Articoli e inchieste

I libri neri dei Balcani


Tempo di lettura: minuti

Francia, marzo 1993: le edizioni Arlèa danno alle stampe Le livre noir de l’ex-YugoslavieUna raccolta di ventuno rapporti sulle violazioni dei diritti umani in Bosnia Erzegovina nei premi mesi di conflitto, nello specifico tra il giugno 1992 e il gennaio 1993.

Bruxelles, dicembre 2020: viene consegnato alla Commissione Europea il Black book of pushbacks (vol.I e vol.II). Una raccolta di 1635 testimonianze di violenze e respingimenti illegali di persone migranti ai confini orientali dell’Unione Europea effettuati dal 2018, la maggior parte svoltisi sui confini tra Croazia e Bosnia Erzegovina.

I libri neri

libri neri, per uso comune, sono quei libri che raccolgono dati e testimonianze per denunciare crimini, molto spesso in corso, che non sono ancora stati puniti e che non sono sufficientemente conosciuti. A differenza dei libri bianchi o verdi, che sono codificati in specifiche definizioni e in determinati iter di compilazione e pubblicazione, i libri neri non rispondono a regole istituzionali. Anzi, questi nascono quasi sempre per iniziativa di giornalisti, operatori o testimoni sul campo per richiamare l’attenzione delle istituzioni su determinate situazioni di violazione e crimine.

Negli anni che intercorrono tra le pubblicazioni di questi due libri neri, la guerra di dissoluzione di Jugoslavia si acuisce e raggiunge livelli di violenza inauditi che si credevano non più realizzabili dopo la Seconda guerra mondiale. Il conflitto finisce e la Jugoslavia non esiste più, le persone e i territori sono dilaniati e confinati dentro nuovi bordi chiusi. I patti, le alleanze e i trattati ricostruiscono equilibri solo apparentemente stabili.

Nel frattempo, il processo di integrazione dell’Unione europea, sancito dal trattato di Maastricht del 1992, si rafforza e i confini interni si assottigliano, mentre quelli esterni si fortificano sempre di più.

Si fortificano a punto tale che, nel 2004, viene creata a sostegno delle polizie nazionali un’agenzia speciale, Frontex, “per assistere gli Stati membri dell’UE e i paesi associati Schengen nella protezione delle frontiere esterne dello spazio di libera circolazione dell’UE” e che l’Ungheria, dal 2015, costruisce un vero e proprio muro di rete metallica, sui suoi confini, lungo 523 chilometri.

Alcuni dei nuovi stati della exfederazione jugoslava, Slovenia e Croazia, diventano membri dell’Unione Europea che amplia, quindi, i suoi confini verso est.

                    2015, muro di rete metallica sui confini dell’Ungheria, lungo 523 chilometri

Le livre noire de l’ex-Jugoslavie

Conservato nella biblioteca di Fondazione Feltrinelli, è il risultato di un lavoro congiunto del giornale Le nouvel observateur (oggi L’Obs) e del gruppo Reporters sans frontières (RSF) che si poneva tre obiettivi:

riunire le informazioni raccolte da diversi soggetti attivi sul campo per creare una base di dati per denunciare quanto succedeva in Bosnia Erzegovina; diffondere le informazioni nella società civile non coinvolta affinché la consapevolezza di quello che stava accadendo non restasse confinata tra i soli “addetti”; mobilitare l’opinione pubblica per accelerare la condanna internazionale dei responsabili.

Come si legge nella prefazione, l’obiettivo però non era generare una denuncia generica o un’astratta dichiarazione internazionale, ma era una richiesta molto più concreta: la creazione di un tribunale internazionale che potesse giudicare e punire i responsabili delle violenze e dei crimini di guerra.

I rapporti scelti, ventuno in totale, sono stati compilati tra giugno 1992 e gennaio 1993 e sono il risultato di missioni investigative e inchieste sul campo, effettuate principalmente tramite interviste e raccolta di testimonianze di sfollati e rifugiati scappati dalle zone di combattimento.

