L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP)
La guerra d’ottobre del 1973 ha esteso la sua influenza ben oltre l’immediato conflitto arabo-israeliano. Tuttavia, le narrazioni storiche convenzionali tendono a enfatizzare le conseguenze legate al nascente processo di pace, mettendo in ombra il significato trasformativo della guerra del 1973 sull’agenda politica dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e sulla sua strategia legale internazionale del decennio successivo.
In seguito alla guerra del 1967 e alla mancanza di una solida risposta internazionale all’occupazione israeliana, alcune fazioni palestinesi scelsero di intraprendere una serie di attacchi armati all’estero a danno di israeliani e filoisraeliani al fine di attirare l’attenzione internazionale sulla questione palestinese. Gli attacchi giunsero al culmine proprio nel 1973, quando l’intelligence israeliana lanciò un’offensiva che riuscì ad arrestare – almeno temporaneamente – l’azione di questi gruppi proprio prima della guerra.
Per ironia della sorte, l’efficacia con cui Israele si occupò di contrastare le attività armate dei palestinesi all’estero potrebbe aver diminuito la sua preparazione a un potenziale attacco egiziano, contribuendo all’elemento sorpresa ricercato dal Cairo. Mentre gli aiuti militari di altri Stati arabi ad Egitto e Siria furono limitati e mal organizzati, le monarchie del Golfo annunciarono un aumento generale dei prezzi e una graduale riduzione della produzione di petrolio a cui seguì l’embargo ai Paesi amici di Israele.
“Terra in cambio di pace”
In sostanza, la guerra del 1973 dimostrò che gli Stati arabi potevano cooperare efficacemente e che Israele non era invincibile. Sebbene Egitto e Siria abbiano tecnicamente perso la guerra, ne sono usciti con una vittoria psicologica e diplomatica, in quanto il mondo ha ricentrato la sua attenzione sul conflitto in corso. Nel 1973, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò la Risoluzione 338, che riaffermava il quadro di “terra in cambio di pace” stabilito nella Risoluzione 242 del 1967, inaugurando il cosiddetto processo di pace in Medio Oriente. Il controllo dell’OLP e l’ascesa della guerriglia, insieme ai cambiamenti apportati dalla guerra del 1973, gettarono le basi della strategia legale internazionale proattiva adottata dall’OLP nel decennio successivo.
Dopo la guerra di ottobre, l’OLP si trovò ad affrontare sfide strategiche influenzate dall’equilibrio di potere regionale e internazionale. Mentre il Consiglio nazionale palestinese (CNP) si opponeva a negoziati che non garantissero la completa liberazione, gli Stati arabi si mostravano poco inclini alla liberazione militare della Palestina. Gli alleati dell’OLP sostenevano un approccio politico più moderato, cercando di riconquistare i territori occupati in linea con le risoluzioni delle Nazioni Unite, mentre il presidente egiziano Sadat perseguiva un accordo diplomatico con Israele e gli Stati Uniti.
Nel dicembre 1973 si riunì a Ginevra una conferenza di pace a cui parteciparono solo Egitto e Israele.
Successivamente, nel gennaio 1974, il CNP riaffermò la sua opposizione alla Risoluzione 242 delle Nazioni Unite, ai negoziati e al riconoscimento di Israele. Sottolineò il suo incrollabile impegno nella lotta armata. All’interno dell’OLP, pragmatici e oppositori si confrontarono con le loro diverse posizioni.
Dopo il vertice del Consiglio, a Beirut si tenne un dibattito pubblico moderato da Mahmoud Darwish, in cui emersero diverse posizioni. Alcuni chiesero una posizione più chiara e moderata da parte dell’OLP, mentre altri, come George Habash del FPLP, sottolinearono la necessità della lotta armata. Nayef Hawatmeh del FDPLP propose un approccio graduale, iniziando con l’istituzione di un’autorità nazionale nei territori liberati e culminando nella liberazione della Palestina tramite un unico Stato democratico. Salah Khalaf di Fatah sostenne anch’egli un approccio graduale, pur mantenendo l’impegno per la completa liberazione.
Nel febbraio 1974, Fatah, al-Sa’iqa e il PDFLP presentarono una soluzione di compromesso. Il Programma in dieci punti, concordato al Cairo nel giugno 1974, fornì ai pragmatici la flessibilità necessaria per partecipare al processo di pace in Medio Oriente, pur mantenendo l’obiettivo finale della liberazione di tutta la Palestina.
