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Cina potenza autonoma: Con Nixon a Pechino una nuova fase per la politica internazionale


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L’ultima settimana di febbraio del 1972, cinquant’anni fa, il presidente americano Nixon compie il suo viaggio in Cina, a PechinoHangzhou e Shangai. È l’inizio di una fase nuova non solo nei rapporti tra i due stati, ma per tutta la politica internazionale. Un incontro improvviso, preparato nelle settimane precedenti dal Segretario di Stato Kissinger e anticipato quasi un anno prima dall’improvvisa visita della squadra di ping-pong americana in Cina.

La logica che presiedeva a quell’apparente rottura della geopolitica dell’epoca era fondata su due presupposti: la volontà americana di indebolire l’Unione Sovietica aggravando la rottura interna al campo socialista che aveva provocato negli anni precedenti scontri ripetuti tra Urss e Cina; la speranza cinese di affrancarsi del tutto dalla tutela del campo socialista e dell’Urss e di affermare la propria autonomia in campo internazionale anche con l’aiuto della maggiore potenza capitalista e imperialista (non dimentichiamo che la guerra nel Vietnam non era terminata e che gli accordi di pace saranno firmati a Parigi quasi un anno dopo).

Visto con il senno di poi l’incontro tra Nixon e Mao può sembrare lungimirante, perché permise agli Stati Uniti, pur se quasi vent’anni dopo, di vincere la guerra fredda e assistere compiaciuti alla disintegrazione dell’Urss; e alla Cina, grazie alla politica del nemico di MaoDeng Xiaoping, di intraprendere l’inatteso e vorticoso sviluppo economico che ha portato la Cina a essere la seconda potenza mondiale e, in prospettiva, il principale protagonista statale del XXI secolo.

Appoggio ai khmer rossi cambogiani

Non si può dimenticare un successivo e ulteriore momento di convergenza tra Usa e Cina qualche anno dopo, quando ormai alla Casa Bianca è Jimmy Carter (paradossalmente il presidente americano più attento ai diritti umani nell’intero dopoguerra) e in Cina domina Deng: l’appoggio ai khmer rossi cambogiani, cacciati dal potere grazie all’intervento vietnamita nel 1979, ma che riescono a mantenere il seggio del loro paese alle Nazioni Unite fino al 1992 grazie proprio all’alleanza di Cina e Usa.

Nessuno poteva prevedere, nel 1972, come sarebbe stato il mondo cinquant’anni dopo; e la storia avrebbe potuto prendere strade molto diverse, a livello globale e nei singoli paesi, compresi Usa e Cina, perché quanto è accaduto non è stato il risultato ineluttabile del cammino della storia ma di scelte (ed errori) compiute spesso in un’ottica di breve periodo. Quel che è certo, tuttavia, è che quel primo accordo, legittimando la Cina, un paese che ne aveva le potenzialità, a diventare una potenza autonoma, è stato senz’altro più fruttuoso, nel lungo periodo, per Pechino che non per Washington.

Paradossalmente, a oltre cinquant’anni dal varo della «diplomazia del ping-pong», gli Stati Uniti hanno scelto la strada del boicottaggio diplomatico-sportivo per le Olimpiadi invernali che si stanno svolgendo in Cina. Un segnale ulteriore, forse, che nella storia del dopoguerra i presidenti democratici, sul terreno internazionale, si sono mostrati meno capaci e lungimiranti rispetto a quelli repubblicani (tenendo ovviamente Trump fuori dal mucchio).

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