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Gli intellettuali e il divorzio


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1974-2024: cinquant’anni dal referendum sul divorzio
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Il terzo occhio dell’intellettuale

Il terzo occhio dell’intellettuale – che permette di scrutare e indagare il presente oltre le apparenze, di intuire le tendenze racchiuse nelle persone e nella società, di anticipare gli sviluppi della realtà e di disvelarne i contorni – guardò partecipe il dibattito intorno alla legge sul divorzio e al successivo referendum abrogativo del 1974.

L’intellettualità italiana svolse un ruolo cruciale nell’orientare l’opinione pubblica e nel plasmare il percorso legislativo, giocando un ruolo fondamentale nell’evidenziare le contraddizioni di un sistema che negava la realtà dei fallimenti coniugali e delle situazioni disfunzionali.

Un tema assai controverso

Una prima mobilitazione politica prese forma con la “Lega Italiana per il divorzio” (Lid) fondata da Marco Pannella nel 1965, quando venne presentato alla Camera dei deputati uno specifico progetto di legge. I fari dunque vennero puntati su un tema assai controverso, delicato e di difficile trattazione anche per il mondo laico e progressista, che aprì le porte alla legge Baslini-Fortuna, ovvero la n. 898 del 1970 sul divorzio. Invero, la Corte Costituzionale aveva già favorito la riforma fin dagli anni Sessanta, con l’emanazione della sentenza che nel 1968 aveva abrogato l’articolo 559 del Codice Penale relativo al reato di adulterio femminile. Un passaggio importante per un Paese che fino al 1956 aveva considerato normale, e sancito dalla legge, che un uomo picchiasse la moglie per “correggerla” (ius corrigendi).

“Un tentativo di controrivoluzione preventiva”

Quello della Baslini-Fortuna fu un iter parlamentare lungo e complesso «quasi imposto alla classe politica», come sostenne Giorgio Galli (nel suo intervento di apertura del dibattito promosso dall’Associazione di cultura e politica il Mulino il 26 febbraio 1972), dai nuovi attori sociali emergenti dal lungo Sessantotto.

Si era infatti insinuata nell’opinione pubblica, la linea tracciata da Carlo Levi nei giorni del referendum, secondo la quale la difesa dell’istituzione matrimoniale:

“È un tentativo salazariano di fermare il corso della storia, di impedire con falsi scopi la sempre maggiore partecipazione delle forze popolari alla direzione della cosa pubblica, intesa a dare alla democrazia e alla libertà, per opera e lotta popolare i suoi nuovi istituti, e i nuovi necessari sviluppi politici e economici. È dunque, questo tentativo di salto all’indietro, qualche cosa che va molto al di là del suo falso scopo, della questione di alcuni casi di scioglimento dei matrimoni già sciolti di fatto. È un tentativo di controrivoluzione preventiva”.
– Carlo Levi, Il peccato cosmico (Il fanatismo dei crociati del referendum), in “L’Unità”, 12 maggio 1974).

Cambiamento dei valori nei ceti medi

La classe politica tutta era restia ad affrontare il tema e, secondo Pier Paolo Pasolini, non comprese appieno la portata del referendum: «Gli italiani si sono mostrati infinitamente più moderni di quanto il più ottimista dei comunisti fosse capace di immaginare. Sia il Vaticano che il Partito comunista hanno sbagliato la loro analisi sulla situazione “reale” dell’Italia».

Pasolini scorse nel “no” al referendum la mutazione antropologica in atto, sostenendo di fatto che la vittoria fosse da ascrivere al cambiamento di valori di cui erano protagonisti i ceti medi della società italiana. «L’ideologia edonistica del consumo e della conseguente tolleranza modernistica di tipo americano» stava penetrando a fondo nell’Italia degli anni Settanta. (Pier Paolo Pasolini, Gli italiani non sono più quelli, in “Corriere della sera”, 10 giugno 1974).

La legge sul divorzio come il primo passo

Oltre ai nomi di rilievo nel mondo politico e intellettuale, protagonista del dibattito fu però un femminismo sempre più diffuso e consapevole, convinto che la legge sul divorzio fosse solo il primo passo per minare alla base le disuguaglianze tra i sessi.

Come sosteneva Mariella Gramaglia in Referendum e liberazione della donna (in “Famiglia e società capitalistica”, Alfani editore, 1974), era tempo di scoprire le carte:

«Il matrimonio e la famiglia sono un contratto fra uguali solo formalmente: le radici strutturali su cui questo rapporto si articola sono, invece, ancora una volta orientate nella logica del dominio e dell’oppressione […] la famiglia sclerotizza, uccide, mortifica la donna in un ruolo fatto di lavoro domestico ripetitivo, di esclusione dal sociale, di cancellazione del cervello, di sessualità asservita a una riproduzione non scelta».

Il delinearsi di un protagonismo femminile autonomo

Da qui l’evidenza delle contraddizioni fondamentali nella “cellula portante” della società italiana, la famiglia appunto e il delinearsi di un protagonismo femminile autonomo e in grado di mettere in discussione il “simbolico maschile”.

I due corpi del femminismo italiano – il primo che si richiamava direttamente alla tradizione marxista e il secondo basato sulla contrapposizione tra i sessi nell’ottica della trasversalità sociale – si unirono in questo frangente.

Di particolare rilievo è il manifesto redatto da Carla Lonzi, Elvira Banotti e Carla Accardi per “Rivolta femminile”, che portava in sé sessantacinque punti programmatici affissi sui muri di Roma e Milano nel luglio del 1970 e che ebbe un’ampia eco, gridando un’aspra protesta nei confronti della condizione femminile: «Nel matrimonio –si leggeva – la donna, privata del suo nome, perde la sua identità e ciò significa il passaggio di proprietà che è avvenuto tra il padre di lei e il marito». Un rifiuto della famiglia patriarcale unito alla “mistica della femminilità”.

Fondamentale contributo alle nuove conquiste

Il mondo femminista, benché privo di un coordinamento centrale e locale che ne penalizzò certamente l’azione, seguì la riforma con grande partecipazione. Varie le manifestazioni locali, degna di rilievo è quella romana del 27 aprile 1974, e significativo fu il ruolo della rivista “Effe”, che descrisse attentamente le varie ipotesi di riforma seguendo prontamente l’iter legislativo. Fu il femminismo, è bene ricordarlo, a dare un fondamentale contributo alle nuove conquiste giuridiche che seguirono il referendum: il nuovo Codice di diritto di famiglia del 1975 che sanciva la parità legale fra i coniugi; la legalizzazione dell’aborto del 1978; l’abrogazione del delitto d’onore nel 1981 e l’istituzione, nel 1984, della Commissione Nazionale per la parità e la pari opportunità tra uomo e donna.

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