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Cinquanta e dimostrarli: la guerra in Vietnam, chi ha vinto, chi ha perso


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Vietnam: la memoria della guerra e le lezioni del dopoguerra

 

Non so cosa associ una persona che cammina a Milano quando si trova, all’angolo tra Via Pietro Maroncelli e Viale Pasubio la targa che ricorda che Ho Chi Minh “frequentò questa casa durante le sue missioni internazionali negli anni ’30 in difesa della libertà dei popoli”. E poi mi chiedo: Qual è la percentuale di coloro che associano quel nome a un paese – il Vietnam – in termini di scene, ricordi, immagini? Anche per questo, credo non sia fuori luogo, cinquant’anni dopo da quel 30 aprile 1975, «fare il punto».

 

La targa di Ho Chi Minh, visitabile in Viale Pasubio
Targa dedicata ad Ho Chi Minh visitabile a Milano

La data che cambiò il Vietnam

30 aprile 1975, i vietcong e le truppe dell’esercito del Vietnam del Nord entrano a Saigon (oggi Ho Chi Minh City). Dopo trenta anni di guerra il paese, prima diviso tra un Nord comunista e un Sud filo-occidentale, diventa uno. Se diciamo Vietnam che cosa ci viene in mente oggi? E ci viene in mente la stessa cosa di mezzo secolo fa? Cominciamo da mezzo secolo fa. Se la prima immagine scena che abbiamo in mente sono le urla del 16 marzo 1968 (massacro di Mỹ Lai) allora il 30 aprile 1975 ci apparirà come la fine di un incubo. Se invece, ciò che abbiamo di fronte è l’evacuazione americana da Saigon la sensazione è quella della crisi irreversibile del modello capitalistico. Il futuro non poteva che essere comunista, all’alba dell’1 maggio 1975 (le pagine dell’edizione del quotidiano “Libération” del 2 maggio 1975, quelle del “Guardian” o quelle di “The Militant” sono eloquenti). Ci sono anche altre cose che accompagnano quella scena. Sono i ritratti degli eroi del riscatto assunto come la sfida del futuro al presente. Ha osservato Hobsbawm nel suo Il secolo breve che la scena del riscatto della guerriglia nel Terzo Mondo tra la seconda metà degli anni ’50 e la metà degli anni ’70 indicava due aspetti. Per la precisione:
1) l’influsso nell’immaginario collettivo di un libro come I dannati della terra di Franz Fanon che assume l’elogio della violenza come “forma di liberazione spirituale” per gli oppressi;
2) dall’altra l’idea che una nuova generazione fosse all’orizzonte, anche se non era solo una questione d’età: Fidel ha 32 anni il giorno in cui entra a l’Havana, Ho Chi Minh ne ha 79 quando muore (il 2 settembre 1969) e tuttavia nessuno lo avverte come un «grande vecchio» (ma su questo vale anche soprattutto il profilo che propone Andrea Ruggeri in queste pagine) pur appartenendo generazionalmente a un mondo sia comunista (Stalin, Chruščëv, Tito, Mao) sia capitalista (Adenauer, De Gaulle, Franco, Churchill), sia postcoloniale (Gandhi, Nehru, Sukarno) dominato da uomini (soprattutto nessuna donna in primo piano) dell’ultimo quarto del XIX secolo

Rivoluzione e liberazione

Sono le scene e le immagini che oggi, fine aprile 2025 associamo a quella data? Non credo. Soprattutto in questo caso non è solo la distanza temporale ad aver creato una nuova memoria, ma sono i fatti che accadono dopo quella data ad aver contribuito a costruire una memoria molto diversa. Liberarsi, all’indomani del 30 aprile 1975 non coincide più con il fascino del comunismo. Insieme la categoria di «dannato» assume una caratteristica di rivendicazione ossessiva di imprimere una punizione esemplare all’avversario e sempre meno si identifica con la battaglia per un’emancipazione di tutti. Quella lotta di liberazione e quella battaglia per la libertà e l’affermazione del diritto individuale, e di gruppo non sembrano più identificarsi con quella data. Saigon, 30 aprile 1975 sembra l’ultima scena vincente di un inganno da cui è augurabile prendere congedo. Una utopia di libertà e di liberazione trasformata in distopia e alla fine in un incubo.

 

articolo che raffigura la liberazione del Vietnam
Articolo di Guardian del 7 maggio 1945 che raffigura la liberazione del Vietnam

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30 aprile 1975… e poi?

