti. Aumenta, man mano, la consapevolezza che si sta attraversando un momento di rottura con il mondo conservatore e che si debba guardare da vicino alle trasformazioni che già si attestano nella società: il Partito radicale e il Partito socialista sono sempre più convinti che una legge sul divorzio sia necessaria, quantomeno per essere fedeli all’elettorato e alle sue esigenze.

I processi di emancipazione della donna vanno avanti, di pari passo a una sua più corposa partecipazione al mondo del lavoro che, sebbene nasca più che altro dalle necessità di assumere delle industrie, influisce inevitabilmente sulla struttura della famiglia e sul ruolo della donna nella società.

Il terreno di scontro

Dopo che, nell’ottobre 1968, la proposta di legge Fortuna viene accorpata a quella presentata dal liberale Antonio Baslini ‒ che ridimensiona la prima, allungando i tempi necessari all’emissione della sentenza di divorzio ‒, nel corso del 1969 si apre ufficialmente un terreno di scontro sull’approvazione della legge: da un lato i divorzisti che rivendicano il riconoscimento dei processi di secolarizzazione in corso, e dall’altro la Democrazia cristiana ‒ sostenuta da Cei e Vaticano ‒ secondo cui le persone non vogliono il divorzio, che sarebbe il punto di rottura di una diga morale, e rappresenta dunque il fallimento della società.

Con l’intensificarsi del dibattito, emergono anche le differenze di veduta interne alla Chiesa e a tutto il mondo cattolico, dal quale si levano alcune voci di sostegno al divorzio, che contrappongono all’autorità della Chiesa la libertà di coscienza e chiedono che la libertà religiosa rinunci a imporre la sua morale sulla legge, che è di fatto profana. Uno dei primi casi di dissenso interno al mondo religioso riguarda don Giulio Girardi, che promuove il dialogo con il mondo non credente, e viene allontanato dall’Ateneo Pontificio Salesiano.

La legge 890

Qualche giorno prima che la legge Fortuna-Baslini venga discussa alla Camera, Nilde Iotti rivolge alla Camera un discorso, divenuto storico, che condensa le ragioni per cui la legge è un atto civile dovuto: la coscienza morale e la natura della famiglia sono già mutate, e anzi il divorzio rafforza il sentimento ‒ che non può essere dovuto ‒ e tutela il valore del matrimonio. Le conseguenze di mantenere l’unione a ogni costo sono gravissime: una famiglia in cui regnano violenza e indifferenza distrugge le persone. Meno di una settimana dopo, all’alba del 1° dicembre 1970, si conclude la seduta del Parlamento più lunga di sempre, che va avanti dalla mattina prima: con 319 voti a favore e 286 contrari, il divorzio è la legge 890 dello Stato italiano.

La battaglia del referendum abrogativo

Contemporaneamente all’annuncio della stampa della legge 890, però, viene diffuso «Il messaggio dei 25», un appello di esponenti del mondo cattolico al popolo, per la raccolta di 500.000 firme necessarie per chiedere un referendum abrogativo della legge Fortuna-Baslini. E la battaglia ricomincia.
Il Partito comunista inizialmente vuole evitare uno scontro diretto, per non radicalizzare la lotta politica, e si adopera per tentare un dialogo, disposto a ridimensionare il provvedimento per trovare un accordo. La Democrazia cristiana, invece, deve gestire le pressioni di Chiesa e Cei, che però non vogliono portare avanti la campagna referendaria per evitare una sconfitta, e il partito stesso vorrebbe essere più cauto, per eludere i danni conseguenti all’abbandono della via moderata.
Il divorzio non è una questione isolata, ma diventa la cartina di tornasole dei processi di secolarizzazione in atto e della spinta al cambiamento da parte della società. Per esempio si parla di aborto, di libertà personale della donna, dell’utilizzo della pillola contraccettiva ‒ legalizzata in Francia nel ’71 ‒ e il sistema vigente di censura del visibile, che aveva reso possibile un’intensa stagione di sequestri cinematografici, si esaurisce.

Intanto, l’appello dei 25 ha raccolto 1.370.134 firme e il referendum, inizialmente previsto nel ‘72 e rinviato a causa delle elezioni anticipate, viene fissato per il ‘74.
Sostengono il «no» all’abrogazione della legge Partito socialista, comunista, radicale e gli altri partiti laici; lo schieramento antidivorzista invece è composto dalla Dc di Amintore Fanfani e dal partito neofascista di Giorgio Almirante, Movimento sociale italiano (Msi). Più si avvicina il referendum, però, e più aumentano i cattolici che si espongono a favore della legge, sostenendo che imporre l’indissolubilità del matrimonio ai non credenti è una forma di violenza.

La radicalizzazione della lotta

Il clima di tensione sale e procede verso una radicalizzazione della lotta, in cui diventano fondamentali le modalità di comunicazione della campagna referendaria.

Per convincere l’elettorato, la Democrazia cristiana punta molto sul sentimento passionale e sulla paura di peccare, facendo leva su quelle che reputa possibili conseguenze di un clima di lassismo fomentato dal divorzio, con affermazioni quali “vostra moglie vi lascerà per scappare con una ragazzina”.
Il Movimento sociale italiano, similmente, insiste sulla concatenazione di divorzio, diffusione delle droghe e pratiche abortive.Agli argomenti degli antidivorzisti se ne aggiunge un altro: dire sì al divorzio è dire sì «ai Rossi».
Il fronte divorzista, oltre alle posizioni già evidenziate, rimarca la collaborazione tra Dc e Msi come segno delle mire autoritarie di Fanfani e di quanto il clericalismo sia nocivo per il progresso dell’Italia, e per le condizioni dei cittadini, sotto il segno di un’intolleranza ideologica; di chi è la sovranità in materia familiare, uno degli aspetti fondamentali della vita pubblica: dello Stato, o della Chiesa?

Gli italiani scelgono il divorzio

Alle 22.41 del 13 maggio 1974 il ministro dc dell’Interno, Taviani, legge in diretta i risultati del referendum: con un affluenza dell’88,1%, oltre 19 milioni di italiani ‒ il 59,1%  ‒ hanno votato NO all’abrogazione della legge Fortuna-Baslini.
L’appello che la Dc e la Chiesa hanno rivolto al popolo aveva come presupposto una società italiana che aveva già cessato di esistere.

La campagna per il referendum ha mostrato che i processi di secolarizzazione hanno coinvolto anche il mondo cattolico: essere cattolici, ormai, non significa necessariamente compiere scelte automatiche, ancor di più per quanto concerne la vita politica, in cui i processi di chiarificazione sono inarrestabili e non riguardano più una nicchia di persone, ma i cattolici tutti. Come commentò il radicale Mammì, “c’è da chiedere scusa al popolo italiano per non averlo considerato maturo per quanto effettivamente è”.

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