Articoli e inchieste

Divergenze e convergenze storiche
dei sindacati francesi


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Francia paese d’immigrazione

L’attuale situazione sociale in Francia e in tutta Europa è caratterizzata da un problema che colpisce al cuore la sinistra politica e sindacale. Le ineguaglianze, l’attacco al welfare, la degradazione della condizione urbana e periferica, la precarietà sono diffusi fra tutti i lavoratori e le lavoratrici ma spesso rispetto a questa comune condizione prevale una percezione di sé che privilegia la dimensione comunitaria e corporativa. I riferimenti decoloniali prevalgono spesso sui ponti che la sinistra dovrebbe creare sottolineando gli elementi di condivisione rispetto a riferimenti internazionali spesso soprattutto immaginati.

Non è certamente la prima volta che la Francia, paese d’immigrazione da almeno due secoli, affronta questi problemi. Nella prima metà del ‘900, fra le due guerre, la percentuale di immigrati sulla popolazione passò da circa il 3,7% nel ’21 al 6,6% nel ’31 e si trattava quasi esclusivamente di lavoratori e di operai. La Cgtu, come ha ricordato lo storico Michel Pigenet, negli anni Trenta dedicò a questi lavoratori un’attenzione organizzativa importante.

Classe contro classe

Dopo gli anni Venti in cui si confrontò con il tentativo di allargare la propria base con prestazioni mutualistiche e servizi, la Cgtu fu investita dagli effetti della linea “classe contro classe” decisa dall’Internazionale Comunista.

La Cgtu accusava la Cgt e la sua “politica di presenza”. L’accusava di cercare protezione per i lavoratori francesi nelle iniziative legislative, di essere un sindacato giallo (cioè collaborazionista) e di privilegiare i lavoratori autoctoni come risposta alla disoccupazione che investì il mercato del lavoro dopo il 1930. La Cgtu dedicò ai lavoratori stranieri 12 Comitati intersindacali nazionali rivolti a 12 gruppi di lingua e si impegnò anche a rivolgere un’attenzione specifica ai lavoratori coloniali. La legge del ’32, varata da un governo liberal-radicale, sulla limitazione della manodopera nazionale fu un momento di grave tensione a questo proposito: infatti la Cgt non si oppose, il partito socialista Sfio, Sezione francese dell’Internazionale operaia, aveva presentato, nel ‘31 una proposta che non venne discussa: limitazione transitoria degli ingressi, proporzione del 10% ma salario minimo comune a tutti i lavoratori francesi e stranieri. Solo il gruppo parlamentare comunista si oppose vigorosamente all’espulsione dei lavoratori stranieri.

Si trattò dunque di una contrapposizione fra Cgtu e Cgt radicata in aspetti sostanziali delle rispettive politiche.

Almeno fino al 1934, la polemica e la “concorrenza” fra le due confederazioni proseguivano quelle che avevano provocato la scissione della Cgtu formalizzata nel 1922. Un tema centrale era quello della scelta della Cgt di chiedere l’arbitrato se possibile per prevenire i conflitti, di adottare – supremo insulto – l’“interesse generale”. Invece la Cgtu chiedeva la mediazione finale dopo gli scioperi, soprattutto da parte dei poteri locali. La Cgt – secondo le accuse della Cgtu, non del tutto prive di riscontri reali – riteneva di avere sostegni diversi dall’unità d’azione dei lavoratori, negli organismi di partecipazione paritaria e nei dispositivi di legge.

A partire dal ‘31/32 quando anche in Francia si fanno sentire gli effetti della crisi del ’29, anche la Cgt ricomincia a organizzare scioperi nei settori più diversi dalle miniere fino alle industrie tessili e alla moda. Constatiamo gli effetti della “concorrenza” fra organizzazioni ad esempio nelle regioni minerarie, anche per l’organizzazione (il controllo?) dei lavoratori stranieri in settori e territori dove questi ultimi erano così numerosi da decidere le sorti di una mobilitazione. L’effetto di questa contrapposizione era rischioso e abbiamo molte tracce di cooperazione “dal basso” alle agitazioni indette dagli uni e dagli altri ma anche di difficoltà a coordinare le due direzioni in particolare nella delicata questione delle casse di resistenza, uno dei punti deboli della Cgtu oltre alla volatilità degli iscritti che rendeva la Cgtu, nelle preoccupazioni e persino nelle dichiarazioni dei suoi stessi dirigenti, un “syndicat passoire”. La Cgtu non riusciva spesso a “capitalizzare” queste mobilitazioni – per il salario, il rispetto degli orari, le condizioni di lavoro, i cottimi – in termini di iscritti. La Cgt esponeva assai meno alle rappresaglie imprenditoriali e disponeva di casse di resistenza più consistenti.

