Onda verde e protesta climatica
Com’è cambiato il clima politico in Europa in soli cinque anni! Nel 2019, si celebrava la Green Wave, l’avanzata sensazionale dei partiti verdi in tutta Europa, che sarebbero poi andati al potere in Germania, Belgio, Lettonia, Slovenia, Croazia, e conquistato la guida di città francesi importanti come Lione, Bordeaux, Grenoble, Strasburgo. E nel 2016 un verde, Alexander Van der Bellen, era diventato presidente dell’Austria dopo aver sconfitto sul filo di lana il candidato nazipopulista della FPÖ fondata da Haider (è adesso al suo secondo mandato, dopo aver vinto di larga misura nel 2022). Dietro il successo dello European Green Party, la struttura federale che da Bruxelles coordina 40 organizzazioni affiliate all’ecologismo politico europeo dal Portogallo alla Georgia, stava un motivo semplice: Greta Thunberg e i climate strike globali di Fridays for Future, lanciati a partire dal marzo 2019 dopo la solitaria protesta dell’estate 2018 di fronte al Parlamento svedese. Ogni venerdì diventava così un gretadì, in cui moltitudini di giovani studenti e studentesse si riversavano per le strade delle città del mondo per denunciare l’inazione dei governi di fronte alla crisi climatica causata dal ricorso scriteriato alla combustione fossile. Dietro l’avanzata dei verdi alle scorse europee, c’era infatti il voto dei 18-24enni che a doppie cifre tributavano fiducia all’unico movimento politico in grado di raccogliere le istanze ambientaliste.
Triste eccezione, in Italia l’onda verde non si è mai materializzata, tranne a Milano alle comunali del 2021 con quel 5% inatteso e tre consiglieri comunali, due dei quali provenienti dal movimento per il clima, sull’onda delle proteste per la pre-Cop26 a Milano che videro la presenza di Greta (con comizio in piazza Damiano Chiesa). Milano non a caso è stata una delle capitali mondiali del climate strike, con un record di 100.000 giovani e meno giovani a sfilare per le strade della città ambrosiana venerdì 27 settembre 2019.
La reazione anti-green in corso
Oggi, marzo 2024, la situazione è completamente diversa: i verdi sono dati in calo in Europa, mentre gli agricoltori protestano contro il Green Deal deciso dalla Commissione ma chiesto dagli European Greens, e la destra nazipopulista avanza minacciosa in tutti i grandi paesi europei (Italia e Olanda in primis) facendo leva sul greenlash, ossia la reazione antiverde che percorre la microborghesia suburbana e provinciale che usa il SUV e non ne vuole sapere di ZTL e autovelox. Al tradizionale odio per i migranti e la società multiculturale, la destra europea aggiunge l’odio per tutto ciò che sa di transizione ecologica, presentandosi come la paladina delle lobby fossili e del motore a scoppio, che proprio i verdi europei hanno condannato alla scomparsa a partire dal 2035. Inoltre le destre stanno facendo dei movimenti climattivisti come Extinction Rebellion e Ultima Generazione i capri espiatori della crisi climatica emersa in tutta la sua tangibile e tragica inconfutabilità con la grande siccità del 2022 e le inondazioni, gli incendi e i morti per caldo del 2023 (+40° C a Roma, Parigi, Madrid!), perseguitandoli con uno zelo mai applicato prima contro i movimenti neonazisti, razzisti e transfobici. Nell’Italia di Fratelli d’Italia si è arrivati a un decreto repressivo scritto su misura contro le ragazze e i ragazzi che innocuamente imbrattano opere d’arte e monumenti ed effettuano brevi blocchi del traffico stradale e autostradale per mettere in guardia contro la catastrofe climatica in corso. E inchieste con perquisizioni, processi e arresti si sono verificate anche in Germania e nel Regno Unito, epicentro indubitabile della disobbedienza climatica oggi in Europa, con Greta portata a Londra in tribunale il 1° febbraio 2024 (prosciolta) per un picchetto contro l’industria del gas e del petrolio patrocinato da Fossil Free London.
