Socialismo fascista di Pierre Drieu La Rochelle è un testo che esce nel 1934, ma che è tornato spesso come un luogo di identità nelle destre europee del secondo dopoguerra. Quel testo – una confessione in pubblico della propria indisponibilità a mediare – è stato un atto di fedeltà, la presa in carico del testimone da parte ai nuovi inquieti in cerca di risposte a destra. Ovvero degli anticonformisti di destra. Testo che vive «nuova vita» a partire dagli anni ’70, in Italia, non meno che altrove. Soprattutto quando si tratta di rivendicare orgogliosamente di «essere minoranza» e di essere irreducibilmente antisistema.
In Compagni di solitudine, Stenio Solinas ha descritto quella che era la libreria di un giovane di destra negli anni della guerra fredda nel tempo in cui sentiva il fascismo della destra della prima metà del ‘900. Drieu La Rochelle (1893-1945) apre le danze di quel lungo elenco. In quell’elenco Solinas ricorda molte cose, gli inizi, nelle pagine de Lo stato civile, e la fine del suo diario tra ottobre 1944 e la morte (15 marzo 1945). Per tutti le ultime righe di quel diario, quando scrive “abbiamo giocato, e io ho perduto. Esigo la morte”.
Al di là della scrittura narrativa due sono i testi essenziali di Drieu: il primo è Notes pour comprendre le siècle, pubblicato nel 1941, nei scritto in parte nei mesi della “strana guerra” (1939-1940) e completato nel dicembre 1940, quando la Francia è crollata, Drieu schierato dalla parte dell’occupante tedesco prende in mano le sorti de “La Nouvelle Revue Française”; il secondo è Socialisme fasciste, con cui pubblicamente si schiera con la destra estrema. Siamo alla fine del 1934. Quel testo segna un tempo, ma anche fissa un linguaggio.
“Un libro che non pretende di scavare nel profondo dell’uomo, ma che si spinge fino agli estremi della nostra epoca”. Così nel n. 29 del mensile “Esprit”. nel febbraio 1935, si esprime il filosofo Brice Parain a proposito di Socialisme fasciste, la raccolta di saggi che Pierre Drieu La Rochelle (1893-1945) pubblica per Gallimard nell’autunno 1934.
Brice Parain, del resto, non è estraneo ai sentimenti di Drieu – pochi mesi prima aveva pubblicato per Grasset Essai sur la misère humaine una resa dei conti con il suo periodo di militanza comunista.
Socialisme fasciste arriva in libreria nel novembre 1934, ed è contemporaneamente il bilancio di un intellettuale che fino a quel momento ha avuto varie opinioni sul futuro dell’Europa, e che si è dichiarato a favore di una Europa non nazionalista, ma fortemente contrapposta sia al fascino dell’America, sia alla tentazione comunista. Un’Europa, che deve trovare un suo ruolo internazionale, e che non può solo limitarsi a fare da arbitro tecnico in un mondo senza un ordine (questo è il senso della cristica che nel 1928 Drieu aveva condensato nel suo saggio Genéve ou Moscou, dove criticava radicalmente la capacità della Società delle Nazioni di saper governare e stabilire un equilibrio mondiale.
Descrivendo las ua parabola politica e culturale nel1934 nelle pagine conclusive di Socialisme fasciste, scrive a proposito di Genève ou Moscou:
“…mi valse molta silenziosa diffidenza a destra e a sinistra. In questo libro, infatti, analizzavo e denunciavo il mito del proletariato, e nello stesso tempo mostravo il nazionalismo non più come una fatalità ma come pericoloso arzigogolamento intorno ad un fatto un tempo vitale, ma allora divenuto sterile, una sequela di parole che spingevano di nuovo alla guerra – alla guerra divenuta per l’Europa uno spaventoso flagello. Progettai un patriottismo europeo su tre massime ardite: necessità di superare l’inaridimento spirituale delle patrie, necessità di creare una vasta autarchia economica a misura del continente, necessità di evitare il suicidio per asfissia” [Socialisme fasciste, p. 224].
Da allora tuttavia Drieu è cambiato.
In mezzo c’è la crisi della Francia, c’è una scrittura disincantata come La comédie de Charleroi, dove Drieu fa i conti con la retorica perbenista dei caduto di guerra e con le delusioni di chi in guerra è andato e non vede riconosciuto il suo sacrificio, ma soprattutto si è incontrato con le passioni che animano le strade di Francia quelle che portano le leghe della destra a tentare l’assalto al parlamento il 6 febbraio 1934 in nome di una nuova Francia, ma anche di una Europa che vuol trovare nuove fondamenta, comunque che è in rotta definitiva con l’equilibrio decretato a Versailles.
Socialisme fasciste, risponde a molte aspettative di un lettore che sia in cerca di argomenti per sostenere la sua non sopportabilità della Terza Repubblica (nel linguaggio di ora: l’ordine politico esistente) Libro che si divide in varie parti. Tre sono importanti per comprendere la rilevanza politica nel momento in cui esce, ma anche il tempo del ritorno del libro in libreria (in Italia avviene nel 1973; alcuni estratti significativi stanno nell’antologia che Cinabrio ha mandato in libreria alcuni mesi fa con il titolo Fascismo, socialismo, Europa): il confronto che stabilisce tra Marx e Nietzsche dando l’aura della politica del futuro al secondo; la valutazione del conflitto politico in Francia schierandosi dalla parte della estrema destra che vuole la caduta della Terza Repubblica; il profilo che descrive del suo percorso culturale prima ancora che politico.
