Dovrebbe farsi promotrice di pace e politiche sociali. L’Europa di Von der Leyen sembra invece tornare al passato
La seconda vittoria di Trump apre una fase inedita nella storia dell’Occidente e del mondo. Anche in virtù dell’alleanza con Musk, si va saldando un potere nuovo – a un tempo politico, economico, tecnologico, militare e culturale – la cui forza (almeno teorica) non ha precedenti nella storia.
Tutto questo mette in una posizione ancora più difficile l’Unione europea. Negli ultimi anni il rallentamento economico, l’incapacità di riformarsi, le vistose crepe di forma e sostanza nelle strutture della democrazia liberale (aumento dell’astensione, attacchi alla separazione dei poteri, scarsa considerazione del voto dei cittadini) e, non ultimo, il modo contraddittorio e improvvisato con cui è stata gestita la guerra in Ucraina (dapprima sanzioni parziali, graduali e facilmente aggirabili; quindi una postura bellicistica nonostante la situazione militare fosse a uno stallo e nonostante non venissero dati all’Ucraina aiuti sufficienti) ne avevano già accentuato la crisi interna e palesato il declino geopolitico. A maggior ragione adesso, si rende necessario, con urgenza, un radicale cambio di politiche e di prospettiva.
Innanzitutto perché la competizione protezionistica fra i grandi blocchi è destinata a farsi più intensa. Questo renderà il modello economico tedesco fondato sulle esportazioni e il contenimento dei costi interni, peraltro già stagnante, ancora più anacronistico. L’Europa avrà bisogno di rilanciare i propri consumi, cosa difficilmente compatibile con le politiche economiche restrittive, fedeli all’equilibrio di bilancio, seguite finora. Secondo, per via delle nuove sfide geopolitiche: o l’Europa troverà maggiore unità e con essa le forze per impostare una strategia autonoma (a partire dall’infrastruttura delle telecomunicazioni e delle informazioni, oggi dipendente dagli Usa), oppure i suoi Paesi andranno, in ordine sparso, a rimorchio del nuovo potere insediatosi in quello che è ancora il più forte Paese del mondo (e l’Italia di Meloni si candida, forse nell’intero Occidente, a fare da apripista).
In questo scenario, è evidente come la strada presa dalla nuova Commissione europea vada in direzione contraria a quanto auspicato. Lo spostamento a destra è netto, grave, con un ridimensionamento dei Verdi e dei Socialisti, a vantaggio dei Popolari e di figure collocate ancora più a destra (che fanno capo ai governi italiano e ungherese). A preoccupare sono soprattutto la politica economica e la transizione energetica, affidate a falchi dell’austerità; ma anche la difesa e la politica estera, affidate a sostenitori della linea dura che rischiano di trovarsi a breve senza più il sostegno Usa; e le politiche migratorie, poste su un crinale di sconcertante violazione dei diritti umani fondamentali.
Approfondiamo però la sfera economica. Sul piano interno, l’Unione ha sempre avuto bisogno, e ne avrà ancora di più adesso, di impostare politiche espansive, fondate su un rilancio degli investimenti pubblici a favore dell’ambiente, dell’innovazione e dei diritti sociali (in linea con quanto si era cominciato a fare con il Pnrr). Viste le scelte dei nuovi commissari nei portafogli chiave, questo però diventerà impossibile e il Pnrr sarà presto un ricordo, una parentesi eccezionale. Così come diventerà impossibile procedere verso un assetto finalmente federale, che superi il diritto di veto dei singoli Stati: per farlo occorre l’unanimità che, realisticamente, non verrà raggiunta né a breve né a medio termine. Anche però soltanto la via delle cooperazioni rafforzate, ad esempio fra i quattro stati principali (Germania, Francia, Italia e Spagna), sembra preclusa: innanzitutto per l’opposizione dell’Italia sovranista, ma probabilmente anche per l’ostilità della Francia e, a breve, c’è il rischio, della Germania.
Su scala globale, l’Europa dovrebbe inoltre svolgere il ruolo di motore di pace e dialogo fra le potenze e, al tempo, di esempio e baluardo dei diritti umani (intesi in senso lato: libertà civili e politiche ma anche diritti sociali). In questo quadro, avrebbe tutto il vantaggio a proporre un diverso ordine economico globale che salvi la libertà di commercio ma regoli la finanza, i movimenti speculativi di capitale e le concentrazioni di potere tecno-informatico e, in questo modo, serva anche a promuovere efficaci politiche per l’ambiente. Anche questa prospettiva oggi però sembra una chimera, là dove gli indirizzi della nuova Commissione ripropongono l’ossessione securitaria e nazionalista e appaiono agli antipodi di qualsiasi idea di governo dell’economia, redistribuzione dei poteri e della ricchezza, riforma della finanza e della tassazione, green deal.
Tutte le forze progressiste (Socialisti, Sinistra e Verdi) dovrebbero coerentemente opporsi allo scenario che si sta delineando. E devono proporre un’idea di Europa alternativa, fondata sulla speranza al posto della paura e sui diritti al posto della chiusura. Devono proporre una riforma dell’Europa, che superi il diritto di veto dei governi nazionali e dia maggiore potere al Parlamento, democraticamente eletto, da cui per esempio devono discendere anche le nomine della Commissione (adesso invece derivano in sostanza da accordi fra i governi). Un’Europa federale che possa quindi mettere in campo politiche espansive (attraverso una base fiscale progressiva comune a tutti i paesi e un debito comune), volte a finanziare politiche sociali, ambientali e per l’innovazione, volte a ridurre le disuguaglianze e a rafforzare la democrazia. Questa è l’unica strada affinché il modello europeo torni a sostenere la prosperità e i diritti.
Un’Unione di questo tipo, profondamente riformata e molto più ambiziosa, avrebbe anche l’opportunità di giocare nel mondo il ruolo che le compete: fautore di pace e di cooperazione. Si tratta di un obiettivo realistico? Sicuramente, è l’obiettivo su cui impegnarsi nella battaglia politica, nel tempo che stiamo vivendo. L’altra strada, quelle che propongono le destre nazionaliste e su cui si accodano i liberal-conservatori, conduce invece all’impoverimento, al declino e all’irrilevanza. Proprio come sta avvenendo.
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