Gen Z e Democrazia
Un recente sondaggio europeo ha mostrato come il 21% dei giovani del continente tra i 16 e i 26 anni sarebbe favorevole a governi autoritari “a certe condizioni” (Euronews.com). In Italia, il Paese che ha inventato e sviluppato il fascismo, la percentuale è del 24%.
Alle politiche del Belpaese nel 2022 più di un terzo degli elettori tra i 18 e i 24 anni non ha votato. Tra chi si è recato alle urne il 35% ha votato Fratelli d’Italia o Lega. La tendenza è comune a gran parte dei Paesi occidentali, dove anzi risulta ancora più polarizzata: negli Stati Uniti la galassia populista e razzista che sta sotto la sigla MAGA vanta un vasto successo tra gli under 30.
Insomma, la democrazia rappresentativa non fa tendenza. La conservazione, se non addirittura la reazione, sembrano le posture preferite tra i (pochi) giovani che si interessano oggi di politica.
Perché?
I manuali redatti dagli storici che si volevano scienziati hanno impresso a generazioni intere l’idea di uno scorrere del tempo dal passato al presente come di una inesorabile evoluzione positiva della storia umana. Ciò è stato particolarmente vero in Occidente, che quella cosa che chiamiamo storia l’ha inventata.
Oggi questo racconto, vero o fittizio che sia, si è interrotto.
Gli esseri umani occidentali che si affacciano all’età adulta, statistiche alla mano, dovranno studiare di più, formarsi di più, lavorare più a lungo, per ricevere in cambio meno welfare e guadagnare meno dei propri genitori. In molti Paesi, Italia compresa, le proiezioni ci dicono che i nati dopo il 2000 vivranno in media meno dei loro nonni.
Futuro Negato, Presente Schiacciato, Passato Idealizzato
La cosiddetta Gen Z, vale a dire la fetta di popolazione nata tra il 1997 e il 2012, sta provando per prima sulla propria pelle un cambiamento epocale delle strutture sociali, a partire da uno dei motori alla base dell’evoluzione umana. Un fattore che non ha a che fare in senso stretto con parametri socioeconomici o demografici, ma che influisce comunque in maniera determinante sul quotidiano: si tratta dello “spazio di sogno”.
Parliamo di quel luogo immaginario in cui ogni essere umano che vive nel tempo deposita le speranze, le aspettative, il bagaglio di riferimenti positivi a cui riferirsi nei momenti di difficoltà.
I sogni, insomma. Questo luogo può essere il futuro, il presente e pure il passato.
Per la generazione dei boomer lo spazio di sogno era chiaramente proiettato in avanti: il sogno erano le magnifiche sorti e progressive di una generazione nata dopo la guerra, che sembrava averne imparato la lezione e che si sentiva investita della missione di costruire un domani prospero e tranquillo, con l’idea che l’orizzonte a cui tendere si trovasse davanti a sé.
Sognare il futuro era un obbligo, d’altra parte, perché il passato era costituito dalle macerie della guerra e il presente dalla precarietà della ricostruzione.
Nonno con la quinta elementare, figlio diplomato e nipote con la laurea: questo il cursus honorum famigliare immaginato da molti. E da molti, in effetti, raggiunto.
Ora tocca alla “generazione dei laureati” che però, per cause che non sembrano gestibili, vede il proprio spazio di sogno invertito rispetto a quello di chi li ha cresciuti: il futuro non è un luogo sicuro in cui riporre le proprie aspettative, tra declino dell’Occidente, crisi climatica, pervasività e imprevedibilità della tecnologia e venir meno delle vecchie, strette ma confortanti, gabbie valoriali.
Il presente poi è uno spazio di sogno troppo schiacciato dal ritmo delle notifiche dei telefonini per essere perfino percepito.
Resterebbe il passato, luogo per lo più immaginario in cui collocare speranze, che guardando all’indietro sono però rivincite e sogni, che essendo prima di ora diventano restaurazioni.
“Far ritornare grande” qualcosa che può essere un luogo, un pezzo di società, la propria eredità immateriale. Un’operazione che si colloca lontano dall’essere storicizzabile, la quale ha il difetto di essere, coi suoi fatti immutabili, poco malleabile, e che quindi sconfina nel mito.
Non deve perciò stupire se chi tra i giovani guarda ancora alla politica rappresentativa come a una soluzione lo faccia sempre più spesso da destra e non da sinistra. Nella realtà percepita da chi oggi ha diciott’anni è più facile titillare la paura di perdere terreno piuttosto che non la speranza di andare avanti. Vivono tempi conservatori, non progressisti.
Le nuove sfide della Gen Z
La Gen Z, di cui perfino il nome imposto ha il sapore di qualcosa che si conclude, appare alle precedenti una generazione per molti versi incognita proprio per questo suo vivere in un mondo non concepibile per chi li ha preceduti: una realtà fatta di precarietà percepita come inevitabile, insicurezze sistemiche che rendono impossibile pianificare qualcosa oltre il quotidiano; perfino la demografia condanna i nipoti, che sono meno dei loro nonni, a uno scarso peso all’interno dei meccanismi della rappresentanza.
Sono pochi, i Gen Z, quindi elettoralmente non importanti, e mentre la politica non si interessa di loro genitori e nonni si chiedono perché loro non sembrano interessarsi di politica, o lo facciano in tempi e modi e con linguaggi meno comprensibili ai “vecchi”.
Le sfide che attendono, in Occidente ma in realtà in tutto il mondo, le e i giovani che si affacciano oggi all’età adulta, forse non sono peggiori rispetto a quelle di chi è venuto prima, ma sono sicuramente diverse: richiederanno un bagaglio culturale, economico, sociale e perfino individuale molto diverso rispetto a quello che si credeva servisse.
Sicuramente discrepante rispetto a quello con cui la Gen Z è stata preparata alla vita finora.
Quello che si trovano davanti i primi veri figli del mondo post Guerra Fredda è letteralmente un pianeta nuovo: non solo con nuovi problemi e sfide, ma addirittura con diverse “regole fisiche” con cui confrontarsi. È diverso il tempo e il suo valore, così come è diverso lo spazio e la sua fruibilità.
Sono tante e tali le differenze tra il concetto stesso di realtà che ha dominato le generazioni precedenti e quella di chi ora sta prendendo in mano il proprio destino che è quasi scontato immaginare il protrarsi della scarsa permeabilità di idee e proposte tra la Gen Z e quelle precedenti.
A guardarci dai due lati di un confine. Sparute anche le possibilità di un aiuto concreto nel sostenere le sfide che si pongono loro di fronte, anche perché per lo più sono sfide costruite da chi li ha preceduti.
Su ambiente, welfare, diritti e strutture socioeconomiche gli over venti sono parte del problema più che la soluzione.
Una sola può essere l’azione concreta che ancora le vecchie coorti di umani possono fare per le nuove: utilizzare ancora un po’ del bagaglio di fiducia nel futuro e nel cambiamento positivo imparati sui libri di storia per sostenere insieme gli sforzi di chi, violando la fisica dei rapporti sociali e contro ogni attuale principio di realtà, pur avendo oggi 18 anni sogna il futuro, e lo sogna migliore.