Nodi verdi: agricoltori, Gaza, Ucraina
La campagna verde per le europee si annuncia quindi controvento nel 2024. Gli agricoltori stanno protestando contro Green Deal in ogni paese europeo, coi trattori a bloccare le strade e gli assalti di farmers furenti a Bruxelles davanti alla sede della Commissione o l’assedio a Macron alla fiera dell’agricoltura. Accusano i verdi di imporre insopportabili restrizioni alle emissioni di metano e azoto, sul divieto di utilizzo di glisofato o l’obbligo di lasciare una percentuale della terra incolta. I loro redditi sono compressi da inflazione e grande distribuzione ma ritengono l’ecologismo (cosa da urbani di classe media nella visione di molti sindacati di coltivatori) il principale responsabile della loro condizione. C’è poi la questione tremenda di Gaza a complicare le strategie elettorali verdi. Il partito infatti è diviso sulla questione. I verdi tedeschi, maggioritari, sono rimasti giustamente inorriditi dall’ecatombe del 7 ottobre perpetrata da Hamas e sono condizionati dalla cultura dell’anti-anti-semitismo prevalente nel paese. Sono stati quindi tardivi a criticare il massacro insensato della popolazione civile della Striscia perpetrato da Netanyahu e il suo governo etno-nazionalista tanto amato dalle estreme destre europee. E lo stesso vale per gran parte del Nordeuropa. Mentre in Belgio, in Spagna, in Italia e nei paesi mediterranei e balcanici prevale la posizione filo-palestinese. Questa tensione è stata evidente allorché Fridays for Future Germania ha deciso inopinatamente di scomunicare Greta per aver indossato la kefiah e chiesto la fine dei bombardamenti in un post ormai celebre realizzato insieme alle sue amiche, fra cui una ragazza ebrea. La climattivista svedese è stata poi aggredita da un boomer olandese che gli ha strappato il microfono mentre arringava una platea di giovani contro la guerra a Gaza. Si è quindi creata una certa tiepidità fra verdi europei e Greta, che pure avevano lavorato spesso in maniera convergente, per esempio per sostenere la Nature Restoration Law recentemente passata a Strasburgo fra il plauso di tutti gli ambientalisti del continente e fortemente osteggiata dalle destre nazionaliste.
Del resto, anche la posizione dello European Green Party a mio giudizio intelligente e coraggiosa per la difesa incondizionata dell’Ucraina aggredita dall’esercito di Vladimir Putin potrebbe togliere più voti radicali dei voti riformisti che attrarrà. E’ da sottolineare che i verdi europei hanno fin dagli anni 2000 presentato il cekista come una minaccia revanscista ai paesi confinanti e alla libertà europea, mentre popolari e socialdemocratici (Schroeder nel CdA della Gazprom!) continuavano a fare affari col suo regime, persino dopo l’annessione della Crimea e di parte del Donbass nel 2014. Il congresso di Lione di inizio febbraio ha incoronato Terry Reintke, una giovane eurodeputata proveniente dall’ex Germania Est che si è distinta per il suo attivismo in difesa dei diritti LGBTQ, come Spitzkandidat, cioè candidata del gruppo parlamentare verde alla presidenza della Commissione Europea. Terry insieme al compagno di partito olandese Bas Eickhout cercherà di convincere elettrici ed elettori a votare ecologista sui punti seguenti: difesa coraggiosa del Green Deal contro la Destra e le lobby agricole e fossili, difesa dell’Europa dal fascismo e dai regimi illiberali, giustizia sociale in aggiunta alla giustizia climatica (lotta alla povertà e politiche di lavoro e welfare per donne e giovani), e difesa a oltranza dei diritti di genere che sono minacciati dalla reazione in UE e USA, in particolare la difesa del diritto delle donne di abortire, che la verde Mélanie Vogel, coordinatrice del partito in Europa e partner sentimentale di Terry, ha proposto di inserire nella Costituzione francese con un discorso molto appassionato al Senato che ha avuto per esito la recentissima ratificazione delle due camere riunite per l’occasione a Versailles. Anche la Torre Eiffel ha celebrato questa grande conquista, che fa da linea Maginot sui diritti contro la regressione antifemminista che si registra in tutto il mondo.
