Disuguaglianze e privilegi:
se il dissenso è più onesto del consenso
 


Articolo tratto dal N. 63 di Immagine copertina della newsletter

Tutto scorre. Nulla cambia

Le nuove generazioni non votano più. È vero. Ma anche le generazioni precedenti non votano più. Dall’inizio della Repubblica ad oggi abbiamo perso il 30% di affluenza. Questo fatto nasce da un sentire comune generato da una evidente realtà: le vecchie istituzioni non contano un c** davanti ai nuovi padroni di Seattle, parafrasando Marracash. Un sentire comune che per la Generazione è ancora più forte se pensiamo, appunto, a qual è la nostra colonna sonora.

Detta in altro modo: il mercato ha vinto sulla politica. I governi non sono più in grado di regolare le diseguaglianze generate dallo sviluppo del nostro sistema economico, la cui esistenza negli ultimi anni si manifesta anche con un considerevole aumento della spesa militare fino al 5%. Sembrano frasi comuni ma intanto il costo della vita aumenta e i salari non crescono. Tutto scorre. Nulla cambia.  

È così che oltre il 40% delle persone non ha votato alle ultime regionali. Alle elezioni nazionali del 2022 ha votato solo il 63% degli aventi diritto, il 9% in meno del 2018. Nel 2008 è l’ultima vola che hanno votato 8 italiani su 10. 

Un ragazzo piuttosto appassionato alla vita civile mi ha detto: “non voto più da anni perché mi sento meglio”. E posso dire con un certo imbarazzo non ho avuto la capacità argomentativa di ribaltare quella posizione. Quell’impotenza mi ha fatto capire una cosa molto semplice per spiegare il momento politico che viviamo: sempre più persone preferiscono il dissenso al consenso.  

E torniamo al punto, forse le persone non votano più perché non vogliono legittimare con il consenso qualche partito politico di cui non si fidano. 

Dal 2008 ad oggi votano il 20% di italiani in meno. Ed è piuttosto elementare contestualizzare questo calo dell’affluenza all’interno di un quadro generale in cui lo Stato è progressivamente scomparso: le svendite, le liberalizzazioni, la crisi, i governi tecnici, i tagli alla spesa pubblica, tante altre cose fino all’indegno silenzio davanti alla Palestina. Questo è stato il trionfo dell’irreale.  

Ma ecco, pensate anche a chi ha votato Giorgia Meloni convinto di sostenere un governo sovranista. Tutto si può dire tranne che sia un governo sovranista. Queste persone cosa faranno alle prossime elezioni?

I privilegi degli altri 

Non è tanto il privilegio sociale a determinare direttamente un distacco dal voto, perché nel 1953 hanno votato il 93% degli elettori e il 12% della popolazione era ancora analfabeta (quasi il 60% analfabeta funzionale). Piuttosto è la consapevolezza di quanti privilegi abbiano “gli altri” a determinare un distacco dalla partecipazione politica attraverso il voto.

La stagnazione della mobilità sociale ha generato la sensazione che la classe dominante sia sempre più inaccessibile e ristretta.

Sembra che la politica non sia più in grado di equiparare queste possibilità e che in qualche modo anch’essa perda di influenza, sovrastata dalle scelte dei grandi gruppi di potere finanziario e tecnologico.  

Alla luce di questo, forse, sempre meno persone se la sentono di legittimare il consenso di qualcuno che, volente o nolente, è parte integrante del processo che vede la capitolazione delle nostre democrazie, in cui l’1% della popolazione diventa sempre più ricco e spinge la stessa politica ad un mondo dai rapporti internazionali sempre più aspri.

La convinzione che il voto valga meno di una scelta di consumo etico, del rispetto ambientale, di una protesta in piazza, anzi, addirittura la convinzione che l’espressione di un voto possa essere contraria a questi obiettivi, allontana definitivamente la Generazione Zeta dai seggi elettorali.

Cosa chiede la GenZ: politiche sociali 

Come si può ritrovare una via futura di partecipazione democratica della Generazione Zeta e di quelle future attraverso l’elezione? Non certo soltanto sbarcando su TikTok mettendosi l’elmetto da influencer. Non basta. Servono programmi che invertano lo stato delle cose. Presenza sui territori.

Realtà dentro un mondo sempre più irreale. In Italia, come in Europa. A mio avviso, la Generazione Zeta è disposta a tornare al voto a delle condizioni programmatiche molto chiare: politiche di equiparazione delle possibilità sociali, investimenti sullo stato sociale, quindi la tassazione degli extraprofitti, stretta al mercato unico globale generatore dei mostri che oggi controllano la distribuzione delle merci e delle informazioni, con un’invadenza mai vista prima su scala così ampia.

Si può tornare al voto solo con la sensazione che la politica lotti contro il mercato, che si batta contro il privilegio, inteso generalmente come diversità di accesso a ciò che la società offre.  

Fino a quel momento, per la Generazione Zeta e quelle future il dissenso sarà più onesto del consenso e sempre meno persone saranno disposte a rinchiudersi in un seggio elettorale per mettere la “x” su una scheda che gli sembra meno determinante per la loro vita rispetto a scegliere cosa comprare e dove farlo.

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