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La dissoluzione di Macron. Quali scenari? 


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Le recenti elezioni europee hanno segnato un “tournant” per varie ragioni, anche se il risultato era largamente prevedibile, non solo perché sondaggi autorevoli l’avevano previsto, ma perché il vento di destra soffia da tempo su vari paesi europei e non era facile invertire la tendenza nell’arco breve di una campagna elettorale.

Crepe profonde si sono aperte nella crosta del vecchio continente portando alla luce un ribollire, dei sommovimenti su cui soffermarsi come geologi scrupolosi fanno per arginare fenomeni naturali pericolosi.

L’estrema destra ha vinto massicciamente in vari paesi europei, Francia, Germania, Austria, Belgio, Italia, preparando equilibri nuovi nel parlamento europeo dove già si annunciano alchimie e compromessi fra le varie famiglie politiche.

Francia e Germania hanno avuto la sconfitta del partito di governo: la SPD del cancelliere tedesco Scholtz, che si ferma al 13,9%, terza dopo la CDU (30%) e preceduta dal partito di estrema destra l’AFD che raggiunge il 15,9% continuando la sua ascesa: una frustata a Scholz e una “debacle” per il partito più antico della sinistra europea, il primo partito di massa alla fine dell’”800; Renaissance, il partito del presidente Macron.

La Francia è il paese che presenta una situazione particolare e complicata nell’area delle democrazie europee e lo scossone elettorale che l’ha toccata è a tutt’oggi dagli esiti incerti, avendo esso intaccato la sia pure consolidata architettura istituzionale della V Repubblica non nuova a prove difficili nel corso di oltre un cinquantennio.

Vi è stata da una parte una buona affermazione dei socialisti, sbriciolati nelle ultime elezioni politiche del 2022; infatti la lista PS Place Publique capeggiata da Raphaël Glucksmann (intellettuale e politico, molto critico sulle politiche del macronismo, già eurodeputato nel 2019, ha ottenuto un buon risultato con il 13,80% dei suffragi, piazzandosi proprio dietro a Renaissance, il partito del presidente.

La cosa però che è arrivata come un tornado è stata l’affermazione della destra estrema di Marine Le Pen, ossia il RN che ha ottenuto il 32,2% dei suffragi contro il 17,2% della lista Renaissance, il partito di Macron uscito molto fragilizzato da questo verdetto delle urne.

Quali i motivi di questa staffilata al presidente? Sono di natura diversa e proverò ad analizzarli sia pure brevemente.

Macron e la dissolution: azzardo o calcolo?

La sera stessa dei risultati delle europee, di fronte ad una sconfitta schiacciante il presidente Macron decide di pronunciare la “dissolution” (dissoluzione) del parlamento in una atmosfera di tensione non solo nel suo partito, ma nel paese. Non è stata una decisione facile, ostacolata anche in parti della cerchia ristretta attorno al presidente, ma da alcuni dei suoi consiglieri, come si pensa, indotta o suggerita.

Il presidente ha usato uno dei poteri conferitigli dalla Costituzione che all’art.12 prevede che il presidente sciolga il parlamento, soddisfatte condizioni minime (consultazione dei presidenti di Camera e Senato e che non vi sia stata altra “dissolution” almeno un anno prima) ed indìca nuove elezioni non oltre venti giorni dopo la dissoluzione”. Questa la regola e Macron nell’annunciarla ha usato bene la retorica politica affermando che “il fallait donner la parole aux Français” (era necessario dare la parola ai francesi) in un momento così delicato.

 

Ma cos’è di fatto la “dissolution” e qual è la sua storia nella V Repubblica? Diversi presidenti prima di lui l’hanno usata, da De Gaulle a Mitterrand, a Chirac, per porre fine ad una opposizione parlamentare in vista e rafforzare il proprio potere, ma non sempre l’obiettivo è stato raggiunto per ragioni legate al contesto politico, alla forza dei partiti di opposizione, alla capacità carismatica o solo politica del presidente. Se essa sanziona il presidente, allora si realizza la “cohabitation” (coabitazione) in cui il presidente non ha più la maggioranza in parlamento ed è costretto a nominare un primo ministro di parte opposta. E’ stato questo per due volte il caso di Mitterrand che machiavellicamente la chiamava “cohesistance” (coesistenza), riuscendo a mantenere alcuni suoi poteri utilizzando con abilità la Costituzione nelle pieghe giuridiche che potevano avvantaggiarlo. Insomma un capolavoro che non sempre si ripete e che è complicato realizzare anche per la struttura accentrata del potere in Francia che dà all’esecutivo un potere ampio e rigidamente definito che lascia pochi spazi.

