Il duro e irrituale attacco mosso ormai in più occasioni dalla presidenza Trump all’Europa sia sul versante dei dazi sia su quello più generale della collocazione internazionale rispecchia, in maniera chiara, la visione della nuova amministrazione statunitense che sembra non voler riconoscere alcun peso reale al Vecchio Continente, ponendo fine ad ogni traccia di atlantismo e facendo balenare invece un sia pur contraddittorio multipolarismo.
Il ruolo cruciale della dollarizzazione
Si tratta di un nuovo ordine globale che è dettato in primo luogo dalle attuali condizioni dell’economia statunitense, angustiata da alcune criticità evidenti. Il peso del disavanzo commerciale che ha superato 3000 miliardi di dollari l’anno costituisce un onere difficile da sostenere, a cui si aggiungono una posizione finanziaria netta negativa pari a 22 mila miliardi di dollari e un indebitamento federale che sfiora i 37 mila miliardi di dollari.
Ciò significa che gli Stati Uniti sono pesantemente indebitati con il resto del mondo e devono affrontare questa dipendenza senza essere ormai la più grande economia produttiva del pianeta. Negli ultimi anni questa situazione è stata alimentata con la dollarizzazione, garantita dalla capacità della moneta americana di continuare a essere la valuta degli scambi internazionali, e con la crescita di una vera e propria bolla finanziaria, che ha sorretto il Pil statunitense grazie alla liquidità proveniente dai grandi fondi finanziari, oltre che da quella ancora in circolo originata dalle politiche espansive della Federal Reserve degli anni passati.
Trump e il rischio di autarchia globale
In tale ottica, Trump non potrà certo fare a meno di questi due strumenti che influenzeranno quindi la sua visione. Mantenere la dollarizzazione significa infatti coltivare buone relazioni con la Cina nei confronti della quale, al di là delle narrazioni gridate, non saranno possibili guerre doganali per evitare che Pechino decida di ridurre l’utilizzo del biglietto verde come mezzo di pagamento delle proprie merci e per non perdere il beneficio deflazionistico derivante dall’importazione in terra americana di beni cinesi che costano infinitamente meno di quelli americani.
Perdere la dollarizzazione e importare inflazione, con la conseguente necessità di alzare i tassi d’interesse, costituirebbe un atto suicida per Trump, destinato a strangolare ancor di più il già debole sistema produttivo americano e mettere in ginocchio i milioni di possessori di mutuo. Allo stesso modo il nuovo presiedente sarà obbligato a evitare l’esplosione della bolla finanziaria, guidata dai titoli delle big tech e sostenuta dai grandi fondi destinatari del risparmio gestito, a cui dovrà garantire normative di favore nella speranza che continuino a drenare risorse non solo dagli americani ma soprattutto dagli europei per dirottarle verso i listini di Wall Street.
In questo senso si giustifica l’aggressione verso l’Europa che presenta la duplice caratteristica di disporre di una vasta messe di risparmio che non deve restare nel Vecchio Continente e di vantare una bilancia commerciale attiva nei confronti degli Stati Uniti, contraddistinta però da una composizione facilmente aggredibile.
Dazi e gas: le strategie di Trump contro l’Europa
Le esportazioni europee verso gli Usa sono composte da merci che non raffreddano l’inflazione americana e che il sistema produttivo statunitense può sostituire senza troppe difficoltà. In tale ottica, pertanto, i dazi possono essere particolarmente efficaci, mentre sarebbe assai complesso per l’Unione europea applicare ritorsioni verso le importazioni provenienti dagli Stati Uniti che sono costituite, in larghissima misura, da servizi e beni immateriali, nei confronti dei quali i vari tentativi europei di introdurre forme di prelievo fiscale sono sempre miseramente fallite.
Per ridurre il disavanzo commerciale statunitense, poi, un posto di rilievo possono occupare le esportazioni di gas liquido, che proprio in Europa hanno la loro principale destinazione: se tali flussi continueranno a crescere e soprattutto se i prezzi del gas saliranno ancora, la bilancia commerciale a stelle e strisce avrà significativi benefici. Per realizzare un simile obiettivo risulta fondamentale l’esistenza di buoni rapporti con la Russia che ha certamente un peso decisivo nella determinazione del prezzo dell’energia e dunque dovrebbe condividere con la presidenza Trump la strategia di “affamamento” energetico dell’Europa.
Certo, se invece di considerare i fondamentali economici e di tener presente i limiti attuali del sistema produttivo e finanziario Usa, Trump decidesse davvero di avviare una insostenibile autarchia, puntando a sostituire le merci importate dal resto del mondo con produzioni americane per cercare un impossibile consenso interno dei “lavoratori” contro i consumatori e riuscisse nell’incredibile intento di suscitare una reazione europea in termini di riduzione dei flussi di capitale non più attratti dalle Borse Usa, allora la sua amministrazione sarebbe davvero in grado di generare una delle più profonde crisi del capitalismo.