Un faro a mezzogiorno. L’algoritmo non ti censura (ma ti ignora lo stesso)


Articolo tratto dal N. 28 di Se mi banni non vale Immagine copertina della newsletter

Motaz Azaiza, fotoreporter palestinese, ha quasi 18 milioni di follower su Instagram.
La sua bio dice:Le mie foto hanno viaggiato per il mondo mentre i miei piedi non potevano toccare la mia terra”*.

Il fotoreporter è diventato un simbolo e un punto di riferimento, una voce che documenta l’orrore della guerra a Gaza con immagini che perforano lo scroll quotidiano. E questo è già, in sé, la smentita più forte all’idea di uno shadow ban sistematico e indirizzato: se davvero esistesse un meccanismo che penalizza chi parla di Palestina o di guerra o di politica, i reel di Motaz non potrebbe avere milioni di visualizzazioni, giorno dopo giorno.
La sua visibilità non è garantita, certo, ma neanche negata. Eppure, anche tra i suoi post, alcuni restano inascoltati, spariscono dal feed di chi lo segue, ricompaiono senza motivo apparente.
Non è un ban, non è censura. È il grafo sociale che si distrae. La folla-rete che a onde volta lo sguardo, scorre, skippa, oppure guarda, cerca, vuole sapere. 

Nel dibattito sulla visibilità e sulla censura, c’è un equivoco che resiste: l’idea che ogni post abbia diritto alla stessa esposizione. Ma l’algoritmo non funziona come un palcoscenico equo. Non distribuisce per giustizia, ma per attrazione. 

Il mito del feed neutro 

Pensavamo che i contenuti si propagassero secondo il grafo relazionale: da me a te, da te a un altro. Una catena umana di attenzione. Ma oggi la distribuzione non è più lineareprevedibile: è frattale, interrotta, caotica. I contenuti non scorrono lungo una rete stabile di relazioni, ma si accendono a macchia, come fuochi fatui nei gangli dell’attenzione collettiva. La visibilità salta di nodo in nodo, si piega, si biforca, si perde. Non conta chi ti segue, ma come reagisce. Il like non è un premio: è un segnale. Il tempo che passo a guardare il tuo post vale più del mio affetto per te.
Il feed non è una bacheca condivisa: è un esperimento continuo di risposta nervosa. Se la tua audience, tua di te, minuscolo nodo nella rete, oggi vuole leggerezza i tuoi contenuti più seri verranno penalizzati. Domani potrebbe essere il contrario. 
 

Nessuna punizione, solo indifferenza 

Non c’è una mano oscura che ti silenzia. C’è un algoritmo che ascolta la tua rete meglio di te. Se il tuo messaggio non accende il grafo qui e ora – non provoca, non emoziona, non trattiene – allora evapora. Non è cattiveria. È una selezione silenziosa.
Quello che chiamiamo “shadow ban” è spesso solo una delusione. Il post in cui credevamo, il pensiero che ci sembrava urgente, non è stato percepito come tale. È passato. Non visto. Non perché bloccato, ma perché non amplificato. Non è sparito: è stato ignorato. 

L’opacità del comportamento algoritmico 

Resta un nodo: l’opacità. Nessuno ti dice perché un post non gira. Non c’è feedback, non c’è diagnosi. Solo numeri bassi e domande senza risposta. Servirebbe una trasparenza affettiva del feed, non solo numerica. Perché oggi l’algoritmo non si spiega: si comporta. E tu, autore o spettatore, resti a decifrare gli scarti, come in una seduta spiritica. 

“Ho detto qualcosa di sbagliato? Ho detto qualcosa di giusto e per questo non lo vedono?” 

Non è l’algoritmo, sei tu (ma anche no) 

L’algoritmo è lo specchio opaco del tuo pubblico. Ma è anche un sistema di selezione che privilegia i segnali più rumorosi, non sempre i più profondi. Forse serve una nuova grammatica della distribuzione, che tenga conto della qualità dell’ascolto, non solo della quantità di reazione. 

Nel frattempo, impariamo a non confondere il silenzio con la censura. E nemmeno con il fallimento. Forse semplicemente non era il loro momento, o non era il loro messaggio. 

Non c’è un’ombra che ti banna, c’è un’eco che si spegne. L’algoritmo non è un carceriere, è un oracolo distratto. A volte ti ascolta, a volte è distratto e distrae. E tu resti lì, con un messaggio urgente che nessuno ha visto. Come un faro acceso nel deserto di mezzogiorno. 

* My photos traveled the world but my feet couldn’t touch my Homeland. https://www.instagram.com/motaz_azaiza

 

 

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