È sufficiente richiamare la galleria di scene che contribuiscono a quella metamorfosi e che accompagnano il dopo «30 aprile 1975»: la Cambogia degli Khmer rossi; la incapacità di riformarsi dell’esperienza polacca dopo la parentesi di Solidarnosc tra l’agosto 1979 e il dicembre 1980; il crollo del comunismo in URSS; la trasformazione della Cina in oligarchia dei tecnici, il fondamentalismo teologico come nuovo codice di chi si accredita come rivoluzionario, la progressiva, ma anche rapida, eclisse delle voci inquiete e non conformiste in quei paesi del “terzo mondo” che chiedono riscatto. Tornare a riconsiderare quei giorni di fine aprile 1975, dunque, non è tanto o solo ripensare a quali percorsi alternativi avrebbero potuto darsi o fermare il tempo. Prima di tutto è un’opportunità per comprendere il nostro tempo e le sue sfide seguendo l’invito proposto da Ernst Bloch nel suo Il principio speranza. Insieme si tratta di maturare una diversa coscienza pubblica sulla e della storia attuale che fa proprio il paradigma di Tucidide: compito dello storico e operazione culturale che deve caratterizzare la sua funzione pubblica (e più in generale quella dell’intellettuale) è capire e promuovere l’interesse e la passione a interrogare il presente, più che accumulare prove. Una delle forme possibili di questo impegno consiste nello sforzarsi di leggere i problemi del passato alla luce e in conseguenza di un presente carico di inquietudini più che di speranze, senza ricette già pronte o riutilizzabili dal passato, ma consapevoli della necessità di ripensare percorsi possibili di futuro. E allora perché interrogarsi sul 30 aprile 1975? Se quella data genera problemi, perché non lasciare che il tempo passi e che lentamente quella memoria sfumi? In altre parole: Perché semplicemente non archiviarla? In un tempo in cui il futuro sembra eclissarsi, e al suo posto sembra affermarsi un «presente eterno», o difficilmente modificabile, non si tratta di evitare di darsi appuntamenti alle date che fanno problema. Alla rovescia si tratta di assumerle come una sfida per aver la forza e la pazienza di provare, a dare un volto nuovo al futuro e renderlo possibile.

David Bidussa

Ho Chi Minh durante un incontro con altri esponenti politici
Ho Chi Minh durante un incontro con altri esponenti politici

 

Ho Chi Minh: una sfida ancora aperta per il sud globale

Contrasti

Senza il gelo invernale,
senza il lutto e la morte
chi apprezzerebbe nel suo splendore
la primavera?
Il caso mi ha rimesso
in grembo alla malasorte
crogiolo per temprarmi
lo spirito ed il cuore.

Ho Chi Minh, 1941-1942

Chi era davvero Ho Chi Minh

La lotta politica fu per Ho Chi Minh un elemento centrale e costante: prima contro i francesi, poi contro i giapponesi e infine contro gli americani. Figura tra le più influenti della sua epoca in Asia – e non solo – la sua azione politica diretta, conclusasi con la morte nel 1969, trovò compimento nel 1975 con l’unificazione del Vietnam. Morì nel ventiquattresimo anniversario del suo celebre discorso del 1945, che segnò una nuova era per il paese. Incarnò il sogno di libertà del popolo vietnamita, diventando un’icona globale. Affascina il modo in cui diversi aspetti della sua vita, spesso contrastanti, confluirono nella figura che personificò il Vietnam. Pur figlio di un mandarino, non seguì un percorso tradizionale. Abbracciò il marxismo, ma il suo obiettivo primario fu la liberazione dal dominio straniero. Nazionalista o internazionalista? Accettò il razzismo di certi alleati europei pur di combattere l’imperialismo? Divenne comunista solo dopo aver cercato, invano, l’appoggio degli Stati Uniti per una liberazione non comunista? Questi dilemmi riflettono un’identità in continuo mutamento. Rivoluzionario di professione, visse in esilio, cambiando più volte nome: da Nguyen Sinh Cung a Ho Chi Minh (“Colui che illumina”). La poesia “Contrasti”, scritta in prigionia dopo l’arresto perpetrato dal Kuomintang nel 1941, riflette le tensioni della sua figura.

