Crisi del 2008 e pandemia: un’analisi comparativa
L’Unione europea ha vissuto due gravi crisi economiche nel giro di un decennio: la crisi finanziaria globale del 2008 e la pandemia di Covid-19, che ha messo a dura prova i sistemi economici e sociali di tutti i suoi Stati membri.
In entrambi i casi, la risposta principale da parte delle istituzioni europee è stata l’adozione di politiche di austerità. La crisi del 2008 ha visto l’introduzione di misure drastiche in vari paesi, con la Grecia come principale “teatro di conflitto”, e la pandemia di Covid-19 ha portato a una seconda ondata di austerità in tutta l’Eurozona. Queste politiche hanno avuto impatti devastanti sulla crescita economica e sulla coesione sociale, ma la risposta alla pandemia ha cercato di correggere alcuni degli errori passati, attraverso un piano di stimolo economico ambizioso. Tuttavia, le politiche di austerità non sono state completamente abbandonate e la sostenibilità della ripresa dipenderà dalla capacità dell’Europa di conciliare il rigore fiscale con l’investimento in crescita sostenibile e inclusiva.
L’analisi comparativa delle politiche adottate durante la crisi del 2008 e durante la risposta pandemica evidenzia significative differenze nell’approccio economico dell’Unione europea, ma anche continuità nelle sfide sociali ed economiche, in particolare per i paesi più vulnerabili come la Grecia. Il piano da 750 miliardi di euro dell’UE (NextGenerationEU) ha incluso un ampio programma di finanziamenti per la transizione verde e la digitalizzazione. La Grecia, uno dei paesi più colpiti dalla crisi globale economica del 2008 e dalle misure di austerità, ha ricevuto una porzione significativa di questi fondi, destinati principalmente alla ristrutturazione delle infrastrutture, all’implementazione di tecnologie verdi e alla modernizzazione del settore pubblico. Una parte di questi fondi, però, è stata destinata a riforme strutturali che, se da un lato hanno cercato di stimolare la crescita, dall’altro hanno continuato a sostenere il rigore fiscale e la necessità di rispettare i vincoli di bilancio imposti dai prestiti della Troika.
La risposta delle istituzioni comunitarie
Un aspetto fondamentale che merita attenzione è il ruolo delle istituzioni europee nella gestione delle crisi e delle politiche fiscali. In particolare, la risposta della Commissione europea e della Banca centrale europea durante la pandemia è stata significativamente diversa rispetto alla crisi del 2008. Sebbene la risposta alla crisi pandemica sia stata più coordinata, con il piano NextGenerationEU e l’emissione di debito comune, le politiche europee continuano a sollevare dibattiti circa il rapporto di potere tra le istituzioni centrali e gli stati membri. Un altro punto di forte interesse riguarda il ruolo della transizione digitale e verde, come motore di crescita a lungo termine.
La Grecia e molti altri paesi hanno visto nella digitalizzazione e nella transizione ecologica le leve per una ripresa duratura, ma le sfide restano numerose, come la carenza di competenze digitali nel paese e l’accesso limitato ai finanziamenti verdi. La questione della sostenibilità del debito rimane una delle sfide più complesse per la Grecia: nonostante gli aiuti europei e le misure di ristrutturazione, infatti, il suo debito pubblico continua a essere tra i più alti nell’Eurozona.
L’intervento della Troika in Grecia
Nel 2008 la crisi globale provocata dal crollo dei mercati finanziari e dal fallimento di importanti istituzioni bancarie ha portato a una recessione globale. la risposta dell’Unione europea, attraverso la Troika, fu l’imposizione di un pacchetto di misure di austerità severe, mirate a ridurre il deficit e a ristabilire la fiducia nei mercati finanziari. La Grecia, in particolare, fu costretta a richiedere un pacchetto di salvataggio internazionale, con prestiti della Troika (Fondo Monetario Internazionale, Commissione europea e Banca centrale europea) in cambio di pesanti misure di austerità. Le politiche imposte includevano riduzione della spesa pubblica, aumento delle imposte e privatizzazioni, nell’intento di ridurre il deficit pubblico. Le conseguenze furono disastrose: tra il 2008 e il 2013 il PIL greco si contrasse del 25% e la disoccupazione raggiunse il 27,5%. Le misure di austerità ebbero effetti devastanti sulla classe media e sui settori più vulnerabili della popolazione e le disuguaglianze sociali aumentarono vertiginosamente.
La crisi economica e sociale alimentò un’ondata di proteste, manifestazioni e un malcontento crescente verso l’UE, responsabile dell’imposizione delle misure. Nonostante i fallimenti evidenti delle politiche di austerità, con molti economisti che criticavano il loro impatto sull’economia, l’Unione europea non ritrattò. Anzi, la crisi greca divenne un banco di prova per l’intera architettura economica dell’Eurozona e la risposta delle istituzioni rafforzò la convinzione che l’austerità fosse l’unica strada percorribile per risolvere la crisi del debito.
