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Con la satira non si scherza più


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Nel 1978 il primo numero della fortunata (e spesso indigesta) rivista Il Male pubblicava in copertina un vaso da notte con le facce di Enrico Berlinguer, Giulio Andreotti e Ugo La Malfa. Titolo: La misura è colma. Autore: Giuseppe Zaccaria, in arte Pino Zac. Erano gli anni di una satira sferzante, senza scrupoli. Riviste come quella usavano la matita e la parola per esasperare vicende politiche e personaggi pubblici; scostare veli, sfottere i potenti e smuovere alla riflessione. Forse solo la tivù degli anni ’90, con Corrado Guzzanti e tutta una generazione di comici spiazzanti che portavano in prime time la parodia di questo o quel politico, ha saputo competere.

Poi le cose sono cambiate. Ci ha messo del suo Silvio Berlusconi, con il famoso “editto bulgaro” che nel 2002 buttò fuori dalla Rai i giornalisti Michele Santoro, Enzo Biagi e il comico Daniele Luttazzi. Chi allora aveva tra le mani il potere si rese conto che attraverso i media si poteva indirizzare anche il gusto, i comportamenti, la morale del paese. «Non è un caso – nota Wired – che Corrado Guzzanti abbia concluso nel 2002 la propria carriera di conduttore satirico con “Il caso Scafroglia”, ripiegando sul cinema e comparsate di peso in televisione (la più celebre senza dubbio quella del surreale Mariano in Boris): il clima era cambiato.»

«C’è poco da far festa»

E oggi? Abbiamo ancora la libertà di dire quello che ci pare? «C’è poco da far festa», commentava il vignettista Altan alla vigilia delle elezioni del 2022 (e dei suoi 80 anni). Mentre in una vignetta di Beppe Mora, l’Italia presa d’assalto dalla destra-destra si dava un tono decisamente più militaresco, trasformandosi da stivale ad anfibio.


A quasi due anni dalla vittoria alle urne di Fratelli d’Italia, la destra meloniana non si è smentita. Nella sua presa del potere, non poteva mancare il proposito di manovrare l’informazione e la cultura, riducendo gli spazi di parola a megafoni del governo, piazzando uomini di fiducia al comando, tenendo a bada chi va controvento. Il caso Scurati, con il monologo sul 25 aprile boicottato dalla Rai per non chiari “motivi editoriali”, insegna. Così come le querele di Giorgia Meloni al Domani, al filologo Luciano Canfora o al giornalista di Report Giorgio Mottola (questa volta la denuncia è arrivata da FdI).

Libertà sotto scacco

Quali pericoli corriamo? Cosa si inceppa nelle nostre democrazie ogniqualvolta a un intellettuale viene messo un bavaglio o si manganella l’entusiasmo dei giovani che scendono in strada per dire la loro? Quanto e quale spazio resta al pensiero libero, dissidente, se contestare una ministra (è accaduto agli Stati generali della natalità di maggio, dove un gruppo di ragazze ha interrotto l’intervento di Eugenia Maria Roccella ribadendo la libertà a decidere del proprio corpo) viene criminalizzato come “atto di censura”?

È chiaro come a finire sotto scacco, in questo tempo in cui si annusa il pericolo di svolte autoritarie, siano le nostre libertà, ma non sarebbe sbagliato – osservava Nicola Lagioia in un pezzo apparso nel 2016 su Internazionale e che sembra scritto ieri – attribuire una parte di responsabilità proprio a media e giornali. «I mezzi d’informazione nazionali, formalmente una controparte dei poteri forti a tutela dei cittadini», sottolineava, già tra gli anni Ottanta e Novanta «erano in realtà un’espressione mascherata, e a guardar bene ridicola, delle istituzioni che avrebbero dovuto controllare e all’occorrenza biasimare».

Tra meme e ridicolo

La categoria del ridicolo è bene tenerla a mente: in una delle sue lezioni, Michel Foucault parla di «sovranità grottesca»: soprattutto in periodi di decadenza, il potere acquista un aspetto di terrificante comicità. Di nuovo, il ventennio berlusconiano è stato uno straordinario laboratorio di ridicolizzazione dell’autorità politica divenuta farsesca e per paradosso più impermeabile al graffio della satira proprio perché autrice, per prima, della propria distorsione comica e così più capace di suscitare populistica identificazione.

Nel frattempo alla televisione sono subentrati i social e la parodia memetica dei leader politici si è viralizzata, contribuendo – al rovescio – a moltiplicarne la popolarità: Boris Johnson, Donald Trump, Matteo Renzi, Matteo Salvini, Javier Milei. Fino ai meloni di Giorgia Meloni.

Cosa succede se l’informazione, il quarto potere cane da guardia dei governi, insegue l’imbonimento della distrazione di massa? Ricordiamo che proprio nel 2016, anno delle elezioni vinte da Donald Trump e segnate dal referendum per la Brexit, il termine “Post-truth” è stato scelto come parola dell’anno da Oxford Dictionaries per il massiccio uso che ne è stato fatto durante le due campagne elettorali.

E così, in un mondo iper-connesso, l’informazione si sfama di fake-news e la verità può essere continuamente messa in dubbio. Le idee si radicalizzano sull’onda di slogan facili, mentre i discorsi d’odio trovano nella rete le condizioni ideali per attecchire. Tanto che oggi partiti come il Rassemblement National in Francia o il movimento spagnolo “Se acabó la fiesta” non avrebbero raccolto lo stesso successo alle elezioni europee senza l’uso disinvolto che i loro leader Jordan Bardella e Alvise Perez (1,6 milioni di follower su TikTok il primo, quasi un milione su Instagram il secondo) hanno fatto dei social.

Eppure, tra le lusinghe di un messaggio politico conservatore (che proprio su internet ribolle) e la docilità di una sinistra che si dà per scontata, quello di cui avremmo bisogno è coltivare un ecosistema mediatico che, nel mare di opinioni, si metta al fianco dei cittadini, invogliandoli a conoscere meglio il presente, prendere posizione, “stare critici”.

Libertà di espressione, media, satira: a questi temi guarda, da qui all’estate, il cartellone di Fondazione Feltrinelli. Si parte il 26 giugno con il Feltrinelli Camp, una giornata in viale Pasubio a Milano insieme a giornalisti, esperti di comunicazione, social e intelligenza artificiale, per capire qual è l’impatto del digitale sui media, il ruolo delle piattaforme social tra “bufale” e “bolle”, e quali gli anticorpi per contrastare la disinformazione che rischia di inquinare la democrazia stessa. Appuntamento che apre la strada a Satira, che peccato! (28-29-30 giugno): la nostra festa di inizio estate per ricordare, tra stand-up comedy e improvvisazione, la forza della risata come arma contro le prepotenze nell’Italia governata dalla destra. Perché il disincanto, soprattutto giovanile, per la politica, il disinteresse per i suoi protagonisti e la noia del discorso pubblico danno alla satira, polverizzata dentro la rete, forme e linguaggi nuovi.

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