Politiche anti-immigrazione e radicamento nell’ex DDR: la scalata dell’ultra-destra in Germania
Sabato 19 ottobre, ore 15, Marzahn, periferia nord-est di Berlino. Lo striscione recita: “Stop al terrorismo della sinistra”. Magliette, bandiere e simboli dell’area neonazi. Il corteo è pronto a partire da un parcheggio a pochi metri dalla stazione metropolitana di Springpfuhl. I manifestanti non sono molti: 100, forse qualcosa di più. Ci sono alcuni volti noti dell’estrema destra tedesca. E poi ci sono decine di giovani, giovanissimi: 20 anni, 18 anni, anche meno. Tra di loro i membri di nuovi gruppi che hanno già attirato l’attenzione della polizia berlinese: “Jung und Stark” (Giovani e Forti), “Deutsche Jugend Voran” (Avanti Gioventù Tedesca).
Ai fotografi che li ritraggono, i ragazzi mostrano con la mano il simbolo dell’OK: pollice e indice a formare un cerchio, più le altre dita divaricate. Da alcuni anni il gesto indica anche le iniziali WP, White Power, sigla del suprematismo bianco. Scortato dalla polizia, il gruppo inizia a camminare, lasciandosi alle spalle Allee der Kosmonauten, una grande strada che porta ancora il nome che la DDR dedicò agli astronauti del socialismo reale. L’obiettivo del corteo di estrema destra è contestare una manifestazione di circa 1.300 militanti della sinistra radicale e antifa, che sfilano poco più avanti, in direzione della Mehrower Allee, sempre tra i palazzoni di cemento di Marzahn. Per evitare contatti tra i due gruppi, gli agenti in tenuta antisommossa impongono ampie distanze di sicurezza, alcune fermate della linea metropolitana vengono chiuse.
Tra i manifestanti di estrema destra c’è anche una ragazza, attorno alle spalle ha la bandiera della ex DDR: il tricolore tedesco, con al centro martello, compasso e corona di grano. Dal corteo si alzano canti che inneggiano a una Germania solo per i tedeschi. Poi parte anche un coro più particolare: “Ost-Ost-Ost Deutschland!”, “Est-Est-Germania dell’Est!”
L’estrema destra extraparlamentare e l’ultra-destra parlamentare
La differenza fra l’estrema destra extraparlamentare e neonazista e un partito populista di ultra-destra come AfD, Alternative für Deutschland, resta sostanziale ed è sempre analiticamente scorretto ignorarla. Tra i due mondi ci sono però molteplici filamenti di contatto diretto, così come sorgenti teorico-ideologiche comuni.
Quando questi filamenti emergono pubblicamente, la dirigenza di AfD li recide innanzitutto per il proprio interesse politico. L’ultimo di questi filamenti, decisamente emblematico, è stato l’arresto la mattina del 5 novembre di un giovane politico locale di AfD in Sassonia, identificato dai media come Kurt Hättasch, sospettato insieme ad altre sette persone di far parte di un gruppo terroristico di estrema destra che si era dato il nome di “Sächsische Separatisten” (SS – “Separatisti Sassoni”). Le persone accusate dalla GBA (Procura Generale Federale tedesca) avrebbero tra i 21 e i 25 anni, mentre Kurt H. sarebbe addirittura rimasto ferito dopo uno scontro con la polizia al momento del suo arresto. L’uomo è indicato anche come politico della JA – Junge Alternative, l’organizzazione giovanile di AfD. Anche altri due degli arrestati farebbero parte dei giovani di AfD. La JA della Sassonia ha intanto negato ogni collegamento con il gruppo “Sächsische Separatisten” e dichiarato che l’organizzazione aspetterà l’esito delle indagini ed espellerà eventualmente chi coinvolto.
Sul piano analitico, le manifestazioni più estreme di un’area sono spesso espressioni di un trend più complessivo. Sia per la realtà extraparlamentare neonazi sia per l’ultra-destra parlamentare AfD si possono quindi osservare almeno tre processi strutturali di affermazione.
