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L’antiretorica di Matteotti.

Un anno di dominazione fascista (1924)


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Il “metodo Matteotti”

L’antiretorica è ciò che caratterizzò sempre il “metodo Matteotti” nel suo fare politica; un metodo incisivamente sintetizzato da Oddino Morgari nel 1930 quando ricordava che «era un analizzatore e un documentatore, specie rara in Italia […] passava ore e ore nella Biblioteca della Camera a sfogliare libri, relazioni, statistiche, da cui attingeva i dati che gli occorrevano per lottare, con la parola e con la penna»; era insomma «un odiatore della demagogia»; della demagogia fascista certamente, ma anche di quella «dei nostri», puntualizzava il socialista Morgari.

Considerazioni simili le aveva già fatte Piero Gobetti nel suo breve articolo Ho conosciuto Matteotti, pubblicato su “La Rivoluzione Liberale” del 7 giugno 1924, quando ebbe modo di sottolineare come Matteotti «anche col fascismo volesse far questione di dati e di documenti». Tale «questione» si concretizzò in quello che è probabilmente lo scritto più noto di Matteotti, ossia Un anno di dominazione fascista, redatto alla fine del ’23 e uscito agli inizi di febbraio dell’anno seguente.

Si tratta di un opuscolo di 91 pagine la cui copertina non riportava alcun riferimento al suo autore riproducendo l’indice del volume; come unica informazione si poteva leggere: «Numeri, fatti e documenti raccolti a cura della società statistica della segreteria del Partito Socialista Unitario». Ogni pagina risultava divisa in doppia colonna, e il pamphlet era strutturato su 3 parti di ineguale lunghezza. All’inizio si trovava una brevissima prefazione di 12 righe in cui Matteotti spiegava la metodologia oggettiva del suo lavoro, ossia puntualizzava come la sua indagine si fosse basata su «numeri, fatti e documenti» – e non pertanto su mere polemiche ideologiche – con lo scopo di dimostrare «come nell’anno fascista, l’arbitrio si è sostituito alla legge, lo Stato asservito alla fazione, e divisa la Nazione in due ordini, dominatori e sudditi».

La situazione economica e finanziaria

La prima parte risultava la più breve, constava infatti di sole 7 pagine in cui veniva analizzata la Situazione economica e finanziaria, per citare la sua intitolazione: erano illustrati l’andamento dei cambi, la bilancia commerciale, la circolazione bancaria, i depositi e i risparmi, i prezzi, i fallimenti per documentare, conti alla mano, come il governo fascista non avesse migliorato la situazione economica dell’Italia; non si stava certamente vivendo quel «miracolo fascista» spacciato dalla propaganda mussoliniana. Su profitti e salari Matteotti dimostrava come i primi fossero cresciuti e i secondi diminuiti; e come fosse aumentata la disoccupazione, anche a fronte di una sostanziale crescita dell’emigrazione. Il debito pubblico si era fatto inoltre più pesante; mentre le imposte gravavano principalmente sui consumi, e quindi colpivano indiscriminatamente i cittadini italiani qualunque fosse la loro condizione sociale ed economica: «la conclusione – incalzava Matteotti – è che l’attuale regime non ha portato alcun straordinario miglioramento nel complesso nazionale dell’economia».

Atti del governo fascista

Nella seconda parte, Atti del governo fascista che si snodava lungo 28 pagine, Matteotti denunciava in prima battuta lo smodato utilizzo della prerogativa dei Decreti-legge, compiuto dal fascismo, elencandoli e rimarcando appunto che «nessun governo ha fatto tanto e deplorevole abuso dei Decreti-legge, quanto il Governo fascista». In queste pagine l’autore si dedicava a confrontare in modo minuzioso il «programma fascista» del ‘19 con i «fatti» una volta prese le redini del governo, notando come questi fatti si rivelassero in perfetta opposizione a quanto affermato solo qualche anno prima: ad esempio, la promessa nominatività dei titoli era stata abolita dal governo in modo da poterli sottrarre «a qualsiasi tassazione e controllo»; era stata cancellata in parte anche la confisca dei profitti di guerra; erano state ridotte sensibilmente le tasse sui capitali e sui beni di lusso, e con questi provvedimenti – notava amaramente l’autore – «lo Stato ha rinunziato a 200 milioni annui pagati dai cittadini più abbienti, e alla possibilità di arrivare con più rigorosi accertamenti almeno a 400 milioni necessari per il pareggio di bilancio». Inoltre i fascisti avevano rinnegato la loro primigenia visione economica «tendenzialmente liberista» – ricordava Matteotti – tramite una mano pubblica che si era dimostrata amica dei forti come comprovavano il salvataggio dell’Ansaldo e altri sussidi e favoritismi concessi a diverse imprese private. Al contrario, per quello che riguardava le politiche operaie, Matteotti denunciava il grave peggioramento delle condizioni dei lavoratori sotto ogni aspetto: retributivo, di orario, di associazione. Inoltre erano aumentati i licenziamenti, in particolare nelle Ferrovie, nelle Poste, nei settori dei lavori pubblici in generale.

Per quello che riguardava la giustizia, l’autore faceva notare come fossero stati amnistiati tutti quei reati che erano stati compiuti «per fini nazionali», ossia erano state condonate solamente le violenze fasciste; ciò significava, incalzava Matteotti, che «lo Stato è asservito al Partito». Infatti, la Milizia fascista rimaneva organo di partito, però pagato dallo Stato (e quindi dai contribuenti italiani) per compiti repressivi nei confronti dei dissidenti; il Gran Consiglio fascista aveva praticamente sostituito il consiglio dei ministri; la Direzione del Partito ingeriva pesantemente nella pubblica amministrazione; la nuova legge elettorale – la legge Acerbo – era stata fatta per assicurare una maggioranza schiacciante, e ben poco democratica, dei parlamentari fascisti nel prossimo parlamento. Infine, al termine di questa seconda parte, seguiva il minuzioso elenco di quasi 500 amministrazioni locali sciolte arbitrariamente dal governo per sole motivazioni politiche; infatti programmaticamente, concludeva Matteotti, «il governo fascista intende […] distruggere ogni autonomia locale, e accentra tutto nelle autorità governative».

La cronaca dei fatti

La terza parte è la più estesa – sono infatti 55 pagine – e sicuramente la più famosa. Risulta a sua volta suddivisa in 4 paragrafi; nel primo Le parole dei capi… vengono citate buona parte delle minacce di Mussolini e di altri esponenti fascisti rivolte alle opposizioni a cui segue il successivo paragrafo …La cronaca dei fatti in cui sono riportati gli atti di violenza commessi come diretta conseguenza delle minacce; si tratta di ben 39 pagine dove risultano descritte a mo’ di diario, quindi giorno per giorno, tutte le azioni compiute, con un particolare approfondimento alla cosiddetta Conquista di Molinella (si tratta del terzo paragrafo) da parte fascista. Nello scritto La dittatura fascista in Italia Gaetano Salvemini andò a contare gli episodi riportati da Matteotti per sottolineare come vi figurassero «più di 2.000 casi di assassini, ferimenti di maggiore o minore entità, bastonature, somministrazione forzata di olio di ricino, decreti di messa al bando, sequestri di giornale, devastazione di abitazioni e uffici, ecc.»

Nel quarto paragrafo di questa ultima parte, Matteotti aveva ragionato su’ La Libertà di stampa conculcata dai fascisti, denunciando come tramite censure, intimidazioni e violenze i fascisti impedissero la libera circolazione di giornali a loro sgraditi. L’ultima di queste violenze documentate contro il giornalismo d’opposizione era datata 10 dicembre 1923, e si riferiva alla devastazione della redazione milanese de’ “La Giustizia”.

Antiretorica, carattere e azione

L’«antiretorica», assieme al «carattere» e all’«azione», fu una delle qualità matteottiane esaltate da Carlo Rosselli nel famoso ritratto – Un eroe tutto prosa – che dedicò al deputato polesano nell’occasione del decennale della morte. E la rilettura dell’Anno di dominazione fascista ci restituisce appunto un Matteotti, che privilegiava una metodologia empirica ad una ideologica, ossia un politico che «quando affermava, provava», per riprendere ancora le parole di Rosselli.

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