Sono presenti report di istituzioni internazionali e organizzazioni umanitarie come: la Commissione Onu dei diritti dell’uomo, il Consiglio d’Europa, la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa e la Comunità Europea, la Croce Rossa Internazionale, Amnesty International, Medici senza frontiere, Helsinki Watch (una sezione di Human Rights Watch), Komitee Cap Anamur e Save the Humanity (ong di Sarajevo) e, in aggiunta, due report del Dipartimento di Stato del governo USA.

Completano la raccolta tre materiali di natura meno istituzionale, ma convalidati con gli stessi criteri di verificabilità delle fonti: l’analisi della studiosa Jadranka Cacic-Kupes dell’Università di Zagabria su Guerre, ethnicité et viol; la deposizione della studiosa Elisabeth Seitz dell’Università di Tubinga alla Commissione del Bundestag per le donne e la gioventù e il rapporto del gruppo femminista croato Tresnjevka.

The Black Book of Pushbacks

Invece, è il risultato dei primi anni di lavoro di Border Violence Monitoring Network (BVMN). Una rete costituitasi nel 2017 su iniziativa di diverse associazioni, ngos e gruppi operativi sulla Rotta balcanica dei percorsi migratori come: Are you syrious, Mobile Info Team, Blind spots, Collective Aid, Rigardu, I have rights, Info kolpa, PIC – Pravni Center za varstvo človekovih pravic in okolja.

La rete nasce con l’obiettivo di registrare e documentare i respingimenti illegali, i cosiddetti “pushbacks”, delle persone migranti che raggiungono senza visto i confini dell’Unione europea. Una pratica illegale secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, che introduce anche il principio di non-refoulement (artt.32-33), per il quale ogni persona ha diritto di chiedere, e di essere messa in condizione di chiedere, asilo in uno dei paesi firmatari della convenzione.

respingimenti, oltre ad essere illegali, sono accompagnati da violenze di diverso tipo: dalla distruzione dei cellulari o il denudamento al derubare, picchiare e seviziare le persone. In seguito all’aumento dei casi di queste pratiche, le associazioni sopracitate hanno deciso di organizzarsi affinché vengano raccolte, in modo sistematico e con criteri condivisi, le testimonianze di quanto succede e vengano conservate e rese disponibili in un database pubblicato sul sito Borderviolence.eu.

La raccolta delle testimonianze è costituita sia dalla registrazione di “hard data” (le date, i luoghi, le foto, referti medici, ecc.), sia dai resoconti narrativi dei respingimenti delle persone coinvolte. Il database che, come definito dai suoi stessi gestori, funziona come un “living archive”, fornisce le prove per le azioni di advocacy, le denunce e le conseguenti cause legali che vengono intentate per fare giustizia alle vittime dei respingimenti.

Come per le intenzioni che hanno sotteso alla pubblicazione de Le livre noire de l’ex-Jugoslavie, alla base del lavoro di BVMN c’è la volontà di denunciare le violenze e le violazioni dei diritti umani all’opinione pubblica perché diventi consapevole di quello che succede ai confini europei. Ugualmente, il lavoro di denuncia viene fatto anche, e soprattutto, presso le istituzioni, nazionali ed europee, affinché si generi la pressione necessaria per far dismettere, impedire e condannare l’utilizzo di queste pratiche illegali dalle polizie di confine.

Con questa intenzione, nel 2020, BVMN e i parlamentari europei del gruppo The Left decidono di pubblicare le testimonianze concernenti circa 24.990 individui che hanno subito violenze e respingimenti sui confini nel The Black Book of Pushbacks e di presentarlo alla Commissione europea.

Lungo gli stessi confini

Quello che colpisce è che, a distanza di trent’anni, entrambe le fonti testimoniano, seppure in contesti diversi, di violenze e violazioni dei diritti umani negli stessi luoghi, lungo gli stessi, e per gli stessi, confini.

Confini che da quando sono stati imposti come guardiani di identità nazionali e comunitarie non hanno smesso di violare e generare conflitti: ieri per dividere i resti di una repubblica federale, oggi per proteggere i privilegi di un’unione politica ed economica occidentale. Una guerra, quella di dissoluzione della federazione Jugoslava, è terminata e le tensioni residue vengono gestite con la diplomazia e gli accordi internazionali.