Il primo sono le campagne anti-immigrazione come elemento di nuovo consenso su tutto il territorio tedesco. Il secondo processo è un particolare successo tra giovani e giovanissimi. Il terzo processo è la forte territorializzazione delle destre radicali nei Länder dell’ex Germania Est, tramite la formazione di un nuovo etno-identitarismo orientale (in Brandeburgo, Meclemburgo-Pomerania Anteriore, Sassonia, Sassonia-Anhalt e Turingia, così come in alcune aree della città-Stato di Berlino). Questi tre processi sono ovviamente strettamente intrecciati e si alimentano vicendevolmente. Un esempio: alle scorse elezioni locali in Turingia, Land dell’ex DDR, il 38% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha votato per AfD. Un voto che va letto come il completamento di uno sdoganamento politico, uno sfondamento nella società, non più un voto di protesta, ma un’apertura politico-morale da parte di pezzi di società alle agende dell’ultra-destra.
La posizione anti-immigrazione come nucleo strutturale
AfD è al momento il primo partito in diverse aree della Germania dell’Est (spesso con oltre il 30%) ed è il secondo partito tedesco nei sondaggi nazionali (con valori decisamente minori, che oscillano tra il 16 e il 20%).
Se si guarda alla storia degli ultimi dieci anni, AfD non sarebbe oggi nel Bundestag tedesco e nei parlamenti dei Länder se non ci fosse stata la cosiddetta crisi dei migranti del 2015-2016 e la Willkommenspolitik di Angela Merkel, cioè la politica dell’accoglienza che aprì le frontiere a oltre 1 milione di richiedenti asilo (tra cui molti in fuga dalla guerra in Siria). In quegli anni, mentre la conservatrice CDU della Kanzlerin si posizionava al centro dello spettro politico e assorbiva tatticamente tematiche di sinistra sul dossier immigrazione, si creò, per la prima volta dal dopoguerra, un nuovo spazio alla destra dei cristiano-democratici. AfD – che era nata nel 2013 come un partitino di professori anti-euro – si riorientò quindi agilmente sulle campagne anti-immigrazione e partì all’attacco del nuovo spazio libero. è nel quadro dello shock sistemico del 2015-2016 che pezzi di Germania hanno così iniziato ad allontanarsi da una fiducia complessiva nei confronti della politica convenzionale e ad abbandonare una parte dei tradizionali tabù sulla destra radicale. In questa fase, il caso delle aggressioni e molestie sessuali di massa del Capodanno 2016 a Colonia è stato certamente una prima cesura socio-mediatica. In modo accelerato, AfD è quindi riuscita a raccogliere consenso soprattutto tramite una rivendicata islamofobia e il rifiuto dell’immigrazione innanzitutto da paesi arabi o a maggioranza musulmana. Nei primi anni, un volano fondamentale per la diffusione di AfD è stato infatti il movimento di piazza PEGIDA, acronimo in tedesco di “Patrioti Europei contro l’Islamizzazione dell’Occidente”.
Nonostante i successi dell’ultra-destra dal 2016 in poi, tutti i partiti tedeschi hanno fino a oggi sempre rispettato il Brandmauer, il cosiddetto “muro spartifuoco”, il cui scopo è evitare qualsiasi alleanza con AfD, su base nazionale o locale. Dinamica che non ha però permesso alcun assorbimento o spezzettamento dell’ultra-destra tramite un’azione esterna. Ai vertici di AfD si sono nel frattempo susseguiti diversi golpe interni, solitamente vinti dalla corrente più di estrema destra dello stesso partito, a scapito ad esempio delle impostazioni di destra conservatrice-liberista. Oggi in AfD, soprattutto a Est, è emblematico il ruolo della corrente guidata da Björn Höcke, che è analizzabile come etno-nazionalista, völkisch, razzista, anti-liberale, anti-islamica e antisemita. La corrente è ormai informalmente sempre più egemonica e la sua agenda è spesso in sintonia con le evoluzioni e dissimulazioni della Neue Rechte (Nuova Destra) e dello stesso neonazismo.
Al di là delle varie declinazioni interne ad AfD, il collante populista del partito rimane sempre l’attacco incessante alle debolezze della politica migratoria tedesca degli ultimi nove anni. Si tratta di un bersaglio talvolta facile, le cui disfunzioni più evidenti partono dalla elefantiaca burocratizzazione di un sistema inefficace e giungono ai costi dell’accoglienza scaricati su comuni ed enti locali che hanno ripetutamente dichiarato di essere allo stremo.
A queste criticità strutturali delle politiche migratorie si aggiunge, come altrove in Europa, il tema della sicurezza. La Germania resta un paese sicuro se confrontato su scala globale, ma le popolazioni valutano innanzitutto la propria esperienza diretta rispetto al passato. E in varie aree della Germania risulta essere aumentata la criminalità violenta (secondo il report per l’anno 2023 della BKA, la Polizia Criminale Federale tedesca, c’è in questo campo una sovrarappresentazione statistica dei cittadini non tedeschi tra gli indiziati dei reati violenti).
