Il ddl sicurezza
Nelle ultime settimane, la proposta e la prima approvazione alla Camera del nuovo disegno di legge n. 1660 – il ddl sicurezza – architettato e promosso dal Governo Meloni, minaccia di condurre il Paese verso una nuova e più rigida stretta autoritaria. Siamo davanti a un provvedimento che, dietro il falso pretesto della sicurezza, da un lato prende di mira il dissenso e la protesta, dall’altro colpisce ancora una volta le categorie sociali più deboli, reputate come “non conformi” e problematiche per la società, come migranti, poveri, senza casa, marginali o persone dedite alla piccola criminalità. La natura del ddl, con tutte le sue implicazioni, è stata raccontata nel dettaglio in un articolo di Anna Cortimiglia pubblicato di recente su Jacobin Italia.
Anche se molte delle proposte sono del tutto in linea con le politiche securitarie degli ultimi due decenni, condotte in nome del “decoro” e contro il “degrado” sia dal centro destra sia dal centro sinistra, il nuovo decreto si contraddistingue per una forte carica autoritaria e repressiva. Nella storia unitaria dell’Italia questa non è una novità e il ddl si inserisce perfettamente in una cornice coerente fatta di corsi e ricorsi storici in termini di repressione sociale. Il testo appena approvato alla Camera contiene infatti una serie di norme che mirano a colpire e annichilire i principali attori delle proteste sociali e politiche degli ultimi anni: attivisti climatici, movimenti di lotta per la casa, gruppi e associazioni che si battono contro le grandi opere. Si tratta dell’ennesimo tentativo, stavolta spudorato, di compressione degli spazi pubblici e dell’agibilità politica per le opposizioni ancora attive nel Paese. Provvedimenti altrettanto duri andranno a punire qualsiasi forma di protesta attuata in carcere, senza discrimine tra le rivolte violente e le varie forme di disobbedienza.
Dottore, quanto è grave?
All’interno del ddl saltano all’occhio alcune norme in favore delle polizie, perché paiono concepite per assicurare al governo in carica un consenso ampio e incondizionato da parte degli appartenenti alle forze dell’ordine. Innanzitutto, sono previste pene ancora più severe per chi commette violenza nei confronti di un agente, ed è rilevante che tale norma riguardi soltanto le polizie, non i pubblici ufficiali in generale. In secondo luogo, agli agenti verrà data facoltà di poter acquistare senza licenza, detenere e portare fuori servizio, armi non d’ordinanza. Con un’altra norma inserita nel decreto il governo vorrebbe inoltre assicurare un cospicuo finanziamento per sostenere le spese legali di tutti gli agenti coinvolti in un procedimento per fatti accaduti in servizio.
Si tratta di una proposta di una gravità inaudita, specialmente alla luce dei numerosi procedimenti in corso nei confronti di appartenenti a vari corpi di polizia, come quello seguito agli abusi commessi nella questura di Verona o, più di recente, alle indagini per le cariche agli studenti avvenute nel corso della manifestazione pro Palestina tenutasi a Pisa il 23 febbraio 2024. Non è difficile intravedere dietro quest’ultimo provvedimento la longa manus di una pattuglia di sindacati di polizia, vicini ai diversi partiti di destra, che nel corso degli ultimi due decenni per assicurarsi consenso hanno svolto un’opera di infima propaganda, patrocinando spesso una difesa cieca e a oltranza del personale, anche quando coinvolto in casi di abusi gravi o di omicidi. Si pensi, solo per fare un esempio, al comportamento gravissimo tenuto da alcune sigle sindacali nel corso delle indagini e dei processi seguiti all’omicidio di Federico Aldrovandi.
Soggetti a rischio (sociale)
Siamo davanti a un provvedimento di pericolosità notevole, che potrebbe diffondere all’interno dei corpi un senso di onnipotenza, impunità e libertà di azione. Anche qui non si tratta di un fatto nuovo: per una buona parte della loro esistenza, nel corso della storia unitaria d’Italia – liberale, fascista e repubblicana – le polizie hanno goduto per volontà del potere politico di una sostanziale impunità, assicurata per lungo tempo anche dalla complicità della magistratura. Soltanto negli ultimi quarant’anni, a partire dalla riforma del 1981, abbiamo assistito a una qualche discontinuità su questo fronte.
Ma nel ddl sono molti i “ritorni al passato”. A fronte dell’assenza totale di qualsiasi consapevolezza dei problemi sociali esistenti, si ribadisce la volontà di accentuare e proseguire con un utilizzo distorto delle polizie, trasformate sempre più in uno strumento di pulizia sociale per contenere e per respingere la povertà e la “devianza” lontano dalla vita (e dalla vista) della società, come avveniva nell’Italia liberale nei confronti di tutte quelle categorie considerate odiose dalle classi dominanti o pericolose per l’ordine e per la sicurezza pubblica. Su questo punto non stupisce il recente rapporto del Consiglio d’Europa che accusa la polizia italiana di razzismo, segnalando molti casi di “profilazione razziale”. In questo clima politico e davanti a simili proposte di legge, determinate questioni potrebbero rimanere attuali per molto tempo o addirittura aggravarsi.
Consiglio di lettura
Il braccio armato del potere.
Storie e idee per conoscere la polizia italiana
di Michele Di Giorgio,
Nottetempo, 2024
Nella storia dell’Italia contemporanea la polizia ha giocato un ruolo di primo piano nella gestione del potere e le sue vicissitudini sono legate a doppio filo con quelle della società e del paese. Per questa ragione, analizzarne continuità e trasformazioni istituzionali da una prospettiva di lungo periodo, che dall’Unità d’Italia arriva fino a oggi, è fondamentale per riflettere su questioni tuttora centrali nella vita democratica, come i problemi e le distorsioni che riguardano il ruolo e il funzionamento delle forze dell’ordine.