La reazione europea alla pandemia
La pandemia di Covid-19 ha avuto un impatto devastante sull’economia mondiale e anche i governi europei si sono trovati a dover gestire non solo una crisi sanitaria senza precedenti, ma anche una crisi economica che ha messo sotto pressione il sistema. I blocchi, le limitazioni dei viaggi e le altre misure straordinarie introdotte per contenere il virus hanno avuto un enorme impatto sull’economia, con una contrazione del PIL nell’area euro del 6,6% nel 2020, e la disoccupazione che ha toccato punte molto elevate, in particolare nei settori più colpiti come il turismo e l’ospitalità.
In risposta, la Commissione europea e i governi nazionali hanno adottato misure straordinarie, tra cui sussidi alle imprese, supporto ai lavoratori (nella forma della cassa integrazione, in molti paesi) e l’emissione di debito pubblico a un livello che non aveva precedenti.
Il ritorno all’austerità
Il periodo post-pandemico, però, ha portato con sé molte sfide. Da una parte, l’Unione europea ha cercato di stimolare la ripresa attraverso il Piano NextGenerationEU, dall’altra la crisi economica ha continuato a pesare sui bilanci pubblici, e la tentazione di tornare a politiche fiscali restrittive – per ridurre il debito pubblico e controllare l’inflazione – è stata forte, nonostante i moniti di molti esperti.
La crescita economica è stata in alcuni casi lenta e disomogenea, con differenze significative tra i paesi dell’Europa del Sud e quelli del Nord.
Inoltre, la crisi energetica amplificata dalla guerra in Ucraina ha messo ulteriore pressione sulle economie europee, e la risposta alle difficoltà economiche ha incluso nuove misure di austerità in molti Paesi, a discapito delle politiche di welfare.
Gli effetti delle politiche restrittive
La seconda ondata di austerità ha avuto effetti profondi e a lungo termine sulla coesione sociale e sull’equità economica in Europa. In molti paesi, l’innalzamento della disuguaglianza sociale è diventato evidente, con un divario crescente tra le classi sociali e le regioni. A esserne colpiti sono stati soprattutto i ceti più vulnerabili: disoccupati, pensionati e lavoratori a basso reddito.
In generale, queste politiche hanno aumentato la povertà: milioni di persone hanno visto ridursi il potere d’acquisto e le opportunità d’accesso ai servizi pubblici.
Il sistema sanitario, già messo alla prova dalla pandemia, è stato ulteriormente indebolito in alcuni paesi, rendendo più difficile la gestione di una crisi sanitaria che non si è mai veramente conclusa: in Grecia, ad esempio, i continui tagli alla sanità hanno ridotto le risorse disponibili per il personale ospedaliero. Le politiche fiscali restrittive e la scarsità di interventi pubblici hanno anche impedito una ripresa economica forte e sostenibile. La disoccupazione giovanile è rimasta elevata in molti paesi del Sud Europa e la mobilità sociale è diventata più difficile, con un impatto negativo sulle prospettive future delle nuove generazioni.
L’avvento dei populismi
La reazione sociale alla seconda ondata di austerità è stata più marcata rispetto alla prima, anche grazie alla maggiore consapevolezza dei danni a lungo termine delle politiche restrittive. In Grecia, ad esempio, ci sono stati segnali di maggiore resilienza della società civile e di rafforzamento delle voci politiche critiche, unitesi in movimenti contro gli interventi di austerità.
In altri paesi, la crescita di movimenti populisti e sovranisti è stata una risposta alla frustrazione diffusa verso le politiche economiche imposte dall’alto.
Sebbene vi siano stati tentativi di stimolare la crescita, con programmi come NextGenerationEU, la persistente attenzione alla riduzione del debito e al controllo della spesa ha limitato la capacità di molti Paesi di uscire da una spirale di stagnazione.
A lungo termine, l’Europa dovrà affrontare una riflessione sul modello di sviluppo economico e sociale da adottare, se vorrà evitare di ripetere gli stessi errori del passato e garantire una maggiore equità per tutti i cittadini.
Un modello economico alternativo
Nel 2024, l’Unione europea si trova a un bivio. Da un lato, i paesi del Sud Europa sono ancora alle prese con il peso del debito pubblico e le difficoltà economiche, dall’altro l’UE ha avviato politiche di stimolo alla crescita. Una riflessione più ampia sui modelli economici da adottare sarà necessaria per evitare che le crisi future portino nuovamente a politiche di austerità inefficaci e dannose, che non solo non sono riuscite a favorire una crescita economica inclusiva, ma che hanno anche acutizzato le diseguaglianze sociali, creando un terreno fertile per l’insoddisfazione e il populismo.
Le esperienze delle crisi finanziarie ed economiche hanno dimostrato che l’Europa ha bisogno di un nuovo approccio, che non si basi solo sulla riduzione del debito e sulla disciplina fiscale, ma che favorisca la crescita inclusiva e la solidarietà tra gli Stati membri.
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