Una lunga trattazione a parte meriterebbero infine i legami tra immigrazione ed estremismo-terrorismo islamista, la cui attività ha creato in Germania un processo di crescente fomentazione reciproca proprio con l’estremismo di destra.
Il ritorno dei valori conservatori, da destra a sinistra
Tutto lo scenario qui descritto mostra intanto come esistano basi oggettive per posizioni anti-immigrazione potenzialmente accettate e condivise da un’ampia fetta della società tedesca.
Importante è notare come anche l’opposizione CDU abbia re-impostato il proprio messaggio su un indurimento law and order del controllo dei flussi migratori, della micro-criminalità e, non a caso, della Clan-Kriminalität. Il leader dei cristiano-democratici, Friedrich Merz, ha infatti l’obiettivo di far dimenticare il merkelismo e riportate il partito nell’alveo della destra conservatrice. Lo scopo tattico è recuperare almeno una parte di voti da AfD. Al tempo stesso, Merz ha promesso ripetutamente di non voler mai collaborare con l’ultra-destra, in rispetto del Brandmauer (nonostante alcune realtà CDU locali ci abbiano già provato).
È in questo contesto che anche il cancelliere Olaf Scholz e la ministra dell’Interno Nancy Faeser, entrambi della SPD, non hanno trovato altra soluzione se non cercare di contenere le campagne anti-immigrazione di AfD mettendo un freno agli stessi ingressi di migranti, a partire da quelli cosiddetti illegali, tramite l’imposizione di nuovi controlli di polizia su tutti i confini tedeschi. La seppur parziale sospensione di Schengen è stata giustificata presso l’Ue proprio come una risposta emergenziale ai pericoli del terrorismo islamista e degli episodi di criminalità violenta provenienti da migranti. Una scelta che il governo Scholz può tecnicamente permettersi senza troppi problemi, grazie al privilegio di non essere sulle frontiere esterne dell’Unione.
Le prossime elezioni federali tedesche erano programmate per il 28 settembre 2025, ma la crisi della coalizione del governo Semaforo, scatenatasi la sera del 6 novembre, suggerisce che in Germania si andrà alle urne molto prima, potenzialmente entro fine marzo 2025. In una campagna elettorale già iniziata ancora prima della spaccatura nel governo, l’idea di spingere per una politica di maggiore apertura all’immigrazione è generalmente considerata come assolutamente auto-distruttiva.
Sotto accusa non è il diritto d’asilo, ma la cosiddetta immigrazione economica, che viene invece sostituita da un’idea di immigrazione professionale pre-selezionata e pre-subordinata agli interessi industriali e produttivi tedeschi. Le posizioni di maggiore e rinnovata apertura all’immigrazione non sembrano invece in grado di creare in Germania alcun nuovo consenso sul breve periodo, se non all’interno di bacini già determinati, come dimostrano la parabola discendente dei Verdi o la crisi drammatica della Linke. Anche il nuovo partito di “sinistra conservatrice”, la BSW di Sahra Wagenknecht, ha posizioni anti-immigrazione, pur non avendo una cifra xenofoba.
L’ultra-destra è giovane
Se qualche anno fa si era diffusa l’interpretazione molto errata che l’ultra-destra fosse in Germania una faccenda da boomer, sta ora emergendo un trend ben differente. Inserendosi in una costellazione di senso e confronto politico fortemente basati sulle identity politics, è sempre meno inusuale che nella generazione Z tedesca emergano anche posizioni neo-identitarie bianco-europee (così com’è avvenuto già negli USA). Questo meccanismo assume ancora più importanza in una generazione tedesca in cui i cittadini senza o con background migratorio sono cresciuti tutti insieme. Che nelle scuole, negli spazi urbani e negli spazi pubblici ci siano da anni delle conflittualità identitarie tra giovanissimi è un tema a lungo evitato dal dibattito politico tedesco. Lo stesso vale anche al di là dell’esperienza diretta nelle zone più multiculturali della Germania: è sufficiente considerare il peso delle conflittualità identitarie negli enormi spazi digitali delle piattaforme social, dove la corsa al nutrimento identitario è notoriamente fortissima, perché dopata dal targeting algoritmico. Spazi dove la propaganda veloce e semplificata dell’ultra-destra sta riuscendo a scatenare e incanalare passioni politiche nella gen Z.
