I movimenti sociali e le proteste sono attori e strumenti storicamente fondamentali per la tutela dell’ambiente, la democratizzazione della società e la conquista di diritti, pensiamo allo Statuto dei lavoratori e al Servizio Sanitario Nazionale in Italia. Oggi, sono i movimenti sociali i pochi attori ancora in grado di immaginare e praticare forme di democrazia radicale e altri modi di stare al mondo e a costituire un argine all’aggressione alla democrazia e ai diritti da parte dell’estrema destra globale.
Tuttavia, spesso i movimenti sociali vengono sconfitti dalla criminalizzazione
operata dai governi e dalla manipolazione mediatica. Questo ci porta al tema delle narrazioni pubbliche e della memoria pubblica come costruzioni sociali contese tra diversi attori con interessi contrapposti. Per gli attori dominanti è fondamentale affermare una certa narrazione e sedimentare un certo tipo di memoria che non metta in discussione lo status quo e che anzi lo rinforzi. Ne conseguono processi di invisibilizzazione, stigmatizzazione e distorsione mediatica che colpiscono gli attori che cercano di cambiare o persino sovvertire lo status quo.
Il caso del “climattivismo”
Il caso del climattivismo è estremamente emblematico per quanto riguarda il processo di stigmatizzazione. A partire dal 2018, nel nostro paese si sono costituiti due grandi movimenti di lotta per la tutela di un clima sempre più caotico e minaccioso: Fridays for Future (FFF) Italia, ispirato all’attivista svedese Greta Thunberg, ed Extinction Rebellion (XR) Italia, ispirato all’attivista inglese Roger Hallam, che oggi sconta una condanna durissima a 4 anni di carcere per aver organizzato un blocco stradale. Da XR Italia è successivamente nata Ultima Generazione (UG), fondato su azioni di disobbedienza civile nonviolenta. Negli ultimi anni questə attivistə, in particolar modo di UG e XR, sono statə etichettatə come eco-vandalə, eco- teppistə ed eco-terroristə, con l’intenzione di costruire una narrazione e una memoria pubblica negativa di queste mobilitazioni.
Questo tipo di discorso in primo luogo criminalizza e delegittima i movimenti, giustificando la repressione crescente portata avanti dal governo Meloni. Si tratta di un processo che in definitiva de-politicizza il conflitto sociale, cioè lo sposta dall’arena politica a quella giudiziaria, in linea con l’approccio di un governo che ai problemi sociali e politici non sembra in grado di offrire nulla al di fuori di risposte securitarie. In secondo luogo questa operazione vuole
sedimentare un certo tipo di memoria pubblica favorevole alla destra italiana, in linea con il suo tentativo di conquistare l’egemonia culturale nel nostro paese.
Archiviare come atto politico
In questo contesto, quale ruolo può avere un ente nato con l’obiettivo di archiviare le fonti dei movimenti sociali come la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli? Partiamo da alcune premesse: le associazioni, i partiti e i sindacati tendono ad avere archivi grazie ad una maggiore strutturazione e stabilità. Al contrario, i movimenti sociali sono per definizione più informali, instabili e conflittuali, caratteristiche che li rendono meno propensi all’archiviazione, anche se si contano numerose eccezioni. Infine, le istituzioni pubbliche non sono normalmente interessate alla preservazione delle fonti prodotte dai movimenti sociali stessi, mentre gli apparati di sicurezza e di giustizia ne possono generare nelle attività che svolgono.
In questo contesto, il rischio concreto è quello di perdere interi patrimoni prodotti dai movimenti sociali, pensiamo al movimento no-global tra fine anni ‘90 e inizi anni 2000 o al movimento anti-austerità sviluppatosi a partire dalla Grande Recessione iniziata nel 2007. La domanda provocatoria è: quale memoria si sedimenta senza una raccolta sistematica della produzione culturale di questi movimenti? Una memoria costruita solamente da fonti dei mass media e dello Stato, tendenzialmente stigmatizzanti? O persino l’espulsione dalla storia di mobilitazioni che hanno canalizzato domande sociali estremamente rilevanti ma rimaste inascoltate da parte della politica?
Archivi del presente
Dalle problematiche qui espresse nasce il progetto “Archivi del presente” della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, pensato per raccogliere, conservare e valorizzare il patrimonio intellettuale e materiale prodotto dai movimenti sociali contemporanei. Inoltre, il progetto ha sviluppato un ciclo di workshop a cui partecipano esponenti dell’Accademia, degli istituti di conservazione e dei movimenti sociali per riflettere su vari aspetti: l’importanza politica della pratica dell’archiviazione, la selezione dei movimenti e delle fonti, la complessità della raccolta di fonti digitali, il rischio della manipolazione delle fonti a fini politici, le questioni etiche dei rapporti coi movimenti e la loro potenziale capacità di archiviazione. I contenuti del ciclo di workshop verranno valorizzati attraverso la pubblicazione di un e-book, prevista per i prossimi mesi dell’anno.
L’utilità dell’archiviazione
L’archiviazione è in apparenza un’operazione tecnica e neutrale mentre in realtà è un’ azione profondamente politica. Come scrive l’archivista Cassie Findlay, “le registrazioni – in tutte le loro forme – consentono e lasciano tracce di ciò che i governi, le società e gli individui fanno. Possono essere creati per reprimere o liberare, per nutrire o attaccare. La registrazione e la
conservazione dei documenti sostengono e influenzano una miriade di aspetti della vita degli individui e possono influenzare la direzione di un’intera società”.
Come si è detto nei workshop del progetto, “fare archivio” è un processo da coltivare nel tempo, che si adatta all’evoluzione dei movimenti e delle loro fonti. “Fare archivio” è inoltre costruire un “patto di fiducia” che viene rinegoziato continuamente con i movimenti. Un altro punto fondamentale su cui sarà necessario riflettere è quello di promuovere una cultura dell’archiviazione all’interno dei movimenti sociali, senza dimenticare che alcuni già la possiedono e che possono essere fonte di grande ispirazione (pensiamo all’archivio Primo Moroni, nato nel 2002 a partire dal patrimonio di un grande protagonista dell’attivismo milanese).
In conclusione, raccogliere, conservare e amplificare attivamente la produzione intellettuale e materiale dei movimenti sociali è un gesto di cura, una scelta di campo e un gesto politico profondamente importante in un periodo in cui dall’alto si vogliono stigmatizzare e silenziare le voci dissidenti.