Il governo cinese, sempre preoccupato di mantenere la stabilità sociale, negli ultimi cinque anni ha perseguitato le attiviste femministe e imposto ai siti di social media di inasprire le restrizioni sui contenuti femministi.
Metodi simili sono stati adottati con successo per reprimere altre campagne a sostegno di cause sociali come i diritti dei lavoratori e i diritti LGBTQIA+, e anche l’attivismo esplicito per i diritti delle donne, ora come ora, è praticamente impossibile. Ma se le voci più rumorose sono state ridotte al silenzio, gli ideali femministi sono sempre più universalmente condivisi. La fiamma del femminismo cinese continua ad ardere, soprattutto online.
La turbolenta storia del femminismo cinese
Il femminismo online in Cina ha una storia breve ma piuttosto turbolenta, i cui flussi e riflussi sono andati di pari passo con le limitazioni poste via via dal governo alla libertà di espressione. Giovani donne come Zhang sono spesso all’oscuro delle precedenti ondate di attivismo – cancellate da tempo dalla censura dello stato – ma non per questo non ne sentono l’influenza.
Lü Pin, una importante attivista femminista, ricorda l’età dell’oro dei social media cinesi. Weibo è stato lanciato nel 2009 ed è arrivato a 500 milioni di iscritti in quattro anni, anche perché in Cina i concorrenti stranieri come Facebook e Twitter erano bloccati. La piattaforma era un luogo in cui giornalisti, scrittori e accademici potevano discutere in relativa libertà dei temi più importanti nel paese. Nel 2010, Lü ha registrato l’account Voci femministe, dove venivano pubblicati commenti sulla violenza domestica, le molestie sessuali e altri temi legati ai diritti delle donne. In poco tempo è diventato l’account femminista più influente.
Le attiviste erano libere di diffondere le loro idee anche offline. Il giorno di San Valentino del 2012, per esempio, tre femministe hanno attraversato una strada affollata indossando abiti da sposa macchiati di rosso per richiamare l’attenzione sul tema della violenza domestica. Lo stesso mese è partita una campagna di “occupazione” delle toilette degli uomini per chiedere più bagni pubblici per le donne.

Censura e crescita su internet del femminismo cinese
Il vento è cambiato nel 2015, durante il primo mandato del presidente Xi Jinping. A marzo, la polizia di Pechino ha arrestato cinque attiviste femministe che distribuivano adesivi contro le molestie sessuali sui mezzi pubblici. L’incarcerazione per un mese delle Cinque femministe, come sono state poi chiamate, ha segnato una svolta. “Significava che gli eventi e i gruppi femministi organizzati non erano graditi al governo,” ha detto Lü a Rest of World. Quando le cinque donne sono state arrestate Lü si trovava negli Stati Uniti, e ha deciso di rimanerci.
Le restrizioni sono proseguite. Nel 2016, una nuova legge ha dato all’apparato di sicurezza il controllo sui finanziamenti e le attività delle Ong, provocando la chiusura delle più importanti organizzazioni per i diritti delle donne. Sempre più spesso, la polizia invitava eufemisticamente le attiviste femministe a “venire a bere una tazza di tè” per interrogarle.
Le donne si sono ritirate sui social media. “La cosa singolare del movimento femminista in Cina è che è quasi interamente online,” dice Lü. Voci femministe ha attirato sempre più interesse, raggiungendo un picco di oltre 250 mila follower tra le varie piattaforme. Ma il passaggio all’online, dice Lü, non è stato del tutto positivo. “La vera esplosione del femminismo online è arrivata dopo il progressivo restringimento dello spazio offline. Perciò, da questo punto di vista, la crescita su internet è legata a una contrazione, più che a un’espansione, dello spazio pubblico.”
L’arrivo del movimento #MeToo in Cina
Il movimento globale #MeToo, in cui le donne hanno condiviso storie di abusi e molestie sessuali, è arrivato in Cina il 1° gennaio 2018. In un lungo post su Weibo, Luo Xixi, laureata con dottorato all’università Beihang di Pechino, ha accusato il suo ex relatore di molestie sessuali. Altre donne hanno seguito il suo esempio. In oltre quaranta università cinesi le studentesse hanno firmato lettere aperte per chiedere provvedimenti contro le molestie sessuali nelle scuole. L’università di Beihang ha licenziato il relatore, che sosteneva di non aver fatto nulla di illegale.
Weibo ha censurato l’hashtag #MeTooInChina a metà gennaio. I social media cinesi di solito non rivelano come e perché prendono queste decisioni, ma gli esperti hanno spiegato a Rest of World che il governo ha la mano pesante. “La regola che il governo cinese applica in generale con i movimenti sociali è che non vuole che si formi una forza sociale abbastanza forte da provocare un’insurrezione o da portare instabilità,” dice Huang Qian, professoressa assistente presso il Centro per gli studi in media e giornalismo dell’università di Groningen. “Monitorano costantemente se uno specifico hashtag o uno specifico evento online cresce e diventa qualcosa di più grande.”
LA PUBBLICAZIONE \
Global feminism
Donne in lotta nelle inchieste del Premio Inge Feltrinelli
Gli omicidi dei dissidenti nel Messico degli anni ’70 e l’incessante ricerca della verità da parte di una figlia per far luce sulla scomparsa di sua madre, una militante comunista vittima della “guerra sporca”. Il #MeToo cinese e le battaglie femministe di emancipazione che corrono sui social sfidando la censura del governo. I femminicidi politici in un’indagine che attraversa 58 Paesi e le storie di 287 di leader politiche, avvocate, studentesse uccise in quando donne e in quanto attiviste.