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Tropico dei non allineati

Dal colonialismo al BRICS+: Vijay Prashad, direttore dell’Istituto per la ricerca globale Tricontinental, riflette sul divario Nord-Sud, le dinamiche della globalizzazione e le alternative emergenti del Sud globale all’egemonia occidentale 


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Quando Eduardo Galeano ha scritto Le vene aperte dell’America Latina ha raccontato di un continente in cui le infrastrutture sono state costruite per garantire lo sfruttamento delle proprie risorse da parte di altri attori esterni, nel Nord del mondo.Nel corso degli ultimi 5 secoli ad avere “le vene aperte” non è stata però solo l’America Latina. Tutto il Sud globale è stato integrato nel sistema economico mondiale a beneficio del suo centro: l’Europa prima, l’Occidente a guida statunitense poi.

Basti pensare alla spartizione dell’Africa o alle guerre dell’oppio per soggiogare la Cina.

Due prospettive sulla globalizzazione 

Oggi di fronte alla contrapposizione sempre più netta tra il West e il Rest del mondo ci chiediamo se la globalizzazione non sia finita. Ma per capire a quale punto del guado ci troviamo dovremmo piuttosto chiederci cosa è stata (almeno fino ad ora) la globalizzazione. 

Ci sono due modi per guardare al fenomeno, a seconda che si utilizzi una lente di lungo periodo o di breve periodo. Se con globalizzazione intendiamo un processo di crescente interazione tra le diverse aree e civiltà del mondo, allora stiamo guardando un film che si snoda dalle grandi scoperte geografiche alla fine del XV secolo in poi. Se adottiamo uno sguardo di breve periodo abbiamo di fronte il fenomeno degli ultimi 40 anni, con un sistema internazionale le cui regole sono plasmate a beneficio di un ordine unipolare centrato sugli Stati Uniti, con il dollaro come valuta di riferimento internazionale, alcune istituzioni transnazionali nell’azione e a guida Usa o a guida “occidentale” nella composizione dei vertici e nelle intenzioni politiche, come erogatori o regolatori. Per non parlare del superpotere accumulato da Washington in ambito militare e di influenza “culturale” o politica. In ogni caso il processo di crescente interazione tra le aree del globo non rappresenta un neutro incontro di gala.

 

Alla ricerca di alternative

È nella consapevolezza di questo particolare che risiede probabilmente la differenza di vedute tra il Nord e la stragrande maggioranza del Sud globale riguardo ai principali dossier della vita internazionale: dalla guerra in Ucraina alla crisi mediorientale che ha nella questione palestinese la sua miccia.

Per cercare alternative a un sistema generativo di poli-crisi, le piattaforme di confronto e discussione restano luogo fondamentale per costruire un dibattito favorevole ai processi di emancipazione sociale. In America Latina, la realtà di Tricontinental, rivista e centro di ricerca, è uno storico punto di riferimento dell’elaborazione dei movimenti di liberazione del Sud globale.

Le origini

Il primo numero della rivista cubana “Tricontinental”, organo teorico della Segreteria Esecutiva dell’Organizzazione di Solidarietà dei Popoli d’Asia, Africa e America Latina, fu pubblicato nel luglio-agosto 1967 all’Avana in quattro lingue: spagnolo, inglese, francese e italiano.

La diffusione delle edizioni in francese e in italiano fu supportata dalla collaborazione degli editori François Maspero e Giangiacomo Feltrinelli che ne curarono la pubblicazione in Francia e in Italia.

Il percorso di Tricontinental

Queste due edizioni ebbero però vita breve poiché cessarono entrambe la pubblicazione nel 1971. In particolare, l’editore Maspero subì notevoli guai giudiziari a causa della diffusione di questo e altri periodici giudicati sovversivi.

La rivista edita a Cuba invece continuò a uscire in tre lingue (spagnolo, inglese e francese) fino al 1990, quando, per ragioni economiche, cessò la pubblicazione, per poi rinascere con la seconda serie inaugurata nel 1995.

Tricontinental ha dato voce ai più autorevoli dirigenti del Terzo Mondo e agli intellettuali rivoluzionari con l’obiettivo di essere “organo di agitazione, di diffusione e scambio delle esperienze rivoluzionarie, come pure delle idee più nobili degli uomini che lottano, sentono e pensano per la completa liberazione dell’umanità.”

Guarda l’intervista a Vijay Prashad

Vijay Prashad, storico e saggista indiano, è Executive Director dell’Institute for Global Research Tricontinental.

Lo abbiamo intervistato a margine del Festival dell’economia critica organizzato da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli sui temi della globalizzazione, del capitalismo e del Sud del mondo.

Qual è il ruolo della globalizzazione nel divario Nord-Sud?