Il primo elemento sta nella insistenza della rivolta che ora si carica di significati diversi rispetto al conflitto borghesia-proletariato, per assumere la dimensione della scontentezza del ceto medio. Su quel piano Drieu misura l’insufficienza della proposta marxista e si mette in linea con quanti – De Man per primo – sottolinea la nascita di un “quinto Statio” rappresentato dai ceti medi scontenti[Socialisme fasciste, pp. 31-53].
Ma il futuro, sottolinea Drieu non vede protagoniste classi che sostituiscono classi, ma élite che scalzano élite. Per questo non c’è differenza tra dominio del comunismo a Mosca, del fascismo in Italia o del nazismo in Germania. Una classe non può esercitare la dittatura, scrive Drieu. Solo un gruppo di agitatori può farlo [Socialisme fasciste, pp 60-62].
Ne discende che Marx dimostra il suo fallimento rispetto a Nietzsche, soprattutto al Nietzsche di La volontà di potenza. Dunque il futuro è di chi si candida a governare il malessere, consapevole della necessità di rottura.
Consideriamo il secondo fattore. Dalle giornate di mobilitazione contro gli scandali, e in favore di un regime autoritario, dopo gli scontri di piazza del 6 febbraio 1934 a Parigi e il tentativo di assalto alla Camera dei deputati, dice Drieu sono emerse due destre: una tradizionalista, di tipo monarchico, e una invece che cresce nelle periferie, molto più radicale. Così anche la risposta data dalla sinistra, il 12 febbraio 1934 in nome delle libertà repubblicane e contro le destre. Tutte e due le piazze di destra e di sinistra soffrono di una egemonia di chi vuole ripristinare l’ordine mentre le forze nuove – a destra i radicali delle leghe fasciste, a sinistra le forze che vogliono il rovesciamento e non la difesa dell’ordine – sono destinate a soccombere se non si produce una nuova forza che ricalca il modello politico che ha trionfato come antidemocrazia: a Roma, a Berlino, a Varsavia, a Mosca. Occorre un partito, scrive Drieu e quel partito non può che essere contemporaneamente nazionale e socialista. [Socialisme fasciste, p. 96]. Così scrive nel marzo 1934. Un aspetto che Mario Michele Merlino sottolinea e valorizza nella presentazione alla raccolta di scritti di Drieu La Rochelle, proposta recentemente da Cinabrio, quando così descrive il 6 febbraio 1934: “ dimostranti dei movimenti nazionali e giovani comunisti si fronteggiano contro la polizia e, per una magico istante, sembrano essere due onde del medesimo mare contro il governo di vecchi ipocriti corrotto” [p. 7].
Quattro mesi dopo, nei giorni in cui socialisti e comunisti firmano il patto d’unità d’azione (27 luglio 1934) e creano il primo embrione del fronte popolare, Drieu compie il passaggio definitivo.
“A sinistra – scrive – non sanno qual è il suo obiettivo. Dicono: «Il fascismo è l’ultimo baluardo del capitalismo, è un altro trionfo del capitalismo». E invece no. A Berlino e a Roma, come a Mosca, ci si trova di fronte a una reazione molto più schietta, come nessuno aveva più sognato dai tempi di Joseph de Maistre: la reazione pura e semplice. Ed anche come nessuno aveva più sognato dai tempi della lotta fra Chiesa e Impero, poiché ci si trova di fronte a una teocrazia pura in cui il temporale e lo spirituale finalmente si fondono. È la grande reazione già conosciuta dalla Roma imperiale. E tuttavia io la voglio. La libertà è sfinita, l’uomo deve ritemprarsi nelle sue più oscure profondità. Sono io a dirlo – io, l’intellettuale, l’eterno libertario [Socialisme fasciste, p.102; i corsivi sono miei].
E conclude:
“Questo è il nostro strano dovere, di noi che siamo uomini, i migliori fra gli uomini. Non ci batteremo per la dittatura del proletariato, né per una dittatura di destra. Noi, piccoli borghesi, operai scelti, accorti contadini, borghesi che hanno il senso della responsabilità, noi non ci batteremo per i capitalisti patrioti che ci spogliano dei nostri beni. Non ci batteremo per i comunisti che vivono come gesuiti, come papisti, sul mistero di ordini che vengono da lontano e che non osano confessare cinicamente che cos’è la dittatura della Ghepeu. Non ci batteremo neppure per difendere patrie che non hanno più bisogno di essere difese, che sono immortali – con armi che ci odiano. Non ci batteremo per questo o per quello. Ci batteremo contro tutti: ecco il senso del fascismo” [Socialisme fasciste, p.114; i corsivi sono miei].
È il profilo che consegna nelle pagine di chiusura in cui ripercorre il senso della sua biografia e delle sue scelte in pubblico tra guerra e dopoguerra e che intitola «Itinerario» [Socialisme fasciste, pp. 219-245]
Da quel profilo Drieu non si distacca ed è il profilo che ogni volta, soprattutto a partire dagli anni ’70, che qualcuno ha ripreso in mano le pagine di Drieu la Rochelle è stato privilegiato come “eredità”, o come fedeltà. Una consegna del testimone.