Cosa e perché
Il primo sciopero climatico globale del 15 marzo 2019 segna l’inizio simbolico di un’onda verde che ha terremotato la politica europea. A cinque anni da quella giornata, i movimenti climatici affrontano una fase complessa in cui il calo di partecipazione si somma alla repressione governativa e alle mobilitazioni anti-ecologiste. Ciononostante, l’attivismo climatico rimane un componente fondamentale delle nostre società, in continua evoluzione e contaminazione con altre lotte sociali.
La ribellione di Greta e il caso italiano
La più importante ondata di ecologismo contemporaneo nasce dalla ribellione individuale di una quindicenne con la sindrome di Asperger: Greta Thunberg. Nell’estate del 2018 le foreste svedesi vengono devastate da una serie di incendi dovuti alla siccità e alle temperature record legate a doppio filo alla crisi climatica. Il 20 agosto 2018 Greta decide di saltare la scuola e di protestare davanti al parlamento del suo paese con un cartello che proclama lo “Skolstrejk för klimatet”, lo sciopero scolastico per il clima. La sua richiesta è semplice: la politica svedese deve ridurre le emissioni di gas serra in conformità con l’Accordo di Parigi del 2015. La protesta di Greta diventa in breve tempo contagiosa in tutti i continenti. Nasce così Fridays for Future: tuttora il più importante movimento per la giustizia climatica.
Il primo sciopero italiano per il clima avviene il 30 novembre 2018 a Pisa, da un’idea di Bruno Fracasso, allora studente di biologia e attivista di Greenpeace. Da quella protesta nasce il primo gruppo locale di Fridays for Future in Italia a cui seguono decine di altri, soprattutto grazie a reti studentesche, centri sociali e associazioni. In breve tempo, Fridays for Future Italia si afferma come una delle sezioni nazionali più forti del movimento.
Scioperare per il clima
La vicenda eccezionale di Greta Thunberg la rende in breve tempo una celebrità internazionale mentre il movimento si prepara per un cambiamento di scala: il primo sciopero climatico globale del 15 marzo 2019. Secondo le stime del movimento, in quel giorno 2,3 milioni di persone scendono in strada in 131 paesi e 2350 città. In Italia vengono conteggiate oltre 500,000 persone, con un ruolo guida giocato da Milano (140,000). Al di là delle cifre difficilmente verificabili, le foto e i ricordi di quel giorno testimoniano un afflusso di persone imponente e con pochi precedenti all’interno delle lotte ecologiste. Come si afferma nel primo comunicato stampa del movimento, la richieste è quella di “affrontare la crisi climatica come una crisi” e di farlo secondo il principio di giustizia climatica. Sono ancora i primissimi ragionamenti di un pensiero politico che diverrà nel tempo più radicale, complesso e orientato alla proposizione di una transizione ecologica giusta, unendo apporti del femminismo intersezionale, dell’ecologia politica, della decrescita felice, dell’eco-socialismo e del pensiero decoloniale.
Il 15 marzo 2019 spazza via il mito della passività politica delle nuove generazioni e innesca una proliferazione di attivismo incarnato da altri tre scioperi globali che in Italia raggiungono un picco il 27 settembre 2019, con oltre 1 milione di persone mobilitate, con il record stabilito nuovamente da Milano (220,000). In contemporanea, il movimento Extinction Rebellion porta avanti blocchi stradali e interruzioni di eventi pubblici, anche se in Italia questo tipo di disobbedienza civile esploderà soprattutto nel 2021 con la campagna, poi convertita in movimento, Ultima Generazione.
L’esplosione della mobilitazione ecologista del 2019 si deve senza dubbio alla figura eccezionale di Greta Thunberg, erta a portavoce di una generazione nata e cresciuta tra molteplici crisi, ma anche alla specificità dello sciopero climatico. Si tratta di una forma di disobbedienza civile profondamente innovativa che Greta Thunberg importa dagli studenti e dalle studentesse della scuola Marjory Stoneman Douglas di Parkland che lo mettono in pratica nel 2019 per protestare contro l’ennesima strage da armi da fuoco. La chiave del successo dello sciopero climatico è, a mio parere, la possibilità di coniugare lo sfogo di una generazione che si sente abbandonata e precaria al piacere derivante dal poter sperimentare e approfondire nuove forme di socialità, emozioni, sentimenti e scopi di vita all’interno di un grande rituale collettivo al di fuori delle parete scolastiche. La dimensione libidinale delle lotte è infatti un fondamentale elemento motivazionale ed è sinergica con le motivazioni più politiche.
L’impatto dell’onda verde
Le mobilitazioni ecologiste del 2019 moltiplicano i consensi per i partiti verdi in paesi come Germania, Austria, Irlanda, Francia, Belgio e Paesi Bassi, portando il gruppo del parlamento europeo “I Verdi/Alleanza Libera Europea” a conquistare 75 seggi nelle elezioni di maggio, un record storico anche se comunque inferiore rispetto ai risultati di popolari, socialisti e liberali. Nel Sud Europa, invece, non si verifica nessun boom del voto ecologista. In Italia, nonostante la sezione italiana di Fridays for Future si affermi come una delle più forti a livello mondiale, le urne premiano la Lega di Matteo Salvini con oltre il 28% dei voti mentre Europa Verde rimane fuori dal Parlamento Europeo.
