La satira è ancora una parte dell’alfabeto della nostra lingua o è andata in esilio verso «nessun luogo»?
Nel 1729 Jonathan Swift scrive la sua modesta proposta. Un progetto per eliminare la fame ingrassando i bambini denutriti e dandoli da mangiare ai ricchi proprietari terrieri anglo-irlandesi. Qualcuno lo prende sul serio e la proposta arriva in parlamento. Ma nessuno lo perseguita. Quanto era satirica la sua proposta? Oggi come reagiremmo se qualcuno facesse una simile proposta?
Dipende dai valori che vogliamo difendere: 10 anni fa quando una cellula di di Al-Qāʿida compie un attentato terroristico contro la redazione di Charlie Hebdo, uccidendo 12 persone tra vignettisti, membri della redazione e poliziotti, ci siamo indignati, ma molti si sono anche detti che un po’ se l’erano cercata.
Dieci anni dopo cosa resta? Forse non hanno vinto i fondamentalisti, ma ha vinto la paura delle possibili reazioni che la satira può provocare. Perciò: meglio stare accucciati o se proprio produrre satira, prima chiedere al potere se si può. Ovvero: chiamare l’ufficio del capo in carica. Meglio non rischiare troppo. “Tengo famiglia” vale anche per la satira?
La Verità Nascosta nella Satira
Ha scritto Antonio Gramsci che l’ironia si addice allo stile letterario o all’intellettuale che si mette al di sopra delle parti. Insomma, l’ironia richiede distacco e nasce da un atteggiamento scettico. Differente è, invece, il sarcasmo che ha come fine la messa in evidenza di contraddizioni presenti nel campo dell’avversario. In breve, il sarcasmo è puntare il dito sulle contraddizioni, sul falso, che risiede nel campo avversario e il suo fine è mettere a nudo l’ipocrisia, la contraddizione. Non può esserci sarcasmo senza passionalità e perciò senza che contemporaneamente non si proponga un’alternativa. Il fine del sarcasmo non è far ridere o ridicolizzare, ma proporre un’interpretazione e, contemporaneamente, sollecitare un’azione. Così Antonio Gramsci nel Quaderno 26 (§.5) dei suoi Quaderni del carcere.
La crisi della satira oggi sta qui? Forse.
Non voglio proporre un ragionamento astratto, per esempio riprendendo la provocazione di Erasmo che nel suo Elogio della follia affermava che solo laddove sta la follia, lì risiede il senno. Consideriamo un testo e un caso concreto.
Satira e Potere: La Fine della libertà di Critica?
Che risonanza oggi avrebbe mettere in scena Mistero buffo di Dario Fo? Racconterebbe automaticamente la stessa storia di critica al potere? Di quel testo rimane una tecnica, la capacità di parola, la creazione di figure, ma allo stesso tempo la sagoma guizzante del giullare non crea più scandalo. Forse che la satira avrebbe perso terreno perché l’oggetto della sua critica si è riformato, si è trasformato e ha perduto quei motivi di scandalo che lo hanno reso «potenza» e hanno disposto della vita e della morte dei sudditi e dei credenti?
Ne dubito. Non viviamo in tempi di diffusa laicità, ma in tempi di diffuso fondamentalismo. Indipendentemente dal credo religioso. Riguarda i sistemi di fede, ma anche le forme della politica.
Lo spazio della critica si è ristretto. Si è alzato il livello di “permalosaggine” da parte di chi pensa di avere la ragione dalla propria parte e dunque chiede sanzioni per chi propone critiche. Nel conto c’è la esclusione della irriverenza come lingua non accettata.
Tempi tristi? Forse, ma soprattutto tempi finti. Oggi sarebbe difficile avere un seguito se decidessimo di scendere in piazza con un libro di Voltaire (come ricordava Fernando Savater) come è accaduto nelle settimane successive all’attacco a Charlie Hebdo.
Siamo nel tempo in cui il potere fa finta di ridere di se stesso, si impossessa della satira e allo stesso tempo sanziona quando la satira non sta alle regole del gioco che ha stabilito. Nessuno sopporta Voltaire. Troppo irriverente. Soprattutto per niente nostalgico.