 

Articolo di Libération del 2 maggio 1945 che raffigura la liberazione del Vietnam
Articolo di Libération del 2 maggio 1945 che raffigura la liberazione del Vietnam

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Rivoluzione e liberazione 

Ho Chi Minh non fu solo un teorico della rivoluzione, ma un leader che la incarnò. La sua fuga dal Vietnam nel 1911, lavorando come mozzo di bordo, segnò l’inizio di un percorso rivoluzionario. Il suo ritorno in Vietnam nel 1941, dopo anni di esilio e studio, fu il preludio alla fondazione del Viet Minh, un movimento di resistenza che combatté sia l’occupazione giapponese che il dominio coloniale francese. La proclamazione dell’indipendenza del Vietnam nel 1945, con la celebre citazione Jeffersoniana “Tutti gli uomini sono creati uguali”, rifletteva la sua visione di una nazione libera e sovrana. La vittoria di Dien Bien Phu nel 1954, sotto la sua guida, fu un trionfo simbolico della lotta di liberazione nazionale. La tensione tra la liberazione dal dominio imperialista e la rivoluzione – intesa come capovolgimento dell’ordine sociale e politico di un paese – creò una rottura con gli Stati Uniti. Tuttavia i tentativi di Ho Chi Minh di chiedere aiuto agli americani per una liberazione non rivoluzionaria e non comunista furono molteplici, ma chiaramente vani.

 

striscione dell'esercito che recita "lunga vita a Ho Chi Minh"
Striscione dell’esercito che recita “lunga vita a Ho Chi Minh”

Nazionalismo e internazionalismo

Ho Chi Minh dimostrò una straordinaria capacità di coniugare il nazionalismo vietnamita con l’internazionalismo comunista. La sua adesione al Partito Comunista Francese nel 1920 e i suoi anni di formazione in Unione Sovietica testimoniano il suo impegno nel movimento comunista internazionale. Tuttavia, il suo obiettivo primario rimase sempre la liberazione del Vietnam. La sua capacità di mobilitare il sostegno internazionale, sia dai paesi comunisti che dai movimenti di liberazione nazionale, fu cruciale per il successo della sua lotta. Oggi internazionalismo e nazionalismo sembrano opposti in termini di valori e azioni politiche. Tuttavia, in alcuni momenti storici la solidarietà internazionalista ebbe un ruolo fondamentale per i movimenti nazionali di liberazione. E Ho Chi Minh appare l’incarnazione di questa antinomia.

Locale e globale

La vita di Ho Chi Minh è un esempio lampante di come il locale e il globale si intreccino. La sua lotta per l’indipendenza del Vietnam fu profondamente radicata nelle specifiche condizioni coloniali del paese, ma fu anche influenzata dalle tendenze globali dell’anticolonialismo e del comunismo. La guerra del Vietnam, in particolare, divenne un teatro della Guerra Fredda, con gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica che sostenevano le fazioni opposte. La capacità di Ho Chi Minh di navigare in queste dinamiche globali, mantenendo al contempo un forte focus sugli interessi nazionali del Vietnam, fu una testimonianza della sua abilità politica. Nato in un piccolo villaggio, la sua carriera lo portò a vivere in vari paesi, come Inghilterra, Francia, Russia e Cina, dove fu anche un agente del Comintern, svolgendo il suo ruolo sotto il comando di Mosca. Il locale divenne globale, ma anche il globale, nei momenti più critici del conflitto in Vietnam, divenne locale.

 

Foto di Ho Chi Minh congresso del Partito socialista di Tours (dove il partito comunista francese è stata fondata)
Foto di Ho Chi Minh congresso del Partito socialista di Tours (dove il partito comunista francese è stato fondato)

Colonialismo e antimperialismo

L’esperienza personale di discriminazione e oppressione
sotto il dominio coloniale francese plasmò profondamente la sua visione politica. La sua analisi dell’imperialismo come sistema globale, che sfruttava le colonie per arricchire le potenze occidentali, fu fondamentale per la sua strategia rivoluzionaria. La sua leadership nella lotta contro i francesi e gli americani fece di lui un simbolo della resistenza anticoloniale in tutto il mondo. Il suo antimperialismo era una componente fondamentale della sua ideologia. È importante ricordare come molti (possibili) alleati socialisti e comunisti europei non furono in grado di capire e supportare le richieste anticolonialiste e antiimperialiste di Ho Chi Minh.

Solidarietà e razzismo

Ho Chi Minh cercò attivamente la solidarietà dei movimenti comunisti internazionali e di altri movimenti di liberazione nazionale. La sua partecipazione a conferenze e incontri internazionali, come il Congresso dei Popoli Orientali a Baku nel 1920, dimostra il suo impegno nel costruire alleanze transnazionali. Tuttavia, dovette anche affrontare le realtà del razzismo e della discriminazione, sia all’interno dei movimenti comunisti che nella società occidentale. La sua capacità di superare queste sfide e di costruire ponti tra culture diverse fu cruciale per il successo della sua lotta, una sfida ancora aperta per il sud globale.

 

Ho Chi Minh con un gruppo di bambini, simbolo del suo legame con le giovani generazioni vietnamite
Ho Chi Minh con un gruppo di bambini, simbolo del suo legame con le giovani generazioni vietnamite

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