Il meccanismo della diffusione su TikTok e altri social dell’estrema destra tedesca, del resto, non è molto diverso da quello su cui si basa il successo di nuovi predicatori islamisti-pop (anche in lingua tedesca) o di altre campagne politiche che hanno il loro carburante nei ritmi di una costante e sempre più esacerbata polarizzazione.
Il targeting dell’estrema destra di giovani e giovanissimi si basa sui già ampiamente citati messaggi anti-immigrazione, su cui vengono poi costruite narrazioni che sollecitano un orgoglio etno-tedesco (o tedesco-orientale) in opposizione alle identity politics, intersezionalità e rivendicazioni delle minoranze. Anche la colpa tedesca del nazionalsocialismo viene sempre più destrutturata, ad esempio venendo rappresentata come ingiusta rispetto al diritto all’orgoglio identitario, etnico o anche nazionale delle minoranze presenti in Germania (si veda il caso della comunità turco-tedesca). Diritti civili e Lgbtq+ vengono infine frontalmente attaccati perché ritenuti un fattore disgregante di una società tradizionale che, secondo l’ultra-destra, deve ora innanzitutto ricompattarsi, per difendersi dalla trasformazione o sostituzione etnica.
Negli ultimi anni le interpretazioni mainstream hanno insistito con una certa compiacenza nel ridurre la generazione Z e i più giovani alle sole esperienze politiche dell’ecologismo radicale o di altre prospettive di (neo)sinistra. Ma anche in Germania emergono ora segmenti di giovani delusi e rabbiosamente frustrati da queste e altre offerte politico-esistenziali. Giovani invece conquistati da narrazioni etno-identitarie e da quella che lo storico Volker Weiß ha definito con precisione una nuova “rivolta autoritaria”, incluso un ribellismo che contiene sia un senso di emancipazione sia una spinta eversiva consapevolmente anti-liberaldemocratica.
La ex-DDR e le radici della destra radicale
È un dato oggettivo che la Germania dell’Est sia un laboratorio politico sia dell’ultra-destra parlamentare sia di gruppi dell’estrema destra extraparlamentare. Nei cinque Länder dell’ex DDR, AfD è attualmente capace di raccogliere circa ⅓ dei voti, così come di contare su una ancora più ampia tolleranza (o non completa stigmatizzazione) nella società.
La specificità del successo di Alternative für Deutschland nella Germania orientale si basa innanzitutto sulla sovrapposizione di due gruppi sociali cruciali. Il primo gruppo sono coloro che si percepiscono come sconfitti della Riunificazione tedesca: cittadini economicamente deboli ma non solo, delusi dalle promesse della Germania annunciata nel 1990, che si percepiscono ancora come tedeschi di serie B. Per queste persone assume un ruolo decisivo l’etnicizzazione delle rivendicazioni sociali offerta da AfD, laddove proprio il multiculturalismo viene scelto e bersagliato come pilastro ideologico-morale di quella Germania occidentale che viene sempre più spesso rifiutata, osteggiata e talvolta disprezzata.
Il secondo gruppo sono coloro che si percepiscono come un mancata élite sul proprio territorio: un ceto medio-alto autoctono dell’Est che pensava di guidare l’era post DDR, ma che ha invece assistito per anni a una vera e propria colonizzazione dirigenziale da parte dell’Ovest, tramite il flusso verso oriente di un surplus professionale, burocratico e manageriale occidentale. Anche questa élite mancata è andata a recuperare, con spirito convintamente reazionario, le formule ideologiche tedesche più ostili alla Westbindung (l’ancoraggio a Occidente di Berlino), a partire da un euroasianesimo anti-liberale e drasticamente filo-russo (che si è rafforzato ancora di più con il conflitto in Ucraina).