Per tutti gli anni Settanta, l’OLP sfruttò strategicamente le sue iniziative legali presso le Nazioni Unite (ONU) per trasformare la questione palestinese da crisi umanitaria a questione politica. L’impegno dell’OLP presso l’ONU era duplice: mirava a stabilire lo status giuridico del popolo palestinese all’interno dei quadri giuridici e delle istituzioni internazionali, sfidando al contempo l’influenza delle ex potenze coloniali su scala globale. Il catalizzatore di questi cambiamenti derivò in gran parte dagli eventi della guerra del 1973 e trovò terreno fertile nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (AGNU) dei primi anni Settanta, a cui Arafat si rivolse nel 1974 con il famoso discorso del fucile e del ramo d’ulivo.
Discorso del grande leader palestinese Yasser Arafat all’ONU il 13 novembre 1974
Il ruolo del popolo Palestinese
Nel 1974, l’AGNU elesse il ministro degli Esteri algerino Bouteflika come suo presidente. Tra il 1945 e il 1974, i membri dell’ONU passarono da 51 a 138, e molti di essi erano ex colonie che avevano raggiunto l’indipendenza attraverso guerre di liberazione, inclusa l’Algeria che ne rappresentava il baluardo. Queste nuove nazioni indipendenti si riunirono nel Movimento dei non allineati cercando di dare forma a un nuovo ordine globale in chiave anticoloniale. Di conseguenza, queste nazioni consideravano la militanza dell’OLP giustificata e necessaria.
Arafat decise di rivolgersi alle Nazioni Unite, nonostante le resistenze all’interno dell’OLP che considerava l’ONU una fonte dei problemi più che una via alla soluzione. Tuttavia, il consigliere strategico di Arafat, Nabil Shaath fu infine convinto a recarsi a New York a ottenere un invito per il leader dell’OLP. La risoluzione proposta, la 3210, introduceva diversi elementi rivoluzionari affermando il ruolo centrale del popolo palestinese, riconoscendo l’OLP come suo legittimo rappresentante e spostando l’attenzione dalla questione regionale al progetto coloniale contro la popolazione indigena.
Arafat ebbe successo nel suo sforzo di rivolgersi all’ONU e il suo storico discorso fu redatto da un comitato di personalità palestinesi di spicco. Nel discorso, Arafat fu il primo membro non statale a parlare all’Assemblea generale dell’ONU, contestualizzando la questione palestinese come parte delle lotte globali contro imperialismo, colonialismo e sfruttamento economico. Egli richiamò l’attenzione alla pulizia etnica del 1948 in Palestina e propose un unico Stato democratico in cui cristiani, ebrei e musulmani potessero coesistere in giustizia e uguaglianza, sottolineando una visione di democrazia laica. Il discorso si ispirò al sogno di Martin Luther King per la giustizia razziale e l’uguaglianza negli Stati Uniti, cercando di coinvolgere il pubblico americano. Arafat enfatizzò il diritto legale della Palestina all’autodeterminazione nazionale e la sua disponibilità sia alla pace che alla difesa dei diritti palestinesi attraverso la forza armata.
L’attenzione internazionale
La dichiarazione di Arafat alle Nazioni Unite portò all’adozione di due risoluzioni cruciali. La risoluzione 3236 sottolineò il diritto incondizionato del popolo palestinese all’autodeterminazione senza restrizioni. La risoluzione 3237 permise all’OLP di diventare un osservatore non membro presso l’ONU, consentendole di partecipare attivamente alle sessioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Queste risoluzioni fornirono all’OLP un quadro giuridico significativo per impegnarsi nel processo di pace in modo indipendente, senza la necessità di riconoscere o negoziare direttamente con Israele, basandosi invece su principi di decolonizzazione, autodeterminazione e resistenza alla dominazione straniera.
Attraverso la loro partecipazione, l’OLP contribuì attivamente agli sforzi attraverso i quali i non allineati cercarono di dare forma un nuovo ordine mondiale in chiave anticoloniale. Nel 1975 l’AGNU adottò la risoluzione 3376 che istituiva il Comitato per l’esercizio dei diritti inalienabili del popolo palestinese (CEIRPP) con l’obiettivo di raccomandare un programma di attuazione per consentire al popolo palestinese di realizzare i propri diritti inalienabili all’autodeterminazione. Inoltre, ricalcando il caso contemporaneo del Sudafrica, l’OLP continuò a inquadrare la causa palestinese in termini anticoloniali e di giustizia razziale e, paragonandolo all’apartheid sudafricano, fece adottare all’AGNU la risoluzione 3379 del 1975 che dichiarava il sionismo una forma di discriminazione razziale.
Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il momentum creato dalla guerra del 1973. Richiamando l’attenzione internazionale alla questione palestinese e rianimando l’agentività araba che agì di concerto per riaffermare il diritto palestinese all’autodeterminazione e alla resistenza anticoloniale, la guerra d’ottobre diede l’impulso che determinò l’adozione di una nuova agenda da parte dell’OLP. Seppur la stagione dei non allineati ebbe breve durata, l’influenza che ebbe sulla strategia internazionale palestinese ha perdurato fino agli Accordi di Oslo.