Alcuni decenni di egemonia neoliberista hanno ristabilito una visione smithiana dell’economia politica, vista come un campo organizzato dal potere quasi magico del mercato, ossia dove l’ordine viene garantito dall’interazione di singole razionalità individuali/imprenditoriali che, coordinate dalla mano invisibile, muovono verso un interesse generale. Eppure, se si guarda al funzionamento delle economie contemporanee un tema apparentemente anacronistico riemerge con forza: il piano.
La pianificazione è infatti una forma di razionalità che più che estinguersi dopo la sua applicazione al simbolo del fordismo, la catena di montaggio di fabbrica, si è piuttosto estesa a tutti gli ambiti di organizzazione della società (non solo la produzione, dunque, ma una pianificazione della distribuzione, del consumo, e finanche della riproduzione sociale). La pianificazione oggi si nutre anche della forza delle nuove tecnologie, il cui la dimensione computazionale dell’algoritmo assolve a una funzione di piano con una potenza inedita.
Le catene globali del valore attorno alle quali è venuta ridefinendosi la fisionomia capitalista negli ultimi decenni necessitano di una fortissima pianificazione per poter concatenare una galassia estremamente eterogenea di assemblaggi di forza-lavoro nei contesti geografico-lavorativi più variegati e distanti per spazi, assetti normativi e composizione sociale. E necessitano di un lavoro intermodale di connessione infrastrutturale per poter far fluire più velocemente possibili merci e materie prime lungo il pianeta. Come insegna Panzieri, ricostruire il piano capitalista consente anche di rintracciare la fisionomia della classe operaia, un’indicazione di metodo da sperimentare anche nel contesto del capitalismo delle piattaforme e della cosiddetta quarta rivoluzione industriale.
Nuovo capitalismo
Alcuni conflitti degli ultimi anni – che come Into the Black Box abbiamo seguito in particolare all’interno della megalopoli padana ma che hanno trovato spazio in tutti gli angoli del globo – hanno aperto a forme di inchiesta che consentono di porre alcune basi per un lavoro politico di ricerca sul nuovo capitalismo, il suo sistema integrato di macchine, i soggetti che ivi si definiscono. Ci riferiamo in particolare alle lotte nella logistica e a quelle dei rider. Queste due componenti hanno infatti aperto gli occhi a scenari altrimenti invisibili. Da un lato le trame logistiche che compongono i territori oggi, dense maglie connettive composte di magazzini, interporti, porti, infrastrutture che garantiscono la circolazione delle merci e formano un’urbanizzazione diffusa e pervasiva.
Dall’altro le nuove modalità del consumo che investono le agglomerazioni urbane, con l’e-commerce e le consegne a domicilio che ridisegnano le geografie della distribuzione e dello sfruttamento. In entrambi i casi, la costruzione di spazi di flussi impatta drasticamente sugli spazi di luoghi: dalle distese di capannoni nelle corone periurbane alle strade dei centri storici, logistica e piattaforme diventano vettori fondamentali nella ripianificazione degli spazi metropolitani.
Le grandi multinazionali
Grandi multinazionali logistiche (Amazon, TNT, BRT, ecc..) e piattaforme digitali (Deliveroo, per esempio) sono i player più rilevanti, e le inchieste su questi mondi del lavoro e sui loro conflitti aiutano a rivelare parte delle contraddizioni del presente e rilanciano alcune delle sfide teoriche di Panzieri, dal ruolo della tecnologia (nel suo statuto di estrema ambivalenza: certamente non neutra, né positiva in sé, ma nemmeno da rifiutare in termini reattivi) alla possibilità di pensare a un controllo operaio dei processi produttivi.
Logistica e piattaforme digitali rappresentano terreni caldi di sperimentazione, rivelandosi sistemicamente come centrali per la riproduzione capitalistica, e dunque come potenzialmente centrali anche dal punto di vista politico per le nuove lotte di classe. Ricostruire il sapere operaio e le pieghe dello sfruttamento in questi territori è dunque un’operazione politica utile e forse necessaria per poter ripensare da capo la possibilità di un orizzonte al di là del capitalismo negli anni Venti del nuovo Millennio.