Le incognite del voto di giugno e la mobilitazione contro il fascismo in UE
Insomma, come si diceva una campagna tutta giocata in difesa, con un ruolo meno importante accordato ai movimenti, visti sì come forza di pressione insostituibile per la transizione ecologica e la difesa della biodiversità, ma anche come questione problematica quando politica verde e mobilitazioni dei movimenti contrastano, come è avvenuto a Luetzerath (Renania) nel gennaio 2023, allorché Greta i movimenti climatici tedeschi e del resto d’Europa si sono mobilitati contro la riapertura di una gigantesca miniera di lignite a cielo aperto del colosso dell’energia RWE, avallata dalla coalizione semaforica rosso-giallo-verde al governo a Berlino. Robert Habeck, vice cancelliere del governo Scholz e ministro dell’industria e dell’energia, è il politico verde più in vista oggi in Germania (Annalena Baerbock, più forte nel partito ed ex candidata alla Cancelleria, è alle prese con le continue crisi geopolitiche e diplomatiche in Ucraina e altro e la sua stella si è appannata, anche per un passato familiare non cristallino). Dopo le proteste di Luetzerath, Habeck ha cercato di giustificare la scelta in un video rivolto alle e ai giovani attivisti (e la Germania ha decarbonizzato l’energia più di ogni altro paese europeo in questi anni), ma non ha convinto e la disillusione è stata forte, soprattutto per le ragazze e i ragazzi di Fridays for Future. Lo stesso Habeck è stato attaccato con fortuna dall’AfD sulla questione della sostituzione delle caldaie condominiali, che per quanto incredibile possa sembrare ha spinto una percentuale significativa di consensi a spostarsi sull’estrema destra xenofoba, a riprova del fatto che il greenlash siede ormai accanto a sovranismo e difesa dell’identità bianca e cristiana nel repertorio retorico della reazione europea.
L’Europa ha bisogno dei verdi più di ogni altra forza perché sono l’unico partito veramente federalista e favorevole all’unificazione europea, subordinando l’interesse nazionale all’interesse europeo che solo oggi ci può far sopravvivere in un mondo sempre più turbolento e pericoloso. Il Partito Verde Europeo ha fin dalla sua fondazione nel 1984 portato avanti un’agenda europea senza compromessi, si trattasse di affrontare la minaccia di Milosevic o di Putin e accoglie nel suo seno molti paesi europei che sono al di fuori dell’Unione e forse un giorno vi entreranno, svolgendo così una sorta di azione diplomatica informale per l’espansione della sfera europea d’opinione: il verde ecologista è un veicolo di europeismo più solido di quello propalato dai tecnocrati liberali, ancora ancorati ai benefici del mercato unico e della moneta unica; le/i verdi promettono ecologia e diritti umani, valori emotivamente caldi in cui ampi settori della popolazione, soprattutto quella più giovane e istruita, si può riconoscere.
La vittoria alle elezioni è della destra?
Erra chi dà già per spacciati i verdi e aggiudicata alla destra l’elezione europea di giugno. Se succedesse, la governance cristiano-socialdemocratica in auge dal 1957 sarebbe rimpiazzata da un controllo cristiano-fascista sulle istituzioni europee, un disastro storico di proporzioni incalcolabili, inferiore solo all’eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca dopo le elezioni di novembre in America. Si sono insediati governi in Spagna (a guida socialista) e in Polonia (a guida liberale) basati su ampie coalizioni con dentro i verdi in entrambi i casi (Sumar, junior partner di Pedro Sanchez ed erede dei consensi di Podemos, fa parte dei verdi europei) che hanno saputo sconfiggere i nazionalpopulisti (al governo in Polonia, all’opposizione in Spagna) che erano dati per favoriti alla vigilia. I verdi europei indicano come un modello da seguire il successo delle enormi manifestazioni che nelle principali città tedesche hanno denunciato il neonazismo strisciante dell’AfD nel gennaio 2024, mobilitando l’intera società democratica ad Amburgo, Berlino, Colonia, Monaco, e ribaltando i pronostici di un’elezione locale in Turingia dove la formazione che vorrebbe deportare le/i tedeschi di seconda generazione aveva preso più del 45% al primo turno. Anche le elezioni in Sardegna testimoniano di un vento contrario alla vulgata dominante di una destra populista inarrestabile. The Courage to Fight Every Form of Fascism, il coraggio di combattere ogni forma di fascismo, è lo slogan con cui i verdi intendono affrontare le elezioni di giugno. Che la mobilitazione della società europea sia quella auspicata, ché la posta in palio questa volta è davvero alta.