Centro schiacciato tra due fronti

Ora il paesaggio politico che Macron ha davanti a sé non è dei più favorevoli non soltanto per la vittoria schiacciante del RN alle scorse europee, ma anche per la presenza di una sinistra che finalmente è riuscita in questa emergenza ad unificarsi nel Nouveau Front Populaire (evocando il Front Populaire di Blum nel 1936) di cui Glucksmann è il principale federatore con un preciso programma e la volontà di sbarrare la strada alla destra estrema. Esso raccoglie il PS, il PCF, i Verdi e la France Insumise di Melenchon, di peso minore quest’ultima, per vicende della vita interna del partito in cui la democrazia è davvero carente, pilotata dal leader, come le defezioni degli ultimi mesi hanno mostrato.

La strada di Macron è quindi in salita, l’azzardo è alto e il calcolo che presumibilmente ha dettato la sua decisione non sembra sia stato realistico. Macron ha riproposto con questa scelta la sua convinzione del 2017, alla sua prima elezione;  allora lo slogan “ni droite ni gauche”, la sua volontà di spazzare via il “clivage” ideologico che aveva segnato la vita politica francese erano possibili, ossia credibili, essendo i partiti tradizionali fortemente fragilizzati (la sinistra soprattutto dopo il fallimento della presidenza Hollande, ma anche la destra tradizionale).Era stato facile per il futuro presidente creare in pochissimo tempo il movimento EnMarche con tutta la forza di una novità, che faceva piazza pulita della vecchia politica (“les etoiles mortes” come lui la definiva) e proponeva una filosofia del fare che guardava oltre, en marche appunto, e disegnava una Francia giovane, vogliosa di cambiamento. Il grande centro dei borghesi progressisti, dei lavoratori delusi, degli impiegati e piccolo-borghesi di vario tipo in cerca di sicurezza ed attenzione, di una parte della sinistra senza nocchiero, gli si era spianato davanti incoronandolo presidente.

Un mandato difficile

La sua rielezione nel 2022 era stata diversa dopo una prima presidenza costellata di tensioni proteste, movimenti di massa (Gilets jaunes); alcuni di questi sono riemersi proprio nel suo secondo mandato su temi cruciali quali la riforma delle pensioni, la legge sull’immigrazione e le restrizioni poste all’ “assurance chomage”, ossia l’assicurazione contro la disoccupazione che hanno mobilitato migliaia di cittadini contro politiche ritenute neoliberali ed antipopolari.

Inoltre questa volta non vi era solo la piazza a protestare con l’appoggio dei sindacati, ma un parlamento agguerrito in cui il presidente aveva perso la maggioranza assoluta e due opposizioni estreme a destra e a sinistra gli contendevano il passo. Macron non è riuscito a calarsi nella nuova condizione di presidente indebolito, continuando a voler fare passare le sue proposte spesso con l’appoggio strumentale del RN di Marine Le Pen, in particolare la legge immigrazione giudicata, dal Consiglio costituzionale, in alcune parti (l’esclusione di fatto degli immigrati dall’assistenza medica) non conforme alla Costituzione, quindi da modificare, come il suo presidente, il socialista Fabius, ha affermato.

Tra incertezza e caos

In queste condizioni quindi ritengo, che l’idea di un centro moderato e rassicurante non possa avere successo in una situazione di polarizzazione dello scenario politico e con un presidente che viene ancor più definito “le président des riches” (il presidente dei ricchi). Da ultimo la recente scelta del presidente dei Républicains, Eric Ciotti, di allearsi con il RN, tentazione antica, pur non rispecchiando la volontà di tutto il partito, spaccato su questo, è un’aggiunta molto utile per la destra estrema e Sarkozy, leader dietro le quinte, ha da poco fatto una dichiarazione salomonica che non porta certo acqua allo schieramento di Macron.

Ormai però il dado è tratto. Pirandellianamente colui che continua a ripetere ai francesi che lui soltanto è garante dell’ordine contro il caos e i pericoli dei partiti estremi, è sempre più indicato come colui che ha buttato il paese nel caos come oggi afferma Frédéric Dabi sondaggista di IFOP secondo cui « les Français semblent penser que “la chienlit, c’est lui” »,ossia è lui il caos. Di questa realtà resta fino al 7 luglio l’incertezza.

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