L’immigrazione straniera in Italia rappresenta ormai una realtà strutturata e ramificata. La dimensione storica risulta essenziale al fine di superare approcci interpretativi che guardano all’immigrazione come a una eccezione o come a una anomalia: la ricostruzione storica ci permette al contrario di comprenderne in profondità la sua dimensione strutturale.
In Italia l’immigrazione è stata poco visibile fino alla fine degli anni Ottanta, per essere precisi fino al 1989.
Questo non significa che nella fase precedente non ci fossero immigrate e immigrati provenienti dall’estero, quali i profughi stranieri nell’immediato dopoguerra, i migranti provenienti dai territori delle ex colonie italiane in fase di decolonizzazione, le lavoratrici del settore domestico, i primi gruppi di lavoratori reclutati all’estero, come i tunisini che già negli anni Sessanta vengono chiamati a lavorare in Sicilia.
Erano tuttavia molto pochi rispetto alla crescita degli ultimi trent’anni.
Nel 1989 la caduta della cortina di ferro nell’Europa dell’est produce l’apertura di un nuovo ciclo di mobilità da est a ovest dell’Europa che in breve tempo diventerà il più numeroso per quanto riguarda l’Italia.
Nello stesso anno l’omicidio di Jerry Masslo (immigrato sudafricano) a Villa Literno (Caserta) apre gli occhi all’intera opinione pubblica nazionale rispetto al razzismo, allo sfruttamento nel comparto agricolo e alle gravi lacune presenti nella legislazione italiana in materia di asilo.
Proprio negli anni a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta il tema dell’accoglienza inizia a essere affrontato in maniera diffusa sul territorio, con l’avvio delle prime iniziative di sostegno sociale ai gruppi di immigrati più vulnerabili, il varo di percorsi di integrazione con il coinvolgimento delle amministrazioni locali e la strutturazione di linee guida all’interno di istituzioni nazionali, prima fra tutte la scuola.
Interventi legislativi
Gli interventi legislativi accompagnano l’evoluzione e la crescita dell’immigrazione, che a partire dagli anni Novanta è molto sostenuta: al censimento del 1991 i cittadini stranieri residenti sono circa 400mila, al censimento del 2001 salgono a circa 1.300.000 e al censimento del 2011 sono circa 4 milioni.
Prima la legge Martelli nel 1990 e poi la Turco Napolitano nel 1998 intervengono sul tema dell’asilo e dell’accoglienza. Nel frattempo, nuovi conflitti su scala globale generano la moltiplicazione di arrivi di profughe e profughi provenienti da teatri di guerra: è il caso per esempio di coloro che fuggono dalle guerre balcaniche e dalla guerra civile in Somalia.
Questi flussi rappresentano un movimento di tipo nuovo rispetto al passato, se prima gli arrivi di rifugiati erano legati a singole presenze dilatate nel tempo, a partire dagli anni Novanta si intensificano arrivi più massicci, legati a contesti particolarmente caldi sul piano militare e politico.
Tipologie di accoglienza
Le forme di accoglienza che emergono nel corso degli anni Novanta sono riconducibili a tre tipologie: accoglienza spontanea dal basso, accoglienza legata alle attività degli enti locali, accoglienza pianificata a livello centrale.
Un esempio del primo caso è riscontrabile nella reazione della cittadinanza pugliese di fronte agli sbarchi di albanesi nella primavera del 1991, quando migliaia di persone mettono a disposizione le case al mare e soccorrono ripetutamente i naufraghi direttamente sulle coste.
Un esempio del secondo caso è riscontrabile nell’azione di numerosi enti locali che sviluppano percorsi di accoglienza nei confronti dei profughi provenienti dalla ex Jugoslavia tra il 1992 e il 1995.
Un esempio del terzo caso è l’organizzazione dell’accoglienza ai profughi del Kosovo nel 1999, avvenuta in una cornice legata alla partecipazione militare italiana alle missioni di pace e alla politica estera.
Sul finire degli anni Novanta la collaborazione tra enti locali, ministero dell’Interno e Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati delinea la nascita del Piano nazionale asilo, che vede la luce nel 2001.
Nel periodo successivo le modifiche adottate dalla legge Bossi Fini nel 2002 e la nascita del sistema Sprar cambiano il quadro.
Le politiche di accoglienza vengono centralizzate in maniera più decisa rispetto al passato e il ruolo degli enti locali risulta inserito in una pianificazione di ambito nazionale. Allo stesso tempo, la centralità dei territori è sempre più evidente: basti pensare che a partire dal 2002 l’esame delle domande di asilo viene affidato non più a una commissione nazionale con base a Roma, ma a commissioni provinciali collocate in sinergia con le prefetture in tutti i capoluoghi di provincia.
L’ulteriore sviluppo della storia dell’accoglienza è databile a seguito delle primavere arabe del 2010, che determinano un rapido aumento delle domande di asilo. Nasce una nuova forma di accoglienza, denominata straordinaria.
Fino al 2011 l’accoglienza dei richiedenti asilo era sostanzialmente riconducibile a due percorsi: da un lato le esperienze legate allo Sprar, dall’altro lato i Cara (Centri di accoglienza richiedenti asilo).
A differenze del percorso Sprar, i Cara rappresentavano un livello più emergenziale di accoglienza, finalizzato ai soli richiedenti asilo nella fase di espletamento delle loro domande di protezione e pensato per gestirne l’assistenza ma allo stesso tempo limitarne la libertà di movimento sul territorio.
I fatti del 2011 hanno introdotto una nuova tipologia di centri, di dimensioni più grandi, chiamati prima centri Ena (Emergenza Nord Africa) e poi dal 2014 Cas, Centri di accoglienza straordinaria. Sono strutture che vengono prese in carico dalle prefetture e affidate nella gestione a organizzazioni del privato sociale.
Una situazione in movimento
Il numero delle persone accolte a partire dalla crisi del 2011 si è progressivamente esteso in misura tale da aver influito sia sulle modalità stesse dell’accoglienza sia sui contesti sociali, economici e politici in cui hanno sede i centri. Per capire le dimensioni di tale sviluppo basta guardare ai dati dal 2012 al 2016. In Italia, infatti, in questo lasso di tempo il numero di richiedenti asilo e rifugiati ospitati nei vari centri governativi è passato da 16.844 a 188.084.
Successivamente si moltiplicano cambiamenti e modifiche, sia nell’ambito della progettazione Sprar (che viene modificata prima in Siproimi poi in Sai) sia nel contesto dell’accoglienza straordinaria, mentre nel frattempo emerge la diffusione di ulteriori profili quali l’accoglienza in ambito familiare e l’accoglienza in strutture legate a percorsi militanti quali quelli presenti soprattutto nelle grandi aree urbane nella cornice dei movimenti per il diritto all’abitare.
Allo stesso tempo, oltre alla dialettica tra centro e periferie, matura una nuova centralità dei contesti di frontiera, dove si sviluppano numerose esperienze, basti pensare a tutte le tipologie di accoglienza presenti in luoghi di transito quali le stazioni ferroviarie delle grandi città e le stesse frontiere marittime e terrestri.
La storia dell’accoglienza come è evidente è in continuo movimento e rispecchia i cambiamenti dell’immigrazione e i cambiamenti della società italiana.