La base storica su cui poggia il successo di AfD nei Länder orientali è ovviamente anche l’esperienza stessa della DDR, vissuta però con estrema ambivalenza, cioè sia come memoria negativa sia come nostalgia positiva. Quest’ultima è legata per alcuni cittadini orientali al ricordo, più o meno veritiero, di un paese senza competizione individuale e con un’idea di comunità molto compatta. La memoria negativa ruota invece intorno alla diffidenza nei confronti dello stato, le sue repressioni, la sua propaganda, le sue narrazioni dominanti. Diffidenza che una minoranza forte e rumorosa della ex DDR proietta ora contro le istituzioni contemporanee della Repubblica Federale di Germania. In questo senso si può leggere anche la sfiducia, inevitabilmente preziosa per l’ultra-destra, per il concetto di Antifaschismus (antifascismo). Il termine fu infatti uno dei pilastri della propaganda e dell’autolegittimazione della dittatura socialista. Il concetto di un Antifaschismus di stato fu anche il passepartout con cui il regime della DDR assolse se stesso e la società tedesco-orientale da qualsiasi vincolo con il nazionalsocialismo. Nel paese della Stasi, il nazismo fu convenientemente derubricando a contraddizione interna della storia del capitalismo. Una traiettoria molto diversa da quella che fu invece l’elaborazione del Terzo Reich nella Germania occidentale. Il risultato è che oggi l’introiezione e l’elaborazione dei crimini nazisti sono comunque molto più radicate a Ovest rispetto a Est. Automaticamente, nell’ex DDR c’è stata poi meno cautela nell’avvicinarsi a programmi di ultra-destra o a rispolverare idee legate al nazionalismo etnico e völkisch pre-nazista.
L’eredità degli “Anni delle mazze da baseball”
Fondamentale per comprendere come il passato della Germania orientale influisca sul suo presente è tuttavia anche un altro fenomeno storico, spesso più trascurato. Si tratta della penetrazione e strutturazione dell’estremismo di destra nei territori della ex DDR subito dopo la caduta del Muro di Berlino, già a partire dalle settimane successive al 9 novembre 1989. Nei mesi ancora prima della Riunificazione del 3 ottobre 1990, la scena neonazista della Germania Ovest si precipitò letteralmente a Est per costruire nuove alleanze e sinergie. La DDR in disfacimento aveva da alcuni anni una sua galassia neonazi, ma l’entusiasmo dei neonazisti dell’Ovest era soprattutto mosso dall’idea di potersi muovere in una Germania ancora etnicamente omogenea, profondamente anti-liberale e istintivamente xenofoba. Tramite la cosiddetta “solidarietà internazionale” necessaria al socialismo tedesco, nella ex DDR erano presenti alcuni gruppi di lavoratori di paesi “amici”, come Mozambico, Vietnam, Cuba e altri. Ma queste comunità furono sempre ghettizzate e nella Germania comunista non ci fu mai nessuna reale integrazione o elaborazione della diversità. Non appena la dismissione della DDR portò le prime insicurezze e sradicamenti socio-esistenziali a Est, per il neonazismo riunificato diventò quindi facile infiammare il più possibile una retorica xenofoba e ultra-nazionalista. Ancora più invitante per i neonazi fu il fatto che nella ex DDR la polizia e le autorità fossero tra smantellamento e riorganizzazione, e quindi a lungo inefficienti nel controllare i territori. Un fenomeno che, notoriamente, favorì a Berlino una stagione di occupazioni autonome e anarchiche. Meno noto è che in quei mesi anche dei gruppi neonazisti si dedicarono a iniziative simili, ad esempio tramite il gruppo “Nationale Alternative”, che guidò l’occupazione neonazi di un caseggiato nella Weitlingstraße di Berlino Lichtenberg.
Nel settembre del 1991 esplosero poi, con spinte spontaneiste neonaziste, i violenti scontri anti-immigrati nella città ex DDR di Hoyerswerda, polo industriale del carbone che con la Riunificazione aveva visto d’un tratto svanire tutto il suo status produttivo. A Hoyerswerda, altrettanto improvvisamente, gli abitanti iniziarono a sfogare la loro rabbia cieca attaccando i lavoratori del Mozambico che per anni avevano vissuto e lavorato al loro fianco. Nell’agosto del 1992 arrivarono quindi le feroci sommosse xenofobe di Rostock-Lichtenhagen, dove venne prima attaccato un nuovo centro per migranti e poi le abitazioni di lavoratori vietnamiti. Gli scontri durarono giorni. Hoyerswerda e Lichtenhagen divennero per anni punti di riferimento per un’estrema destra che scommetteva sul fatto che, com’era caduta la DDR socialista, si poteva anche colpire al cuore la neonata Germania riunificata.
