Un motore silenzioso
In un capitalismo povero di capitali com’è sempre stato quello italiano, Mediobanca ha svolto un ruolo insostituibile per le grandi imprese private: le ha accompagnate nel loro sviluppo, le ha indirizzate su strade poco accidentate, le ha salvate quando inciampavano. Comunque si giudichi l’operato di Mediobanca, proprio oggi che la scalata del Monte Paschi di Siena appoggiata dal governo Meloni la riconsegna tra molte incognite a un controllo partecipato dallo stato, non c’è dubbio che sia stata un bastione attorno al quale l’Italia si è trasformata da paese prevalentemente agricolo in potenza industriale, cercando di emanciparsi dai ristretti confini culturali e d’impresa.
Nel 1946 Raffaele Mattioli ed Enrico Cuccia, i due più grandi banchieri del Novecento italiano, dalle stanze della Banca Commerciale ispirano e lanciano Mediobanca per finanziare le imprese, ma nutrono anche l’ambizione di favorire l’interesse generale del paese, un’aspirazione quasi illuminista in quella stagione irripetibile. Non si capisce il ruolo storico di Mediobanca, e anche l’importanza dell’intervento pubblico in economia nel dopoguerra, se non si parte dal riconoscimento del valore di una classe dirigente che all’alba della Repubblica si assume la responsabilità della ricostruzione, di fornire linfa vitale al tessuto produttivo, di sostenere la nascita di imprese competitive, di creare lavoro.

Le fragilità del capitalismo in Italia
Molto prima che manager, finanzieri, industriali fossero affascinati dalle tentazioni del facile arricchimento, dalla sbornia delle stock options, dai premi di risultato, l’Italia ha avuto uomini nelle imprese pubbliche di altissimo livello: colti, preparati, responsabili. Guglielmo Reiss Romoli, un nome che probabilmente oggi dice poco ai fanatici dello smartphone, creò la rete telefonica, unificando nella Stet quello che Ernesto Rossi definiva “lo spezzatino”, cioè le piccole compagnie locali. Enrico Mattei, ex partigiano, sfidò i signori del petrolio e garantì l’energia per l’industria e per le nostre case. Oscar Sinigaglia era il sostenitore di una siderurgia moderna al servizio delle fabbriche del Nord da cui uscivano auto, frigoriferi, lavatrici, simboli del “miracolo” italiano. Giuseppe Luraghi costruì il mito dell’Alfa Romeo e propugnò l’industrializzazione del Sud con Pomigliano d’Arco, combattendo la voracità dei partiti e la prepotenza della Fiat. Donato Menichella, prima direttore generale dell’Iri e poi governatore della Banca d’Italia accompagnò Alcide De Gasperi in America per ottenere il prestito per ricostruire l’Italia in macerie.
Mediobanca, fino agli anni Novanta controllata dalle banche dell’Iri, è protagonista di questa stagione. Si occupa del finanziamento a medio e lungo termine delle imprese trasformandosi col tempo in un pronto soccorso per aziende in crisi. La fragilità del capitalismo privato, in larga misura di origine familiare e poco disponibile ad aprirsi al mercato, trova protezione in Enrico Cuccia che conosce difetti e virtù della classe imprenditoriale (e pure di quella politica) e proprio per questo non si fida. Tutto passa sul tavolo di Cuccia. Bisogna salvare la Fiat con un maxi-aumento di capitale? Gli Agnelli vogliono liquidare Gheddafi, azionista ingombrante?
Pirelli fallisce la scalata alla tedesca Continental? La Comit passa ai privati? E poi le trame di Sindona, le battaglie della Montedison, i debiti di Raul Gardini, la scalata dell’Olivetti alla Telecom, la guerra con la finanza cattolica per la Cariplo, la difesa strenua delle Assicurazioni Generali. Nel bene e nel male ci pensa sempre Mediobanca, da cui Silvio Berlusconi, diffidente, resta lontano per anni (entrerà poi con Mediolanum) mentre Cuccia rifiuta di assistere Calisto Tanzi e la sua Parmalat perché convinto che sarebbe finito male.
Sulle debolezze e le lacune del capitalismo tricolore, si è spesso detto, Mediobanca ha accumulato un potere eccessivo, oligarchico, creando un “salotto” più o meno buono dove si entrava per cooptazione. Vero, anche se ogni vicenda, direbbero gli storici, andrebbe contestualizzata nel tempo. Oggi qualcuno vuole maramaldeggiare sull’ex santuario della finanza che, comunque, come l’abbiamo conosciuto non esiste più da tempo. Il “secolo breve” dell’istituto è finito nel 2000 con la scomparsa di Cuccia che conosceva i tempi della storia e ammetteva: “Se è caduto l’impero romano può cadere anche Mediobanca”.
