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La Francia si è stancata di Macron?

Dopo la nomina di Barnier, molti si sentono traditi dalle istituzioni. E nella società aumentano le tensioni


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Mancano tre anni alla fine della seconda presidenza Macron e la Francia si ritrova in una impasse che peggiore non si poteva prevedere. La crisi istituzionale e la sua eco poderosa nelle piazze sono una tenaglia che stringe alla gola la democrazia semipresidenziale per decenni robusta e sicura, come mai era avvenuto in passato. Quali sono le ragioni di ciò?

Lo scenario internazionale oggi non è più quello degli anni’80-2000 per gli intrecci inestricabili della dimensione globalizzata, per la presenza di due tragiche guerre – nel cuore dell’Europa e nel vicino Medio Oriente – che minacciano la stabilità del sistema globale e sono foriere di una crisi non solo della politica ma anche dell’economia concreta dei vari Paesi europei. Fra questi Francia, Italia e Germania stanno pagando un prezzo alto – sia pure in modo differente e in situazioni diverse – e sono chiamate a fare i conti con difficoltà e contraddizioni crescenti.

La presenza di movimenti e partiti populisti e nazionalisti – che se non sono al governo, come in Italia, hanno comunque un peso parlamentare – condiziona la cultura politica con un’idea di società che cerca di erodere le basi stesse delle liberal-democrazie riproponendo il rapporto leader-masse senza le mediazioni, le regole, le procedure custodi e garanti dei valori della forma democratica.

Insomma, il potere razionale-legale, proprio della forma compiutamente moderna degli Stati, pare inseguito e inquinato da altri tipi di potere (personale, simil-carismatico, tradizionale) che pensavamo relegati nel passato.

La crisi del macronismo

Un esempio paradigmatico è rappresentato dalla storia recente della Francia.

Le elezioni legislative del giugno 2022 portano nell’Assemblée nationale il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen e la sinistra di Jean-Luc Mélenchon, riunita in coalizione sotto la NUPES (Nuova Unione Popolare Ecologica e Sociale). Queste due opposizioni privano il Presidente della maggioranza assoluta in Parlamento, indebolendone il potere istituzionale. Nonostante ciò, Macron mantiene il suo modello di iper-presidenza, approvando una riforma delle pensioni in contrasto con il parere di sindacati e diverse associazioni di cittadini.

Le piazze pullulano sempre più di manifestazioni e proteste, ma Macron – il Presidente che aveva promesso una Francia diversa e attenta ai più demunis – continua a praticare un potere verticalizzato, cambia il suo primo ministro e non perde occasione di celebrare la grandeur della Francia. Le europee del giugno 2024 ne segnano però la sconfitta elettorale.

Le elezioni per l’Eurocamera vedono da una parte l’affermazione dell’estrema destra, il RN, che raggiunge il 32,2%, dall’altra una ripresa della sinistra, tra le cui fila la lista PS Place Publique capeggiata da Glucksmann raggiunge il 13,80% dei voti, diventando il terzo partito dietro a quello del Presidente. Un risultato che rende palese la dura presa di distanza dell’elettorato francese dal macronismo e da Macron, la cui lista Renaissance si ferma al 17,2%.

Macron è disarcionato, la sconfitta alle europee brucia come il sale su una ferita aperta. Così decide tempestivamente la dissolution del parlamento e l’indizione di nuove elezioni legislative secondo le regole previste dalla Costituzione golliana.

Calcolo studiato o azzardo? Non lo sappiamo e non lo sapremo mai con certezza. A giudicare dal risultato, se non di  calcolo, possiamo forse parlare di un azzardo fortunato per il Presidente dimezzato.

