Nel 1989 “eravamo tutti tedeschi”. Oggi trionfano i nazionalismi: con Trump in America, ovunque in Europa
Il ritorno di Trump e un futuro incerto
Crollava il muro di Berlino trentacinque anni fa e oggi ci sembra che il sogno – o forse l’illusione – di un ordine internazionale liberale si stiano sbriciolando. La notte dell’elezione del presidente degli Stati Uniti non è stata così lunga, ma la sua alba non è ancora sorta e l’orizzonte appare molto cupo. Donald Trump sarà il quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti d’America.
George H. W. Bush, di fronte al Congresso dopo la guerra del Golfo nel 1991, dichiarava: “È un nuovo ordine mondiale … risoluzione pacifica delle controversie … arsenali ridotti e controllati e giusto trattamento di tutti i popoli.” Dieci anni dopo, un altro presidente, suo figlio George W. Bush, dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, da una politica estera preannunciata come “umile” inaugurò vent’anni fallimentari di occupazioni militari in Medio Oriente che hanno scombussolato il mondo. La promessa del nuovo ordine mondiale paterno era fallita. Anche un ordine globale economico neoliberale, come scritto da Gary Gerstle, basato sull’assunto dell’infallibilità del mercato e sulla necessità di minimizzare le azioni statali, sembra finito.
Il 2024 potrebbe essere stato l’anno con il maggior numero di elettori alle urne nella storia: il ritorno dei Labour dopo un lungo decennio (disastroso) Tory, l’azzardo di Emmanuel Macron in Francia, ma anche elezioni mastodontiche in Brasile, India, Indonesia e Pakistan. Ci siamo illusi che l’elezione dell’anno, quella del presidente degli USA, fosse risolutiva. È confortante credere che l’elezione di un leader possa risolvere i nostri problemi nazionali o internazionali. Oppure, che i leader siano la causa unica di tali problemi – si pensi a Vladimir Putin o Benjamin Netanyahu. Tuttavia, le crisi internazionali intrecciate sono frutto di una crisi del sistema internazionale e dell’idea stessa di internazionalismo. Forse il problema non è l’Occidente, ma il credere che esista un Occidente: un luogo monolitico dove i cittadini affrontano le stesse paure, le stesse ingiustizie e gli stessi sacrifici. Questo mito politico non si sfalda solo per gli attacchi esterni, ma anche per debolezze interne. La disaffezione per la democrazia liberale, che sempre più omette aspetti sociali e solidali, non si misura solo con l’assenza di voti, ma anche con la paura di mettere al mondo dei figli.
Soluzioni nazionali a problemi globali: l’illusione dei nostri tempi
Cambiamento climatico, movimenti migratori globali e rivoluzioni tecnologiche sono sfide che possono essere affrontate solo globalmente e non a livello nazionale, e che non possono essere risolte con aspra competizione, ma solo con collaborazione e coordinamento tra i paesi. Tuttavia, sollevano dilemmi – come ha scritto Dani Rodrik – che possono rendere impossibile combattere contemporaneamente il cambiamento climatico, rafforzare la classe media nelle economie avanzate e ridurre la povertà globale.
La retorica di Donald Trump e di leader simili riflette un approccio “anti-internazionalista” che non solo sfida le idee di cooperazione globale, ma promuove un nazionalismo in contrasto con l’idea di comunità globale e solidarietà transnazionale. Questo risulta evidente se consideriamo la guerra russa contro l’Ucraina, la violenza in Israele e Palestina e le tensioni (altamente rischiose) tra Cina e Taiwan. Questi conflitti evidenziano come l’interesse nazionale dichiarato, spesso manipolato per guadagni politici, prevale sul multilateralismo e sulla diplomazia internazionale.
L’egemonia del sovranismo e l’assenza di alternative
Perry Anderson, ragionando sull’internazionalismo e il nazionalismo, sosteneva che essi alternano nella storia la loro relativa preponderanza, ma non sono frutti solo dell’azione dei leader al comando. La salienza del nazionalismo e la marginalità dell’internazionalismo dipendono dai mutamenti nell’accumulazione del capitale, dalle innovazioni nelle tecnologie lavorative e anche da quale idioma ideologico sia egemonico. Oggi un sovranismo nazionalista – fuori dalla storia ma politicamente vincente – appare egemonico e mancano alternative coerenti e convincenti.
In questo momento di ipervelocità comunicativa e superficialità informativa, viene premiato chi usa slogan semplici e caustici. Forse abbiamo bisogno di rallentare. Perché, come ha scritto recentemente David Bidussa, pensare stanca, ma è necessario farlo lentamente per sviluppare un pensiero di lungo periodo che ci permetta di immaginare un mondo diverso e inclusivo e di progettare azioni concrete per ottenerlo. Un pensiero alternativo, europeo ma non solo, e a lungo termine che contrasti gli incentivi e le forze centrifughe che favoriscono il nazionalismo anziché l’internazionalismo, la vendetta armata anziché la soluzione politica, l’ingordigia dei ricchi anziché l’emancipazione degli emarginati.
_____________