Confrontando i report di entrambi i libri, però, si ha l’impressione che le pratiche della guerra non si siano esaurite e che, come osserva lucidamente Maurizio Pagliassotti, giornalista che ha percorso le rotte dei migranti nel 2021: “Da questo confine [Croazia-Bosnia Erzegovina], spostandosi verso sudest, altro non c’è che un conflitto a bassa intensità che produce feriti, morti e affari, ovvero le caratteristiche di ogni guerra”.

Protagonisti diversi

Ma se la natura e il contenuto di queste due fonti ci portano a riscontrare somiglianze e ricorrenze, è necessario rimarcare anche la presenza di alcune diversità. Una delle più interessanti è probabilmente quella che riguarda i destinatari dei libri neri. Nel 1993, il gruppo di giornalisti che decide di comporre Le livre noir presenta, principalmente, report scritti da organismi internazionali in posizione “terza” rispetto ai belligeranti, tra cui anche la Comunità Europea e il Consiglio d’Europa, e si appella a un intervento della comunità internazionale e, in particolare, all’Onu per il quale, come si legge nella prefazione, è in gioco la sua “credibilità”.

Nel 2020, invece, gli attivisti e i parlamentari europei che decidono di comporre e pubblicare The black book si appellano, in primis, alla Commissione europea. La questione, infatti, è tutta concernente l’Unione europea, che non è solo destinataria, ma soprattutto protagonista: le polizie che violano e violentano sono europee, i confini sono diventati quelli orientali dell’UE e i redattori dei report sono gruppi europei. La Commissione europea viene interpellata affinché avvii procedure di infrazione contro gli stati membri che attuano i respingimenti.

Il 25 maggio 1993, due mesi dopo la pubblicazione de Le livre noire, l’Onu costituisce il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Il Tribunale viene creato che la guerra e i suoi crimini sono ancora distanti dall’esaurirsi, ma esiste e resta in funzione fino al 2017.

Nel 2021, quattro corti nazionali di stai europei – Slovenia (Corte suprema), Austria (Tribunale amministrativo di Stiria), Croazia (Corte costituzionale) e Italia (Tribunale di Roma) – hanno condannato l’illegalità di altrettanti episodi di respingimento ai propri confini. Lo stesso anno, la Corte europea dei diritti umani condanna la Croazia per il respingimento illegale di una famiglia afghana.

Tra il 2020 e il 2022, però, le testimonianze di respingimenti e violenze aumentano a tal punto che il gruppo di lavoro del The Black book of pushbacks decide di pubblicare una seconda edizione aggiornata, dove nell’introduzione si legge, di nuovo:

“Questa nuova edizione del libro nero mira a chiedere ai governi responsabili e all’UE di rispondere della tortura, dei trattamenti inumani e degradanti e della violazione del diritto alla vita, violazioni che le persone in cerca di sicurezza nell’Unione europea devono affrontare ogni giorno”.

L’anniversario della distruzione del ponte di Mostar, un atto criminoso che ha visto condannare i suoi responsabili nel 2013 dal Tribunale penale internazionale dell’ex Jugoslavia, è l’occasione simbolica per ricordare tutti i crimini e le violenze commesse sui confini di quella guerra, ma anche per guardare oggi quegli stessi confini e chiedersi: verrà creato un tribunale penale internazionale per i crimini di frontiera?

Quando gli stati membri torneranno a rispettare e ad applicare il diritto comunitario e internazionale, consentendo alle persone in movimento di chiedere asilo sul territorio dell’UE?
Quando l’UE smetterà di finanziare le forze di frontiera responsabili dei respingimenti e delle violenze?

Nell’incerta attesa di risposte, si rende ancora più prezioso il lavoro di chi raccoglie dati e testimonianze, di chi gestisce e conserva gli “archivi viventi” affinché si difendano le fonti per rendere giustizia, se non già oggi, forse domani.

La Fondazione ti consiglia

Restiamo in contatto