In questi scenari, sviluppo capitalistico e lotte operaie costituiscono un punto di osservazione privilegiato che conduce alla scoperta sia di nuovi spaziotempi che di nuovi soggetti. A partire da questo punto di osservazione, infatti, possiamo inquadrare sia la mobilità e la circolazione come cardini dell’attuale rapporto di capitale, che il ricorso a un nuovo paradigma tecnologico fatto di automazione, intelligenza artificiale, management algoritmico. Inoltre, ci permette di prendere in considerazione come fenomeno sistemico e non marginale la completa de-regolamentazione del mercato del lavoro dal punto di vista giuridico e il “disordine dei territori”, sul quale si può affermare il piano capitalistico.
Le lotte operaie
In un presente costituito da flussi e connessioni, lo sguardo sulle “lotte operaie” dei soggetti che lavorano nella mobilità e nella circolazione appare dunque particolarmente stimolante proprio perché, per richiamare Panzieri, «bisogna avere un concetto non empirico della fabbrica […] che non è più una realtà specifica soltanto, ma tende sempre di più a diventare quel tale elemento determinante all’interno dell’economia e quindi della società» (p. 41). L’affermazione della logistica – della grande distribuzione su scala transnazionale come dell’ultimo miglio nei contesti urbani – contribuisce proprio alla dislocazione della fabbrica, ovvero dei processi di produzione di valore, nella società stessa.
Esplose in Italia (e nel mondo) a partire da primissimi anni Dieci del 2000, le lotte del comparto logistico occupano le cronache più recenti. Dai magazzini di Pioltello vicino a Milano ai cancelli dell’interporto di Bologna, passando per una moltitudine di hub logistici (ultimo quello della multinazionale Usa FedEx-TNT di Piacenza), le lotte dei facchini hanno inceppato i flussi della grande distribuzione, facendoli assurgere al ruolo di attori protagonisti della conflittualità operaia del nuovo millennio.
Se, come scriveva cinquant’anni fa Panzieri, «ogni lotta operaia tende a proporre la rottura politica del sistema» (p. 15), è evidente che, in un mondo costruito sulle catene globali del valore, le lotte logistiche non possono certamente essere considerate secondarie o marginali. Al contrario, il modo in cui si sono sviluppate in Italia le fa risultare particolarmente significative per almeno tre ordini di ragioni. Il primo guarda all’emersione di nuove soggettività antagoniste.
Protagonismo dei migranti
La composizione sociale dei lavoratori del settore ha portato alla ribalta un protagonismo migrante, non includibile in vecchie forme sindacali e prive di rappresentanza, ma che hanno mostrato al contempo un’inedita capacità di organizzazione ed efficacia. La costruzione di una infrastruttura logistica si basa sull’apporto di una forza-lavoro largamente iper-sfruttata e per questo spesso reclutata all’interno di quei segmenti di classe maggiormente ricattabile, per esempio a partire dal criterio discriminante della cittadinanza.
In conseguenza di ciò, il secondo ordine di ragioni riguarda proprio le rinnovate forme di rappresentanza. L’organizzazione in sindacati di base, sovente in deciso contrasto con quelli confederali, che hanno intercettato una richiesta di conflitto a lungo inevasa e di cui oggi formano lo zoccolo più attivo e per molti versi efficace, costituisce una forma di farsi classe di questi soggetti largamente esclusi dal patto sociale.
Il terzo ordine riguarda proprio il nuovo terreno delle lotte logistiche. Se è vero che hub e interporti sono risultati il teatro principe di queste mobilitazioni, la forma di “blocco dei flussi” si è spesso posta anche sulla soglia della città superandola e invadendola. Lo spazio urbano (oggetto sempre più difficile da determinare in maniera circoscritta) è la grande fabbrica senza pareti entro cui queste dinamiche spesso sfociano e a cui si deve inevitabilmente porre oggi attenzione. L’invasione della città da parte di questi soggetti spesso ai margini della città stessa costituisce un atto politico in sé, foriero innanzitutto di una richiesta di riconoscimento come soggetto in senso pieno – e dunque portatore di istanze e rivendicazioni – a partire dal proprio ruolo essenziale all’interno dei processi produttivi.
