Leggi lo speciale editoriale dedicato alla giornata del 25 luglio 1943: una data spartiacque?
Testi di Giorgia Serughetti, David Bidussa, Marco Donadon e Marco Cuzzi.
25 luglio 1943
È il 25 luglio 1943, una domenica. L’Italia è in guerra da tre anni. La giornata è stata afosa in quasi tutta la penisola. È sera, e le persone iniziano ad abbandonare parchi e giardini dove si sono rifugiati in cerca di refrigerio.
Mentre si guadagna la strada di casa, si discute degli ultimi avvenimenti. C’è stato il recente sbarco angloamericano in Sicilia. Il 12 e il 13 luglio gli Alleati hanno bombardato Torino; il 19 è stata la volta di Roma.
Due massacri. Il 22 luglio con Patton hanno conquistato Palermo e il 24 anche Bologna ha subito un violento attacco aereo. Sembra che tutto stia precipitando in un baratro infernale. Nessuno sa cosa è accaduto la notte precedente a Palazzo Venezia. E nessuno sa che in quel momento Benito Mussolini
è già prigioniero del re e destinato a essere trasferito sull’isola di Ponza.
«La guerra continua»
Sono le 22:45 quando l’EIAR interrompe un concerto radiofonico dell’Orchestra diretta da Carlo Zeme, il leggendario partner del Quartetto Cetra. La «voce littoria» di Giambattista Arista ha appena ricevuto dal direttore del giornale-radio Pio Casali un comunicato straordinario portato di persona dal ministro della Real Casa, il duca Acquarone, uno degli artefici del complotto monarchico. Arista si mette al microfono e inizia:
«Sua Maestà il Re e Imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di Capo del Governo, Primo Ministro, Segretario di Stato di Sua Eccellenza il Cavaliere Benito Mussolini…»
Il nuovo premier è Pietro Badoglio, il Maresciallo d’Italia, il duca di Addis Abeba, l’ex capo di stato maggiore generale.
L’uomo del re. E infatti, il comunicato si conclude con la sola Marcia Reale, non più abbinata a «Giovinezza». Seguiranno i proclami di Vittorio Emanuele, che assumerà il comando supremo delle Forze armate, e dello stesso Badoglio, con il suo famoso «La guerra continua».
Ascolta l’audio originale
del comunicato di Giambattista Arista:
L’armistizio
Tra le folle in strada, però, la sensazione è che la guerra sia finita. Non andrà così, ma quel 25 luglio, intanto, dopo quasi vent’anni, segna la caduta del regime. Agosto sarà il mese del governo militare, dell’incertezza, delle trattative e anche dei massicci bombardamenti. Quella lunga, interminabile estate si chiuderà con l’armistizio, l’occupazione e l’inizio della resistenza. L’autunno e le stagioni seguenti, anche se è quasi incredibile a dirsi, saranno anche peggiori, prima del ritorno definitivo della libertà.
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A ottant’anni esatti da quella data condita di entusiasmo e fiducia, entriamo nella Storia attraverso gli sguardi di Marco Cuzzi (le cui parole abbiamo utilizzato per queste righe introduttive), David Bidussa, Marco Donadon e Giorgia Serughetti, non solo per ricordare come accadde che Mussolini perse il potere, ma anche per riflettere sulle ragioni che avevano spinto italiani e italiane a dare il proprio sostegno al regime fascista e, più in generale, sulle sfumature del consenso nei sistemi di governo autoritari e totalitari. Aspetto che, osserva Serughetti, può rivelarsi prezioso anche per l’analisi della democrazia contemporanea e la sua crisi.
La “zona grigia” del consenso, tra fascismo e democrazia
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25 luglio: l’arresto di Mussolini e la liberazione ancora da compiere
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