Dal colonialismo economico alle rivoluzioni popolari 

Nella vita internazionale, i rapporti di forza vengono regolati sul rude terreno dello scontro militare. Ma il più delle volte non è così. A volte basta ricorrere alla minaccia dell’uso della forza per costringere i paesi più deboli a piegarsi. Altre volte le potenze “centrali” del sistema giocano altre carte: dal condizionamento economico, a quello politico sfruttando le linee di frattura presenti all’interno della società presa di mira per destabilizzarla e costringerla alla resa; oppure ancora riescono ad ottenere la “subordinazione volontaria” grazie ad una vasta ed efficace campagna mediatica e culturale che convince l’élite e secondariamente l’opinione pubblica del paese che deve essere fagocitato della giustezza delle politiche “suggerite”.

Come ha notato l’intellettuale argentino Marcelo Gullo, all’interno della nazione sulla quale viene esercitata la pressione da parte del centro si assiste sempre al contrapporsi tra due fazioni. Da un lato i così detti sostenitori del “realismo” collaborazionista, pronti ad accettare l’imposizione dell’egemone visto che i rapporti di forza “costringono” alla capitolazione. Queste tendenze finiscono con l’affidarsi alla buona volontà dell’egemone stesso, rinunciando a fette sostanziali di sovranità nazionale. Dall’altro lato si collocano i sostenitori di un realismo “liberazionista”, che rifiutano di cedere ai ricatti del centro egemonico proprio in virtù delle conseguenze inaccettabili che implicherebbe la cessione della sovranità e che si adoperano per impostare un insieme di politiche capaci di mobilitare le risorse del proprio paese per preservarne l’indipendenza.  

Rompere la dipendenza 

I paesi del Sud del mondo, dalla conferenza di Bandung del 1955 e dall’adozione della loro formale indipendenza politica (tra gli anni Sessanta e Settanta) in poi hanno cercato diverse strade per sfuggire dalla trappola della dipendenza. In America Latina ha preso corpo una teoria interpretativa del sistema-mondo, la teoria de la dependencia che sottolinea proprio la subordinazione della regione alle dinamiche economiche favorevoli al Nord del mondo. Le opere degli autori più significativi di quella stagione (come Theotonio Dos Santos e Vania Brambirra) figurano nella biblioteca della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.  

Tutti i paesi che in passato sono riusciti a sfuggire da una condizione di sudditanza o comunque da una posizione periferica nel sistema hanno dovuto, giocoforza, basare la loro politica di sviluppo sull’interventismo statale per sfuggire ai tentacoli delle potenze coloniali che occupavano il centro del sistema, le quali disponevano ovviamente della primazia economica e finanziaria. Questo processo si è compiuto a prescindere dal sistema economico dei paesi a cui è riuscito il tentativo di emancipazione, fosse esso il modello capitalistico scelto da Germania e Giappone alla fine dell’Ottocento o quello socialista-pianificato scelto dall’Unione Sovietica o, ancora, quello socialista di mercato scelto dalla Cina. Gli stessi paesi anglosassoni, vessiliferi del libero mercato e del liberoscambismo non sono esenti da questa matrice: come ricordava Giovanni Arrighi, l’Inghilterra non sarebbe probabilmente riuscita a diventare la prima potenza navale scalzando l’Olanda senza l’Atto di Navigazione. 

Dopo lunghi decenni di persistente egemonia del paradigma neoliberale, nonostante le varie crisi che si sono succedute, è difficile trovare la strada di un modello alternativo di sviluppo. Almeno, guardando al dibattito politico in Occidente.  

Quali sono le alternative del Sud globale al neoliberalismo? 

Il tempo dei BRICS 

Le tendenze dell’economia mondiale degli ultimi decenni, con la crescita dell’Asia orientale con al suo centro la Cina come fonte di accumulazione, la costruzione di partnership strategiche tra le realtà emergenti e la crescita degli scambi Sud-Sud con mutuo beneficio stanno spingendo in direzione di un assetto multipolare delle relazioni internazionali. Una tendenza in chiaro contrasto con interessi a lungo consolidati, in particolare con la volontà dei circoli dirigenti di Washington (pur divisi in merito alla strategia da adottare da un conflitto di prospettive che è sotto gli occhi di tutti) la cui intenzione è scrivere la storia di un nuovo secolo americano. Da queste tendenze derivano i pericoli che minacciano l’umanità oggi.  

In simili frangenti nel passato l’umanità è uscita dal bivio delle tendenze contrapposte tramite guerre mondiali. Augurandoci che il futuro di fronte a noi rappresenti l’eccezione alla regola, secondo Vijay Prashad l’emersione del gruppo BRICS+ (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa e i nuovi membri) è un fattore di certo cambiamento ma in continua evoluzione e non può ancora essere inquadrata in uno schema conflittuale con l’Occidente.

  Cosa aspettarsi dalle potenze BRICS+ nei prossimi anni? 

 

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