Cgtu-Cgt: Un avvicinamento difficile

L’ampia documentazione che possediamo ci attesta sia la spinta all’unità sia la sua critica: molti dirigenti definiscono questa spinta “sentimentale” (un insulto non meno grave dell’ “interesse generale”) e grandi polemiche agitano anche la minoranza interna della Cgtu contraria alla dipendenza da scelte di partito.

Il mutamento di linea del ’34 con l’avvicinamento fra socialisti e comunisti sarebbe stato molto difficile senza decisioni internazionali. Ma per quel che riguarda il sindacato le intensissime discussioni sia federali sia confederali rivelano sollievo per i vantaggi evidenti dal punto di vista rivendicativo che l’unità consentiva nonostante contraddizioni derivanti dagli strascichi di contrapposizioni che implicavano insulti personali, scontri difficili da superare nell’immediato. Ciò che si può leggere sulla Révolution prolétarienne, la rivista sindacale unitaria fondata nel 1925 è interessante soprattutto quando la rivista ci informa di scioperi e rivendicazioni condivise e di federazioni che restano o diventano autonome dalle confederazioni.

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Tratta dal patrimonio di Fondazione G. Feltrinelli

A partire dal 1934 la Cgt adottò una versione sindacale del “piano del lavoro”, allora in discussione presso i partiti socialisti. Si trattava, per la Cgt, di utilizzare la direzione pubblica dell’economia per contrastare gli effetti della crisi. La razionalizzazione, che la Cgtu denunciava da tempo per i suoi effetti sulla salute dei lavoratori e su quello che restava del “mestiere”, causava un forte aumento della produttività senza nessun aumento dei salari e dunque delle possibilità di consumo delle masse.

Bisognava ridurre la disoccupazione, ma la Cgt non aveva partecipato e ancor meno preso posizione nel dibattito accanito che aveva contrapposto la Sfio e i neosocialisti. Aveva progettato una campagna intorno al suo piano proponendo degli Stati generali del Lavoro (come aveva proposto un Consiglio economico del lavoro nel suo programma minimo). Invece la diffidenza verso una qualsiasi estensione dei poteri dello Stato in ambito economico prima della presa del potere da parte del partito della classe operaia resterà un aspetto molto legato alla cultura della Cgtu, anche dopo l’unificazione del 1936. Anche la Cgtu iniziò a porsi il problema di non limitarsi all’opposizione innanzitutto contro il finanziamento misto delle assicurazioni sociali, un modo per affrontare un tema che fino ad allora era proprio al centro di aspri contenziosi. Il confronto con l’ intervento dello stato nell’economia entrerà tuttavia nella cultura della Cgt solo con il Conseil national de la Résistance.

La Cgtu e la Cgt si riunificano con il congresso di Toulouse all’inizio del ’36.

Statuts adoptés par le congrès d’unité de Toulouse en mars 1936
Biblioteca della Fondazione G. Feltrinelli
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Ma all’interno della nuova Cgt sopravvivono correnti distinte e talvolta contrapposte. Esse emergeranno nella successiva grave crisi che investirà la società francese con particolare virulenza, quella del patto “di non aggressione” Molotov Ribbentrop [agosto 1939] a partire dalla quale molti dirigenti e militanti della Cgt e dei partiti politici di sinistra seguono percorsi divergenti che talvolta non sono coerenti con le posizioni assunte negli anni della “normale” conflittualità economico-sociale.

Si tratta comunque di esperienze dense di risonanze con le crisi che stiamo vivendo.

Le Populaire, 29 gennaio 1936,
Archivio Angelo Tasca, serie Documenti – Francia
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