Nei Länder orientali tedeschi i primi ‘90 furono gli anni di una generazione di giovani che si spostavano a Ovest e costruivano vite inimmaginabili fino a poco prima, ma furono anche gli anni di un disagio sociale solo parzialmente contenuto dal nuovo welfare, in cui le macerie del socialismo divennero il set di violente e nichiliste bande neonaziste. Quel periodo porta ancora oggi il nome emblematico di Baseballschlägerjahre, cioè gli “anni delle mazze da baseball”, con cui si picchiavano, e talvolta uccidevano, stranieri e nemici politici.
Figli diretti dei Baseballschlägerjahre furono poi a cavallo degli anni 2000 i membri del trio della NSU – Nationalsozialistische Untergrund, la più letale organizzazione terroristica neonazista tedesca, responsabile di 9 omicidi razzisti e dell’uccisione di una giovane poliziotta. La NSU ucciderà fino al 2007 e sarà uno spartiacque nella violenza di estrema destra in Germania, i cui intrecci porteranno fino all’omicidio del politico CDU Walter Lübcke nel 2019, assassinato dopo una lunga campagna d’odio contro le sue posizioni pro-immigrazione durante la Willkommenspolitik di Angela Merkel.
L’ultra-destra non se ne va
Nelle attuali condizioni sociali ed economiche, la destra estrema extraparlamentare e l’ultra-destra parlamentare non sembrano destinate ad affievolirsi in Germania e, anzi, rischiano di agire come vasi comunicanti. Soprattutto AfD è penetrata nei cuori e nelle menti di consistenti minoranze della società tedesca-orientale (e non solo). Per i partiti tedeschi tradizionali – conservatori, liberali e di sinistra – ci sono molte colpe strategiche alle spalle e poche soluzioni facili di fronte.
Il principio di “Democrazia combattiva” (Wehrhafte Demokratie) prevede che lo stato tedesco affronti preventivamente e proattivamente i suoi nemici interni. In nome di questo principio anche l’intelligence domestica tedesca BfV, l’Ufficio per la protezione della costituzione, si è dedicato negli ultimi anni a formulare ammonimenti pubblici contro AfD. Il partito è attualmente sotto osservazione del BfV come potenziale entità di “estrema destra”, quindi formalmente ostile alla costituzione. Lo stesso hanno fatto molteplici Uffici d’intelligence dei vari Länder, che in alcuni casi hanno già sancito la natura di “estrema destra” del partito su base locale. L’approccio è parte integrante delle responsabilità costituzionali di valutazione e indagine dell’intelligence domestica, ma la dinamica ha assunto già una dimensione politica estremamente delicata, mentre Alternative für Deutschland sta accusando l’intelligence di non agire con imparzialità. Una classificazione ufficiale di AfD come “estremista di destra” potrebbe arrivare nel prossimo futuro. La classificazione non sancirebbe comunque lo scioglimento del partito, ma complicherebbe la vita parlamentare e pubblica dell’organizzazione, autorizzando intanto i servizi interni a controllarne più massicciamente rappresentanti e personale, la rete ideologica, l’attività finanziaria, le eventuali connessioni con player geopolitici esterni.
L’idea di giungere invece a un divieto completo di AfD in Germania sarebbe legata a un processo molto più lungo e complicato sul piano giuridico-costituzionale. Processo che è stato indicato come pericoloso e destabilizzante da più esperti, visto che si tratterebbe di creare per anni un solco enorme tra le istituzioni e milioni di cittadini che votano e sostengono AfD. Un confronto diretto potrebbe certamente rafforzate le posizioni anti-AfD più militanti e di sinistra, ma il pericolo è un’accelerazione definitiva della conflittualità, in uno stato tedesco che ha una paura atavica del disordine sociale. Accelerazione che non piacerebbe forse nemmeno a parte dell’attuale destra parlamentare di AfD, ma che sarebbe invece accolta con entusiasmo infiammato dalla destra estrema più o meno extraparlamentare e neonazista.
Nei corridoi berlinesi, l’altra sola concreta strategia contro AfD sembra essere quindi poco idealista e molto più realpolitika: assorbire il più possibile quei temi di AfD che non abbiano una natura eversiva, frammentare il consenso del partito facendone emergere le contraddizioni interne, rimodulare la proposta politica secondo nuove contingenze, cercare di riprendersi una parte del consenso sociale perso verso destra. Prospettive che dimostrano come l’ultra-destra sia quindi già riuscita a influenzare profondamente le reazioni dei suoi avversari, modificando per sempre l’ecosistema politico tedesco.
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