A settembre, il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Lorenzo Fioramonti del governo giallo-rosso di Giuseppe Conte invita i presidi a giustificare il terzo sciopero climatico del 27 settembre 2019, spingendo enormemente la partecipazione. Poco dopo, il governo firma il cosiddetto Decreto Clima, un atto normativo molto deludente ma il segno del riconoscimento della legittimità politica di Fridays for Future e delle sue rivendicazioni. A fine 2019, invece, la nuova Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen presenta una delle sue priorità: il Green Deal, l’ambizioso (ma anche criticato) piano per la transizione ecologica dell’Unione Europea che deve moltissimo alle mobilitazioni di Fridays for Future. Nel frattempo, il segretario generale dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) afferma che le mobilitazioni climatiche sono “forse la più grande minaccia per la nostra industria in futuro“.
Nonostante un certo grado di greenwashing e opportunismo politico, il 2019 sembra chiudersi con una forte speranza rispetto alla possibilità di produrre uno stravolgimento in senso ecologista sul piano politico, sociale e culturale, anche grazie al supporto dell’opinione pubblica. Secondo un sondaggio condotto nel dicembre 2019, Fridays for Future conta con un appoggio del 76% che sale all’87% tra giovani di età 14-24 anni.
Nel periodo successivo, i partiti verdi sono andati al potere in vari paesi e ci rimangono tuttora in Austria, Belgio, Germania e Irlanda, anche se con un notevole calo dei consensi, mentre gli Stati Uniti guidati da Joe Biden hanno avviato investimenti senza precedenti nella transizione ecologica, anche se con enormi contraddizioni.
Le nuove frontiere della lotta climatica
A partire dal 2020, l’attivismo ecologista è stato invece scosso da una pandemia e dalla repressione governativa mentre le mobilitazioni anti-ecologiste riconducibili al nazional-populismo e a una parte del settore agrario hanno iniziato a condizionare in maniera pesante i partiti di centro-destra che fanno riferimento al Partito Popolare Europeo.
A cinque anni dal 15 marzo 2019, gli scioperi climatici continuano e sono ancora lo strumento più coinvolgente per la popolazione giovanile anche se i numeri e l’impatto non sono più quelli di un tempo. Di conseguenza, l’attivismo climatico ha sempre più bisogno di reinventarsi tramite nuove tattiche e convergenze con altre lotte sociali. Esempi interessanti non mancano: la mobilitazione operaia-ecologista attorno alla vicenda dell’ex fabbrica GKN di Campi Bisenzio, gli sciopero congiunti tra Fridays for Future e sindacati dei trasporti in Germania, i 35 blocchi stradali attuati da migliaia di persone sull’autostrada A12 nei Paesi Bassi o le cause giudiziarie promosse contro Stati e multinazionali. Il climattivismo è arrivato per restare e le nostre società ne sono necessariamente condizionate.
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Quindici tappe che ci aiutano a comprendere come si è evoluto l’attivismo ambientale dal 1962 ai giorni nostri.
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Le radici storiche
Documenti dal patrimonio archivistico bibliografico della Fondazione Feltrinelli. Fonti storiche utili a leggere il nostro presente.
Ramparts
l’editoriale del numero speciale di Ramparts dedicato all’ecologia del maggio 1970, dove si problematizzano le iniziative come l’Earth Day in quanto iniziative istituzionali e quindi si discute sull’impossibilità di disgiungere le mobilitazioni per il clima da quelle per i diritti civili e contro la guerra. Si parla quindi di diverse modalità di protesta e mobilitazione per il clima.
Win Magazine
L’articolo di uno dei primi gruppi ecologisti americani – Ecology Action (tutt’ora esistente) – che raccontano chi sono, cosa fanno e perché, pubblicato sullo speciale ecologia di Win. Peace and freedom through nonviolent action del 1969.
Per saperne di più
Una selezione tra le ultime acquisizioni del patrimonio librario di Fondazione Feltrinelli: vieni a leggere in sala lettura!
Per uno sguardo più generale e contestualizzato nel tempo e nello spazio:
Jeremy L. Caradonna,
Sustainability. A History, Oxford University Press Inc, New York 2014
Collocazione: Cult.Usa.02.770
Per conoscere meglio i movimenti protagonisti della lotta per il clima:
Greta Thunberg,
Nessuno è troppo piccolo per fare la differenza, Mondadori, Milano 2019
Collocazione: S.t.24,31
Per conoscere meglio i territori:
Paola Imperatore, Territori in lotta. Capitalismo globale e giustizia ambientale nell’era della crisi climatica, Meltemi, Milano 2023
Altri protagonisti della lotta per il clima:
Extinction Rebellion, Questa non è un’esercitazione. Una guida, Mondadori, Milano 2020
Collocazione: Sg.ing.02.409
Su Extinction Rebellion:
Rupert Read, Samuel Alexander, Extinction Rebellion. Insights from the Inside, Simplicity Institute, Westerville (Ohio – USA) 2020
Collocazione: F.ing.02.423