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Karl Polanyi, The Great Transformation (1944)


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L’instabilità sistemica del capitalismo

Le economie di mercato – il capitalismo – sono organismi fragili, e non sempre coerenti. Dopo la breve fase di Great Moderation, dai primi anni novanta alla crisi finanziaria del 2008, sono riemersi fenomeni di instabilità sistemica, dalla crisi dell’euro e dei debiti sovrani europei (2010-2011) all’alta inflazione da costi connessa alla disarticolazione delle relazioni internazionali e ai conflitti in Ucraina e nel Medio Oriente. Non sono fenomeni nuovi, fanno anzi parte della natura stessa del capitalismo, ossia dell’idea che i mercati possano autoregolarsi. Il capitalismo, in altre parole, tende a produrre gli agenti della propria costante trasformazione, in primo luogo quel flusso continuo – a ritmi sempre più serrati – di innovazioni che ha trasformato il mondo negli ultimi tre secoli, consentendo di aumentare produttività e reddito pro capite. Ma il capitalismo genera anche straordinaria instabilità, il principio ordinatore su cui si regge fa sì che i mercati, se non regolati, siano portati a contraddire quello stesso principio, producano inefficienze e distorsioni allocative, fino a divorare sé stessi. Il capitalismo non possiede solo una fisiologia positiva dell’instabilità, correlata ai cicli di innovazioni e crescita, quelli delle rivoluzioni industriali. Il capitalismo del laissez-faire possiede anche un’inclinazione distruttiva, non associata alla creazione e all’innovazione, ma al principio di mercato autoregolato su cui si resse l’economia della prima globalizzazione, dai primi dell’Ottocento alla Prima guerra mondiale.

L’utopia negativa secondo Polanyi

Fu Karl Polanyi, con il suo libro La Grande Trasformazione del 1944, a valutare come “utopia negativa” il principio di un “mercato autoregolato. Fuggito da Vienna nei primi anni trenta, Polanyi voleva essenzialmente capire che cosa avesse prodotto il collasso delle democrazie liberali e l’ascesa dei regimi totalitari e provò a spiegarlo in un libro in cui economia, antropologia e storia si fondono indissolubilmente. Il mercato autoregolato era stato, allo stesso tempo, una costruzione ideologica e un esperimento pratico con cui si erano ridefiniti in termini radicali i rapporti tra le società e le attività economiche: l’organizzazione delle attività economiche secondo la logica esclusiva, non temperata, del mercato autoregolatore conduce al collasso della società e delle democrazie liberali perché erode i legami e le funzioni che sono essenziali alle società. Le tre merci dell’economia classica, definite “fittizie” da Polanyi, la terra, il lavoro e il capitale si riferiscono all’ambiente naturale e all’uomo – la natura, il pianeta, non è prodotto dell’uomo per la sua commercializzazione, per essere venduta, né la forza lavoro, l’uomo, si riproduce per le esigenze del mercato –, alla moneta che per poter assolvere la funzione sociale di misura e riserva di valore deve necessariamente essere sottoposta a limitazioni, deve essere gestita, nelle nostre economie, dalle banche centrali. La deregolamentazione finanziaria, in effetti, tende a generare crisi di fiducia radicali, condiziona il funzionamento dei mercati dei beni, influenza il livello delle attività produttive. Analogamente, l’uso delle risorse naturali come se fossero merci si traduce in un degrado della biosfera, dell’ambiente naturale che è condizione della vita degli esseri umani. La crisi climatica è uno dei risultati possibili dell’uso della natura secondo la logica del mercato quale principio ordinatore della società umana, così come l’idea che l’umanità costituisca un mero fattore della produzione, cessando pertanto di essere tale per divenire una merce, priverebbe della funzione protettiva che le società esercitano sui gruppi umani e sui singoli individui: per dirla con Polanyi, comporterebbe una “grave forma di disorganizzazione sociale”.

Prima edizione di The Great Transformation, Beacon Press 1944.
L’opera è conservata nell’archivio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli con collocazione SG-US 02.64 e può essere consultata in sede

Proteggere la società dal mercato autoregolato

L’economia di mercato richiede perciò istituzioni che consentano di preservare la società, gli uomini, e la terra, l’ambiente in cui l’umanità vive. Nell’analisi di Polanyi si comprende il “processo” evolutivo delle economie di mercato solo se si coglie il doppio movimento di forze in azione dai primi dell’Ottocento: da un lato, l’espansione costante del mercato come principio ordinatore e, dall’altro, la reazione protettiva della società che garantisce dignità, sicurezza e, appunto, protezione a coloro che sono minacciati dalla logica assoluta del mercato autoregolato. La tensione tra queste due forze è osservata da Polanyi come un processo complesso, il cui culmine è toccato alla vigilia della Prima guerra mondiale. Il mercato autoregolato, per il quale tutto è prodotto per essere venduto, trasforma le forme di scambio e produzione in termini atomistici e individualistici, tende a distruggere la società come tale (per dirla con Margaret Thatcher, “There’s no such a thing as society”, la società non esiste). Il capitalismo è quindi un organismo particolare, non è per Polanyi l’esito naturale della storia umana, un approdo predeterminato, dipende invece da processi storici complessi, dalla rivoluzione industriale in avanti, e dalle istituzioni che ne hanno promosso l’affermazione, l’equilibrio del potere tra le grandi potenze, il costituzionalismo liberale, il libero scambio e il gold standard. Queste istituzioni entrarono in crisi con la Prima guerra mondiale e i tentativi di ricostituirle, come avvenne per il gold standard, fallirono producendo non solo instabilità, crisi, disoccupazione e crollo del commercio mondiale, ma anche quelle forme di nazionalismo aggressivo, il fascismo e il nazismo, che determinarono il collasso delle democrazie liberali in Europa.

La grande trasformazione, pubblicata nella traduzione italiana, Einaudi 1991.
L’opera è conservata nell’archivio della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli con collocazione E-US 02.375 e può essere consultata in sede 

 

Mercati deregolamentati e crisi climatica

Il ritorno a un mercato scarsamente regolato o insufficientemente deregolamentato, promosso dalle liberalizzazioni di Ronald Reagan negli Stati Uniti e dalle privatizzazioni della Thatcher in Gran Bretagna, ha riportato il mondo, con la seconda globalizzazione e con la convergenza delle economie emergenti verso il modello istituzionale imperniato sul mercato autoregolamentato, in una condizione simile a quella che Polanyi analizzò come scienziato sociale. L’estensione della concorrenza liberista e l’indebolimento progressivo delle democrazie, incalzate dai movimenti sovranisti e nazionalisti, ci riporta alla reazione delle società sull’economia di mercato quale principio ordinatore, in cui solo la moneta tende a preservare il carattere essenzialmente politico, o sociale, che ne consente l’esercizio della funzione che le è propria. I mercati deregolamentati delle merci e del lavoro sono tornati sotto il principio mercantile che è associato alla crisi climatica, quale misura del grave deterioramento della biosfera, e allo sradicamento delle popolazioni che ne sono più severamente colpite. L’aumento delle diseguaglianze e la precarizzazione del lavoro nelle economie più sviluppate sollecita la domanda di sicurezza e protezione che, esprimendosi in misura crescente in termini identitari (l’importanza dello status per Polanyi), viene deformata dalla risposta politica dei movimenti politici nazionalisti.

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