“Le città sono irrevocabilmente spacciate? I problemi portati dal capitalismo, dal cambiamento climatico e da una crescente precarizzazione del lavoro, hanno danneggiato la nostra abilità di guarire le città fratturate? In poche parole: le città hanno ancora senso?”.
Sono le parole con cui Nancy Holman, professoressa alla London School of Economics, ha aperto lo scorso anno la rassegna Broken Cities 2022. Quattro giorni in cui ci siamo interrogati sulle risposte alternative alle maggiori sfide delle città rispetto a crisi climatica, disuguaglianze sociali e digitalizzazione.
Forse no, le città un senso non ce l’hanno, se è vero che da una settimana, tra testate online e social media, si rincorre la vicenda di Giuseppina Giuliano, l’operatrice scolastica che farebbe ogni giorno la pendolare tra Napoli e Milano perché l’abbonamento del treno è meno costoso di una casa in affitto.
Che sia una bufala o meno, c’è una verità con cui dobbiamo fare i conti: quella storia è verosimile perché è sintomatica delle dinamiche espulsive sempre più radicate che portano persone, lavoratori, gruppi sociali sempre più ai margini delle città.
Milano, metropoli globale in crescita grazie agli investimenti esteri nell’immobiliare, è l’esempio lampante di queste spinte centrifughe. Secondo le rilevazioni Tecnocasa, i costi per accedere a un’abitazione sono cresciuti del 39% in soli cinque anni; è per questo che un nucleo familiare che può contare su due stipendi di 1.600 euro al mese riesce a malapena a far fronte alle spese di base.
A Roma i nuclei familiari in graduatoria per l’accesso a una casa popolare sono 13 mila. Nel 2021 ne sono state assegnate circa cinquanta: per smaltire i numeri di oggi servirebbero duecentosessanta anni. È una questione che abbiamo esplorato con una video-inchiesta a cura di Daniele Napolitano nelle giornate di Broken Cities.
Le forme della povertà: la povertà abitativa
Ma parlare di povertà abitativa significa prendere in esame questioni più ampie e complesse dell’accessibilità o del possesso del bene “casa”. La discussione generata dal workshop Le forme della povertà: la povertà abitativa ha mostrato come la povertà abitativa sia connessa al contesto, ai servizi pubblici che esso offre, alla possibilità di creare legami sociali.
Non si tratta solo di una questione strutturale ma di un prisma interrelati di fenomeni che va dal basso livello dei salari rispetto al costo della vita alle variabili connesse al mercato immobiliare connesse alla gentrification.
Lo spiega bene Giampaolo Nuvolati, professore ordinario di sociologia urbana all’Università Milano-Bicocca, in questa testimonianza audio, raccolta in occasione del workshop.
È una questione che torna nelle riflessioni con cui Silvia Cafora, architetto e dottoranda presso il Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, apre il volume Abitare alternativo, modelli in azione. Housing collaborativo, accessibile e inclusivo in Europa.
“Nelle nostre società mature caratterizzate da frammentazione sociale, mancanza di accesso ai circuiti di socializzazione e da un generale impoverimento si creano nuovi bisogni specifici per l’abitare”.
Bisogni che spingono in direzione di una declinazione più comunitaria e accessibile dell’housing, che alle logiche speculative della finanziarizzazione e dell’accumulazione del patrimonio edilizio opponga modelli abitativi di stampo cooperativo, a base comunitaria, in grado di innescare inclusione sociale.
Se ne è discusso anche nel workshop Politiche abitative e proposte innovative di housing.
Una carrellata tra alcuni casi italiani – come Trento, Bologna, Reggio Emilia– che valorizzano progetti di abitare comunitario, scambiando competenze e saperi con città europee.
E se ne discute appunto nel volume Abitare alternativo che offre un atlante di casi europei, tra Barcellona, Zurigo e Bruxelles.
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