Abbiamo chiesto a Daniel Pennac, maestro di narrazione e autore della saga dei Malaussène, di ragionare insieme sulle grandi questioni della satira, a dieci anni dall’attentato contro la redazione di Charlie Hebdo. Dal confronto è nata una riflessione dell’autore, che porta molti dubbi a una società sempre più abituata a risposte lineari, e un sorprendente dialogo con ChatGPT .
Credo di avere qualche difficoltà a rispondere alle domande di PUBBLICO. Per due ragioni.
La prima è la seguente: non sono né il sociologo, né l’antropologo, né il politologo, né il polemologo, né il semiologo, né lo psicologo, né lo storico, né il giornalista a cui queste domande sono destinate. In quanto romanziere, non ho nessuna delle competenze necessarie per rispondere a un tale questionario. A meno di non voler “recitare una parte”. Quale parte? La parte di quello che non sono. È una postura a cui ho rinunciato da giovane, dopo aver scritto un saggio sul servizio militare che volevo intitolare, ironicamente, Sarai un figlio, uomo mio, e che il mio editore dell’epoca ha intitolato: Il servizio militare al servizio di chi? Risultato, ho smesso di scrivere saggi per dedicarmi al romanzo.
La seconda ragione è che quasi tutte le domande contengono già in sé la risposta. Sono nello stesso tempo retoriche e tautologiche. Suggeriscono risposte prevedibili. Risposte, cioè, che potrebbe dare ChatGPT.
Vogliamo provare? Mi sono divertito a porre la prima domanda a ChatGPT.
Dieci anni dopo l’attentato contro Charlie Hebdo, qual è lo stato di salute della satira oggi in Francia? Se dovessimo fare un bilancio, potremmo dire che lo spirito libero del giornale ha trionfato o che è stato il fanatismo delle certezze ideologiche ad avere l’ultima parola?
Ecco la risposta:
Dieci anni dopo l’attentato contro Charlie Hebdo, la satira in Francia rimane viva, ma evolve in un contesto più complesso. Lo spirito libero del giornale sopravvive, certo, ma deve misurarsi con una pressione crecente. Da un lato il giornale continua a sfidare i dogmi e le certezze, restando fedele alla sua tradizione di irriverenza. Dall’altro deve affrontare un clima in cui si fanno sempre più acute le polarizzazioni ideologiche e si moltiplicano le accuse di eccessiva provocazione o di mancanza di rispetto nei confronti di talune sensibilità. Se la satira ha trionfato, e perciò sopravvive, d’altra parte il “fanatismo delle certezze ideologiche” guadagna talora terreno limitando il dibattito pubblico e incoraggiando l’autocensura.
La convince, questa risposta? A me no. Lo stato della satira dieci anni dopo il massacro di Charlie Hebdo? Come vuole che stia, la satira? Charb è stato ucciso, Tignous è stato ucciso, Cabu è stato ucciso (se lo immagina, un proiettile che entra nel corpo così gracile di Cabu?), Wolinski è stato ucciso, Bernard Marie è stato ucciso… Poi sono stati uccisi gli spettatori del Bataclan e in questi ultimi dieci anni sono stati uccisi degli insegnanti… No, non sta affatto bene, la satira. Mi chiede se il mondo va avanti? Sì, il mondo va avanti, e con esso la satira, certo.
E vediamo ora come risponde ChatGPT alla seconda domanda, quella relativa alla trasmissione della “tradizione illuminista e libertaria”.
Ricordiamo Christophe Alévêque, durante la cerimonia organizzata a Montreuil in omaggio a Tignous, intonare Bella Ciao davanti a un pubblico smarrito per non cedere alla paura, o ancora Fernando Savater che invitava a brandire la Lettera sulla tolleranza di Voltaire. L’obiettivo era lo stesso: affermare una resilienza, dire: « Non subisco ». Dieci anni dopo, è ancora così? Questo orgoglio per la tradizione illuminista e libertaria è ancora così vivo e trasmesso?
Lo slancio del 2010, all’insegna di una solidarietà senza precedenti e di un attaccamento tenace alla libertà di espressione, sembra aver perso vigore. Se la tradizione illuminista e libertaria non si è spenta, essa non suscita più, però, un consenso unanime e solleva maggiori contestazioni, specialmente da parte di coloro che denunciano una libertà di espressione asimmetrica o percepita come oppressiva. La trasmissione di questo “orgoglio illuminista” dipende oggi dall’intervento attivo nella sfera dell’educazione.
Ecco un’altra risposta soddisfacente. Niente da ridire. È davvero fantastico, no, ChatGPT? Una miniera d’oro per studenti a corto di risposte. E allora perché non posso rispondere alle sue domande con risposte apparentemente così sensate, così ragionevoli, così esaustive, tutte costruite come brevi saggi impeccabili? Perché? Perché, in un saggio, anche se qualcosa è vero, è falso, mentre in un romanzo anche se è falso, è vero. E voi mi chiedete di produrre, con delle risposte-saggio, il succo di una realtà passata al torchio della mia ragione. Come succo d’uva, proprio così. Impossibile. Il romanziere sa, proprio in virtù della somma delle cose che non sa, che la realtà resiste al torchio dell’analisi. Non perché la realtà sia troppo solida, ma semmai perché è troppo liquida, troppo presente e troppo sfuggente, troppo evidente e troppo ambivalente, troppo viva e troppo mortifera, e così è da sempre. Rispondendovi a proposito della tradizione illuminista e libertaria, ChatGPT afferma che non suscita più un consenso unanime. Ma quando mai lo spirito libertario ha suscitato un consenso unanime? Cos’è, la Francia, una nazione di anarchici? Da quando? E cosa sono queste “sfere dell’educazione” che dovrebbero occuparsi del nostro “orgoglio illuminato”? La scuola? Gliene parlerò più avanti, della scuola. Ma, come vede, a domande prevedibili, risposte prevedibili. Cose giustissime che, ad ascoltarle da vicino, suonano sbagliate.
E adesso la smettiamo di giocare con ChatGPT e veniamo alle ultime domande che riguardano, tutte, l’”ironia”…
È possibile immaginare un’anima felice senza ironia?
L’ironia si può insegnare a scuola?
Può essere un antidoto alla rabbia, l’ironia?
La satira resta un’arma in mano agli umili, agli esclusi?
Tanto per cominciare, gli umili e gli esclusi non hanno mai potuto disporre della satira. Gli umili e gli esclusi annegano nel Mediterraneo. Né Rabelais, né Molière, né Voltaire, né Diderot, né Hugo, né Alfred Jarry, né Coluche, né gli uomini e le donne di Charlie, che incarnavano la satira, erano umili o esclusi. Erano delle coscienze vigili e gioiose che – a volte – si mettevano al servizio degli umili.
Per quel che riguarda l’ironia a scuola, consideriamola uno degli aspetti dello spirito critico. È possibile insegnarla? Dipende dal temperamento dell’insegnante, dalla sua personale inclinazione a praticarla. Nei programmi delle università dove si formano gli insegnanti non è prevista l’ironia. L’insegnamento dell’ironia non è nel “temperamento” della nostra Pubblica istruzione (la famosa “sfera educativa”) e non lo è mai stato.
“Un’anima senza ironia diventa un inferno”. Sono stato io a dirlo? Era meglio se stavo zitto, è una frase fatta. L’anima senza ironia, tutt’al più, può diventare l’inferno degli altri. È possibile accedere alla felicità senza ironia? Tutto dipende da cosa si intende per felicità. Nella mia lunga vita ho incontrato persone feroci assolutamente felici grazie al male che facevano agli altri. (A volte, peraltro, in nome di principi ineccepibili).
Per fortuna, ho incontrato anche persone sagge, immuni grazie all’ironia dalla tentazione della felicità. Fra queste la più celebre è Anton Cecov. L’ironia lo predisponeva a una bontà priva di illusioni. Lui spingeva la generosità fino a non aspettarsi nulla in cambio dalle persone – tante – a cui faceva del bene. Il suo segreto? Trasformare le sue collere in lucidità, senza mai porre sé stesso come la norma. E di cosa si nutriva la sua ironia? Della certezza, onnipresente nella sua opera, che nulla cambierà mai il cuore umano. Il che non deve impedirci di fare il possibile per cambiare il mondo. Cecov destinò una gran parte dei suoi diritti d’autore alla creazione di scuole e biblioteche, pur sapendo che erano solo una goccia d’acqua nell’ignoranza dell’immensa Russia. È morto 40 anni prima della mia nascita ma, sin dal nostro primo incontro, è stato il mio migliore amico.
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