Il 26 settembre 1960 andò in onda il primo dibattito televisivo tra i candidati alla presidenza degli Stati Uniti, quello tra Nixon, allora vicepresidente degli Stati Uniti, e il senatore Kennedy. Il risultato di quell’elezione cruciale è noto, e quel dibattito si è trasformato nel corso degli anni in una sorta di «mito fondativo» per quanto riguarda alcune dinamiche comunicative, diventate in seguito parte integrante dello scenario politico e mediale.
Infatti, la storia vuole che la schiacciante differenza tra i due candidati e la superiorità della performance di Kennedy non fosse stata percepita da chi ascoltò il dibattito via radio, al contrario di quelli che videro il dibattito alla televisione. Kennedy aveva un aspetto migliore, si trovava più a suo agio nel parlare davanti alle telecamere, e ciò ha portato infine alla sua vittoria: questa la narrazione sul dibattito di quella sera, divenuta ormai senso comune.
Ma, senso comune a parte (quella sugli effetti dei media su opinioni e atteggiamenti politici è una delle domande a cui gli studiosi di comunicazione cercano di dare risposta da più di cinquant’anni), possiamo trarre alcune riflessioni a 56 anni da quell’episodio. Quel giorno, infatti, si presentavano in nuce alcuni fattori che avrebbero accompagnato l’evoluzione della comunicazione politica dei decenni successivi.
Il primo è senza dubbio l’importanza dell’immagine del candidato politico. Da quel giorno cambia la percezione da parte degli attori politici stessi della propria fisicità. Il candidato diventa, prima di tutto, una persona, che l’occhio della telecamera può e deve analizzare. Il sociologo J.B. Thompson in un fondamentale testo del 1995, The Media and Modernity. A Social Theory of the Media tratta proprio di questa«trasformazione della visibilità». Nell’era dei media elettronici i politici sono più visibili, cioè visibili da un maggior numero di persone. Anche se sappiamo che la loro è una visibilità «controllata», mediata (nel caso della televisione, per esempio, nei tempi e nelle inquadrature) dall’emittente televisivo.
Contemporaneamente, cambia la percezione dei cittadini riguardo ai politici. Se i politici sono diventati (o tornati a essere, come direbbe Bernard Manin) delle persone, allora possiamo affermare che da lì parte quel processo di «desacralizzazione» della politica per cui i suoi attori e riti non sono più circondati da un’aura di sacralità: sono persone come noi. La televisione contribuisce a questo fenomeno, amplificato oggi dalla continua narrazione di sé che i politici danno sui social network: la politica, i politici e i loro corpi diventano «pop».
Quel giorno, inoltre, la comunicazione «diretta» diventa la modalità di relazione tra candidato e cittadino:i candidati, i loro volti insieme alle loro parole, entrano nelle case della gente. Ma di nuovo, per quanto possa sembrare(e in parte sia) un appello diretto, si tratta in realtà di una comunicazione molto mediata e strutturata. Ancora oggi la comunicazione diretta sembra essere il tratto distintivo della comunicazione politica, anche se attraverso mezzi nuovi: Facebook e Twitter sono gli strumenti con cui i leader politici creano una relazione (apparentemente) diretta e personale con i loro follower.
Immagine e immediatezza sono dunque i due «miti fondativi» del primo dibattito presidenziale, caratteristiche ormai assodate della comunicazione politica, inglobate e adattate all’odierno panorama mediale «ibrido». Infatti,mentre il dibattito (scientifico e non) si focalizza ormai sugli effetti dei nuovi media sulle campagne elettorali, osserviamo che la centralità del mezzo televisivo sembra non essere stata ancora scalzata. E così, a esattamente 56 anni di distanza, attendiamo con ansia di commentare su Twitter il primo dibattito presidenziale di questa campagna elettorale.
Approfondimenti
La sera del 26 settembre del 1960 circa settanta milioni di americani si sintonizzarono sull’emittente CBS e assistettero al primo dibattito fra candidati alla Casa Bianca trasmesso in diretta televisiva. I due contendenti erano il senatore democratico John Fitzgerald Kennedy e Richard Nixon, repubblicano, all’epoca vicepresidente degli Stati Uniti. Erano chiamati a rispondere alle domande di quattro fra i più importanti giornalisti del paese, mentre un quinto faceva da moderatore. Guarda il documentario: