Articoli e inchieste

Il tempo fermo dell’Europa

Le strade verso l’identità europea non hanno mai portato al sogno della “società aperta”

 

 


Tempo di lettura: minuti

L’Europa ha un’identità?

Nel 1935 lo storico Marc Bloch invitava a riflettere sui “Problemi d’Europa”, a partire dagli atti di un convegno che si tiene a Roma nel novembre 1932, promosso dalla reale Accademia d’Italia dal titolo “L’Europa”.

Qualsiasi sia la strada che scegliamo parlare di identità – e quindi anche di identità europea – rischia di assumere le vesti di una «mistica» espressa secondo due figure: la prima afferente al «patrimonio» che si eredita – ovvero le figure della grecità, romanità e cristianità; la seconda riferita al tema dell’«altro da sé», ciò che viene classificato come estraneo, nemico, invasore.

Nella storia della ricerca del significato la somma di questi due percorsi non ha mai dato luogo al sogno della «società aperta». Le emozioni, le convinzioni e le opinioni che oggi caratterizzano il nostro tempo presente lo confermano.

Nelle voci che segnano i punti fermi di ciò che viene indicato come «essenza e missione» dell’Europa stanno alcuni elementi che ancora marcano profondamente il nostro linguaggio.
Per esempio: l’Europa come unità geografica, tema in cui la questione degli intellettuali e della loro decadenza si lega direttamente a un drastico ridimensionamento della funzione civilizzatrice dell’Europa.

In discussione è così la geografia e il suo uso pubblico come visualizzazione della propria identità storica. In altre parole, la convinzione che l’Europa è tale solo all’interno del paradigma cattolico, altrimenti non è.
Oppure il fascino verso le culture orientali da parte degli intellettuali e delle correnti moderne interpretato come il sintomo di una sostanziale rinuncia dell’Europa alla sua vocazione imperiale. Più precisamente un tradimento della propria identità.

Ciò che si afferma in quella sede e in quell’occasione è un’idea di Europa quale per molti aspetti continuerà a mantenersi nella riflessione culturale anche di coloro che si dichiareranno europeisti in questo secondo dopoguerra.
Secondo quella visione l’Europa non vive in una condizione instabile in conseguenza della sua economia, ma della perdita della sua supremazia. Una condizione in cui l’Europa aveva rischiato di vivere nel conflitto che l’aveva opposta all’Islam tra VII e XII secolo ma che con la battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571) era stata definitivamente stroncata e che ora si ripresenta.

L’aspetto strutturale della crisi è comprensibile e misurabile se si svolge e si fissa un concetto di Europa come «civiltà», laddove con questo termine si intende non un insieme di simboli o di culture, ma una funzione egemonica esercitata attraverso lo sviluppo materiale sulla base di un controllo esercitato con la forza.
1932: novantadue anni fa.
Oggi non è diverso. Ancora dire civiltà europea non significa descriverla, ma proporla come superiore a qualsiasi altra.

 

_____________

Articolo tratto da

Leggi la Newsletter 

La Fondazione ti consiglia

Restiamo in contatto