Il salario sociale reale in un’epoca di smantellamento del welfare

approfondimento


Articolo tratto dal N. 37 di LavorAI, se gli umani non servono più Immagine copertina della newsletter

Problemi di classe…

In occasione del recente Feltrinelli Camp dedicato alle classi sociali in Italia oggi, molt* intervenut* si sono detti d’accordo nel riconoscere validità a una prima aggregazione o distinzione di classe essenziale: quella fra chi per vivere deve vendere il proprio lavoro e chi può invece comprarlo. Ancora, dunque, a quella fra chi possiede i mezzi di produzione e chi no. Nulla di nuovo, ovviamente, ma tornare a dirselo in un incontro scientifico di alto profilo è forse già una notizia. Una prima grande aggregazione sociale è dunque quella del lavoro subordinato: un insieme che è incredibilmente vario al suo interno, va da sé, ma che accomuna tutte le persone che possono strappare il proprio diritto alla vita soltanto lavorando, e venendo pagate per farlo.

La natura sociale del salario

Il salario è una forma di re­lazione che non riguarda il singolo lavoratore e il singolo capitalista. Il lavoratore sa­lariato, la cui sola risorsa è la vendita della propria capacità di lavoro, non può voltare le spalle alla classe dei capitalisti se non vuole rinunciare alla propria esisten­za. Per­ciò, nei costi di produzione del lavoro devono essere conteggiati i costi di riproduzione, per cui la “razza degli operai”, come la chiamava Adam Smith, viene posta in condizione di moltiplicarsi, di continuare a far sopravvivere gli ex-lavoratori logorati e di sostituirli con nuovi lavoratori. Come scrisse Gianfranco Pala, che qui seguiamo, in premessa al suo Il salario sociale. La definizione di classe del valore della forza-lavoro [Laboratorio Politico, Napoli, 1995] il salario, per il suo stesso carattere storico, è sociale. L’essere “sociale” del sala­rio, la sua dimensione di classe, deriva direttamente dal suo essere la categoria centrale delle società in cui predomina il modo di produzione capitalistico.

Karl Marx, Londra 

Si è persa una grande occasione

Con il mancato raggiungimento del quorum per il recente referendum su lavoro e cittadinanza, si è persa dunque una grande occasione per invertire il processo in atto di individualizzazione dei rapporti di lavoro, oltre che il modo in cui oggi le persone, i lavoratori e le lavoratrici guardano alle proprie e alle altrui esistenze. Si è aperto un nuovo problema politico. Quando si parla di salario si è soliti, nel senso comune, riferirsi immediatamente alla “busta-paga”: il che significa pensare al salario come alla retribuzione individuale e diretta, in forma monetaria. Invece il salario è sociale, dunque, ed è anche “reale”: la sua sola forma “monetaria” poco ci dice delle condizioni di vita e dei rapporti di forza. Anche l’economia ufficiale sa che il salario nominale, ossia il prezzo in denaro della forza-lavoro, non coincide con il salario reale, cioè con la quantità di merci che vengono real­mente date in cambio del salario. Insomma: la possibilità di accedere alla sanità pubblica, il cibo con le sue fluttuazioni di prezzo e dunque in generale l’inflazione, il costo della casa, tutto contribuisce ad abbassare o elevare il salario reale, che per sua definizione, ripetiamolo ancora una volta, è sociale, e lo capiamo ancora meglio se pensiamo che tutti i servizi e i beni essenziali necessari alla riproduzione della forza lavoro sono appunto, almeno nell’ambizione, collettivi, cioè per tutt*. E se non sono per tutti, bisogna fare che per tutt* lo siano. Ecco perché lavoro e cittadinanza sono costitutivamente e intimamente connessi. Ecco perché i diritti di ciascuno sono i diritti di tutti:

Una società con pochi lavoratori è più povera di welfare.

Una società senza welfare è una società più povera.

Il lavoro subordinato senza welfare è più povero.

Il lavoro subordinato senza welfare per tutt* è più povero.

Affluenza al Referendum dell’8-9 giugno 2025

E i lavoratori?

Singoli la­voratori, milioni, forse miliardi di lavoratori o poveri assoluti non ricevono abbastanza per vivere e riprodursi, ac­comunati dalla forma di sfruttamento specifica di questa società; ma il salario dell’in­tera classe lavoratrice, entro i limiti di queste oscillazioni e diversità di garanzie e trattamento, è uguale a un minino che ne garantisce appunto la riproducibilità. Tuttavia, con queste differenze fra singoli, gruppi e regioni del mondo, possono estinguersi o rimanere ai margini solo agglomerati più o meno grandi di persone, che al limite possono essere usati come esercito industriale di riserva per premere verso i settori di classe meglio tutelati e protetti. Perché il problema della protezione del lavoro è, bisogna dirselo, costitutivo alla nascita stessa del movimento operaio e di quello socialista. Epperò, includere e proteggere è l’unico modo per avvicinare stipendi e diritti sociali, anche di queste persone, a quelli dei lavoratori e delle lavoratrici più garantit*, proteggendo dunque il salario reale sociale.

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