La logistica
Uno sguardo sulla logistica, pertanto, ci serve a entrare nel piano capitalista, nel “sistema”, e a scovare la forza politica che assumono queste mobilitazioni. Ancora Panzieri: «Bisogna andare a vedere che cos’è l’avversario, se queste lotte rivelano dei tratti caratteristici, oggettivi del capitale, oppure no, cioè bisogna andare a vedere come è fatto il capitale per decidere poi del significato politico di queste lotte» (p. 33).
Il capitale oggi è di certo fatto di logistica, di facchini, di nuovi terreni di lotta, di nuove forme sindacali e di nuove figure del lavoro. Tra queste, oltre ai facchini, possiamo annoverare gli innumerevoli lavoratori delle “nuove” piattaforme digitali, in particolare i cosiddetti rider del food delivery.
In quest’ultimo caso gli hub della grande distribuzione sono equiparabili alla miriade di esercizi commerciali dediti alla ristorazione presenti nello spazio urbano, mentre i grandi corridoi si frammentano nelle strade cittadine e al posto dei container abbiamo i cubi dei ciclo-fattorini. Più in generale, le piattaforme colonizzano le città, sussumono i suoi processi di riproduzione sociale (i trasporti, le attività di cura) e con essi segmenti di precariato metropolitano adattandosi al contempo alle specificità del suo capitale sociale e del suo tessuto socio-normativo.
La potenza di calcolo e sorveglianza dell’algoritmo, insieme alla diffusione di tecnologie radicali quotidiane come gli smartphone, consentono a questi nuovi modelli di impresa di trasferire il loro potere dal possesso dei mezzi di produzione alla capacità di pianificazione dei flussi. Gli spazi urbani si smaterializzano all’interno della volatilità del digitale mentre la presenza della piattaforma si materializza in un esercito di “piccoli auto-imprenditori” reclutati con la promessa di lavori smart, flessibili, profittevoli.
Eppure, come dicevamo, sono le lotte operaie a mettere a nudo le caratteristiche della pianificazione capitalistica. In maniera perlopiù spontanea ma diffusa su tutto il pianeta, le masse di lavoratori e lavoratrici catturate dalle piattaforme si organizzano in maniera indipendente, contestano il potere algoritmico delle piattaforme e costruiscono forme di soggettività autonoma. Il piano si increspa, la città si rivela non solo spazio di flussi ma anche spazio di conflitti: i rider costituiscono la soggettività più insubordinata del capitalismo delle piattaforme.
I corridoi di comunicazione urbana sono trasformati in arterie da intasare con scioperi e blocchi, mentre la retorica dell’auto-imprenditorialità viene ribaltata nella capacità contro-logistica di dare vita a forme di contro-organizzazione. Ciò che era ai margini – tanto della città, nel senso che spesso molti rider vivono in periferia e si spostano al centro della metropoli alla ricerca dei flussi di ordini sulle piattaforme; quanto del lavoro, in quanto inquadrati perlopiù come lavoratori occasionali privi di diritti e protezioni sociali – irrompe al centro dello spazio cittadino e impone un ripensamento radicale sia delle forme sindacali sia del diritto alla città.
La pandemia
La pandemia in corso, al di là di posture catastrofiste o negazioniste, sta inevitabilmente impattando sulle forme di pianificazione capitalista. Se da un lato si ipotizza di accorciare le filiere produttive e svuotare parzialmente le città, dall’altro i grandi player della distribuzione come Amazon e le piattaforme di servizi urbani si pongono indubbiamente come infrastrutture essenziali per il mondo che verrà. C’è dunque da scommettere e da rilanciare un progetto di inchiesta sul fatto che a un rafforzamento del carattere logistico del capitalismo contemporaneo e a un consolidamento delle tecnologie digitali corrisponda un’estensione delle forme di organizzazione e insubordinazione delle nuove soggettività operaie che in essi si costituiscono.