I tempi della campagna elettorale sono stretti e lo slogan “europeisti contro sovranisti” è un’arma spuntata (Macron lo sa bene). Un cambiamento arriva però da sinistra, le cui varie anime si alleano in un Nouveau Front Populaire (nel nome di quello mitico di Leon Blum del 1936) per opporsi al pericolo della destra estrema nazionalista e xenofoba di Le Pen e Bardella, giovane presidente del RN. Uno sforzo che ha riportato alla lotta i giovani fra i 18 e i 40 anni.

Il quartier generale della sinistra unita è una fucina calda di iniziative, confronto, azioni. La presenza del Nouveau Front Populaire (unione di PS, PCF, France Insumise e Verdi) – messo su  in fretta ma determinato da un riscatto democratico – dà i suoi frutti, sbarrando la strada alla destra estrema.

Il Nouveau Front populaire prende 182 seggi; la maggioranza di governo uscente Ensemble 168; Rassemblement National 143 (con l’apporto di una parte dei Républicains di Ciotti, alleata dell’estrema destra).

In quella calda serata estiva, il vessillo delle sinistre sventola leggero, come un refolo che pulisce e rinnova. Il paesaggio politico è cambiato: Le Pen bloccata alle soglie di un agognato potere; Macron salvato; la coalizione delle sinistre pronta a governare. Ma nessuno dei partiti ha ottenuto la maggioranza per governare (289seggi) e questo complica la situazione.

Macron, il presidente del fare, colui che era arrivato all’Eliseo criticando la vecchia politica e i vizi delle élite, questa volta prende tempo. Usa formule ambigue come “un large pacte législatif” (un ampio patto legislativo) o “une coalition majoritaire” (una coalizione maggioritaria), minimizzando la vittoria della sinistra. Nel frattempo, sindacati e coalizioni vincitrici chiedono il rispetto del voto popolare, mentre nelle piazze risuona la voce di migliaia di uomini e donne che hanno scommesso su una svolta.

L’Olimpiade estiva trasforma Parigi in un immenso palcoscenico dedicato al culto dello sport, che unisce e fa tacere il resto. Tutto è rimandato a settembre.

Nel momento della dissolution, Macron aveva retoricamente dichiarato: “Il faut redonner la parole au peuple” (Bisogna restituire la parola al popolo). Passata l’estate, il Presidente della Repubblica cancella invece di fatto il risultato del voto e vira a destra, scegliendo come primo ministro l’ex commissario europeo Michel Barnier, un moderato di destra (Les Républicains). Una mossa che ottiene l’approvazione di Marine Le Pen, che promette collaborazione al governo a determinate condizioni, assicurandosi così un ruolo rilevante.

Perché questa scelta? Le ragioni possibili sono diverse: garantire stabilità per consolidare il suo ruolo in Europa; contenere l’estrema destra attraverso un governo di destra moderata; oppure una naturale inclinazione a prendere le distanze dalla sinistra.  Probabilmente si tratta di una combinazione di questi fattori, resa ancora più complessa dall’estremismo utopistico di Mélenchon, che non manca di aggiungere tensioni proponendo la destituzione di Macron – un’ipotesi difficile sia politicamente che giuridicamente.

Francia e Germania in crisi

Dagli eventi degli ultimi anni in Francia emergono due elementi chiave per comprendere questa delicata fase della storia europea: la crisi della storica alleanza franco-tedesca e la situazione di stallo istituzionale in Francia. Scholz è alle prese con le divisioni interne alla sua coalizione di governo, culminate nel licenziamento del ministro delle Finanze Lindner, di area liberale, che apre all’ipotesi di elezioni anticipate in Germania. La Francia affronta un pericoloso immobilismo istituzionale in cui le difficoltà nell’approvazione della legge di bilancio 2025 si sommano alle tensioni di una società colpita dall’inflazione e frustrata dall’annullamento de facto del voto popolare.

Di recente il primo ministro Barnier, sempre più sotto pressione, ha ventilato l’ipotesi di ricorrere all’articolo 49.3 della Costituzione per far passare il bilancio senza il voto del Parlamento. Tempi bui per Madre Europa!

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