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11 settembre 1973. Enrico Berlinguer e il Cile


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L’11 settembre del 1973 è una data che unisce le sinistre italiane e cilene, evocando destini intrecciati e incommensurabili: in Cile, l’esordio sanguinario di una brutale dittatura militare anticomunista; in Italia, la definizione di una strategia che, proprio a partire dalle Riflessioni sui fatti del Cile di Enrico Berlinguer, contribuì a una maggiore legittimazione reciproca dei partiti di massa e all’allargamento dei confini della cittadinanza democratica. 

L’ipotesi che la storia italiana potesse seguire il destino cileno (o greco) era una suggestione diffusa. Dalla fine degli anni Sessanta, lo scenario di una deriva autoritaria era alimentato dallo stragismo neofascista ed evocato nelle mobilitazioni dell’estrema destra. Un controfattuale fragile, col senno di poi. Alla metà del decennio, l’Europa si sarebbe liberata dell’indegno fardello delle dittature mediterranee. La democrazia italiana era ben più solida di quella cilena e le minacce che essa stava subendo rivelarono fili robusti tra le culture politiche antifasciste.

Polarità fascismo/antifascismo

Proposto subito dopo il golpe in Cile, il compromesso storico si sarebbe portato appresso come un’ombra questa matrice “difensiva” e responsabilizzante. L’obiettivo, di Berlinguer e del Pci, era di chiamare a raccolta le forze che intendevano difendere l’Italia da rischi autoritari nei quali si vedeva il ripresentarsi dell’eredità nefasta del fascismo. La polarità fascismo/antifascismo era un marchio di questa strategia.

L’uso estensivo del termine fascismo per indicare forze conservatrici, reazionarie, spesso non guadagnate alla democrazia, contribuiva a plasmare un antifascismo con una netta connotazione progettuale e democratica. Il programma di questo antifascismo era la sua interpretazione della Costituzione, carta fondamentale a cui riferirsi per allargare il raggio di inclusione della cittadinanza ed eliminare le radici del fascismo. L’allargamento dei diritti civili e sociali negli anni Settanta agiva in questo senso, assumendo un contenuto riformatore sedimentato nelle grandi mobilitazioni civili e sociali del post-Sessantotto. 

Al tempo stesso, l’enfasi su continuità ed eccezionalità della storia nazionale alimentava meccanismi analitici distorsivi, primo tra tutti lo schiacciamento del presente sul passato, e paradossi politici.  L’idea di una storia nazionale eccezionale, sempre al limite tra l’eccezionalismo positivo del comunismo democratico e quello negativo del rischio fascista-autoritario, rischiava di trasformare una strategia contestuale in un’alleanza perenne tanto quanto erano permanenti i rischi a cui la democrazia italiana andava soggetta. Non a caso, la strategia paradossalmente non sarebbe sopravvissuta alla sconfitta degli attacchi eversivi alle istituzioni repubblicane.

Una duplice minaccia alla democrazia

La proposta del compromesso storico individuava una duplice minaccia alla democrazia: interna, perché proveniva da blocchi di potere eredi delle basi sociali del fascismo; esterna, perché si riteneva che quei blocchi di potere ricavassero la loro forza anche da una legittimazione internazionale. Il golpe di Pinochet appariva così uno specchio per raffigurare (ma anche per trasfigurare) l’Italia: l’11 settembre concretizzava la duplice minaccia, rafforzando la convinzione dei comunisti di vivere in un contesto nazionale nel quale la democrazia non era irreversibile e la sovranità politica era fortemente limitata. Le Riflessioni sui fatti del Cile attribuivano le responsabilità dirette del golpe a due soggetti, nazionale l’uno internazionale l’altro: i responsabili cileni – l’esercito e i gruppi sociali reazionari – e il governo degli Stati Uniti, espressione di interessi concreti che avevano rivelato la loro inconciliabilità con movimenti di emancipazione sostanziali, come quelli incarnati da socialisti e comunisti. La duplice minaccia si estendeva perciò all’Italia, nel momento in cui le forze del movimento operaio rappresentavano istanze e movimenti che chiedevano a gran voce un cambiamento in una direzione più inclusiva ed egualitaria al tempo stesso. 

Il golpe cileno ravvivava, tra i comunisti, la condanna dei doppi standard delle democrazie occidentali e stimolava il ricorso a un lessico tradizionale. Il termine imperialismo e i suoi derivati ricorrono venti volte nelle Riflessioni e sono utilizzati prevalentemente per definire la politica internazionale degli Usa; fascismo e antifascismo quattordici volte ed è intrinseca, negli articoli apparsi su «Rinascita», l’idea dell’attualità del rischio fascista, per quanto mutato rispetto agli anni Venti e Trenta: «i movimenti antidemocratici e lo stesso fascismo non possono affermarsi e vincere unicamente con il ricorso alla violenza reazionaria, ma hanno bisogno di una base di massa più o meno estesa, soprattutto in paesi con una struttura economica e sociale complessa e articolata».

La collaborazione tra le “tre componenti”

Tuttavia, per comprendere in che misura l’11 settembre influenzò le scelte di Berlinguer è insufficiente fermarsi all’attribuzione delle responsabilità dirette. Il riconoscimento delle differenze con la sinistra cilena servì in quella fase a esplicitare ancor di più il perimetro delle alleanze dei comunisti italiani e le compatibilità con cui questi sapevano di doversi relazionare. I verbali di direzione del Pci immediatamente successivi al golpe non risparmiarono critiche al governo di Unità popolare: non si era preoccupato «di garantire il funzionamento dell’economia stessa del Paese» (Pajetta) né di cercare un «compromesso con la Dc» (Napolitano). Anche chi difendeva «il senso strategico dell’esperienza cilena» sosteneva che essa era intraducibile, «senza forzature, in termini europei» (Ingrao). La fine tragica dell’esperimento cileno rafforzava Berlinguer nella sua strategia: la linea del «“fronte delle sinistre” […] non è la nostra, che abbiamo invece definita come quella dell’incontro e della collaborazione tra le “tre componenti”». La strategia era già stata pensata, ma fu un dramma distante migliaia di miglia ad aggiungere forma alla sostanza.

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