Non soccombere all’estrattivismo “verde”

Una transizione ecologica giusta richiede la minimizzazione degli impatti dell’estrazione di risorse naturali,
comprese quelle necessarie alla transizione stessa (litio, nickel, manganese, grafite)

 


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Il ruolo delle imprese e degli Stati

Nel modello di capitalismo neo-liberale, le imprese private, in larga parte occidentali e cinesi, sono gli attori dominanti nell’estrazione e nella lavorazione delle materie prime, collocate principalmente nel Sud Globale. Gli Stati, invece, sono impegnati nel promuovere condizioni favorevoli agli investimenti privati, perpetuando una gara al ribasso in termini di regolamentazione e in termini fiscali. Il modello estrattivista (ndr l’estrazione su larga scala di risorse naturali principalmente per esportazione, con scarsa o nulla lavorazione) su cui si fonda il capitalismo è da sempre generatore di conflitti socio-ambientali e lo è anche nella sua versione “verde”, cioè legata alle risorse necessarie alla transizione ecologica come litio, nickel, manganese, grafite.

In luoghi come la Lapponia, Serbia, Portogallo, Sud Africa, Argentina e Indonesia si registrano mobilitazioni, con in prima linea le fasce popolari e le popolazioni indigene,  che si oppongono a progetti di estrattivismo “verde” o che esigono una gestione radicalmente diversa delle risorse. In Lapponia è il popolo indigeno Sámi che si mobilita da anni contro il progetto dell’enorme miniera di ferro di Gállok, in Svezia, criticata per il potenziale impatto devastante sull’ecosistema e sull’allevamento di renne, centrale nella loro economia e stile di vita. Un esempio del secondo tipo sono molte comunità che vivono a ridosso delle enormi riserve di litio sudamericane, per le quali le mobilitazioni sociali non sono necessariamente orientate a fermare i progetti ma a strappare maggiori compensazioni economiche alle imprese minerarie.

Esistono varie proposte per minimizzare l’impatto negativo dell’estrattivismo, quali il riciclo dei materiali, la responsabilizzazione delle aziende e il rafforzamento degli standard ambientali e sociali, come invocato ad esempio da Amnesty International. Si tratta di proposte necessarie che tuttavia non mettono necessariamente in discussione i fondamenti dell’estrattivismo e i rapporti di forza esistenti.

I nodi della nazionalizzazione

Alcuni paesi del Sud Globale, tra i quali Cile, Messico, Bolivia, stanno invece cercando di affermare un ruolo più centrale dello Stato nell’estrazione, processamento e vendita di risorse naturali. L’idea è che questo approccio, denominato “nazionalismo delle risorse”, possa aumentare la funzione redistributiva dello Stato. Il caso del Messico è quello forse più radicale e controverso. Nell’aprile 2022, il Parlamento del paese ha approvato una modifica alla legge mineraria che ha messo il litio sotto il controllo dello Stato e vietato lo sfruttamento da parte di imprese private. Nel frattempo, l’ex Presidente progressista Lopez Obrador ha revocato vari contratti di esplorazione dei giacimenti di litio già firmati con imprese private. Al di là del lato redistributivo, va detto che anche le imprese energetiche e minerarie pubbliche si macchiano spesso di violazioni di diritti umani, corruzione, inquinamento e imposizione di progetti sulle comunità.

La teoria dell’estrazione indispensabile

Alcune proposte provenienti dal Sud globale invocano invece lo smantellamento dei rapporti di potere neo-coloniali che le imprese energetiche (pubbliche o private) instaurano con le popolazioni. Più che una gestione statale dall’alto si invoca il controllo comunitario e/o decentralizzato di tali risorse nonché la democratizzazione dei processi decisionali, comprendendo anche il diritto di rifiutare progetti estrattivi, in particolar modo in territori indigeni, con alta biodiversità o fragili. Il sociologo uruguaiano Eduardo Gudynas ha teorizzato un’estrazione “indispensabile” delle risorse, cioè ridimensionata, con rigorosi criteri sociali ed ambientali, e orientata a soddisfare i bisogni umani più che l’accumulazione di profitti. Dal lato dei consumi si invoca invece una drastica riduzione per le classi sociali più privilegiate.

Una transizione ecologica giusta per le popolazioni locali richiede (tra le varie cose) la minimizzazione degli impatti socio-ambientali dell’estrazione mineraria e una riconfigurazione radicale dei rapporti tra grandi aziende energetiche, Stato e popolazioni, che nella forma (sbilanciata) attuale stanno generando grossi conflitti. Le proposte su come attuare una transizione giusta abbondano e si collocano su diversi livelli di ambizione, attuabilità e sfida al modello estrattivista dominante. Ciò che non ci possiamo permettere è di rimanere ancorati allo status quo fossile, con il suo bilancio terribile in termine di diritti e vite (umane e non)

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