Articoli e inchieste

Per una nuova sinistra della solidarietà


Tempo di lettura: minuti

L’Europa “austera” ci spaventa. La vorremmo seria e affidabile, ma al contempo solidale e capace di investire nell’accoglienza e in un’idea di sicurezza dai forti connotati sociali. Non per astratto idealismo, ma perché crediamo che serva un progetto politico europeo credibile, ambizioso e non meno inclusivo 

Sono preoccupazioni nient’affatto peregrine: il governo francese è caduto per un debito fuori controllo; la Germania è alle prese con una crisi industriale, soprattutto nel settore dell’auto, dovuta all’assenza di politiche espansive; e un’altra crisi dell’euro non è distopia fantascientifica.  

L’austerità, in Europa, è stata la ricetta per reagire agli scossoni del 2008, tra rigore di bilancio, tagli alla spesa pubblica e il conseguente sfacelo sociale. In questi decenni, l’austerità è stata parola d’ordine di quella che Francesco Saraceno ha chiamato “l’ossessione ordoliberale per la parsimonia”, che ha inibito e annebbiato la capacità di puntare su grandi piani di investimento pubblico.  

Eppure, austerità non ha un solo significato. Ben altro ne aveva quella proposta negli anni Settanta da Enrico Berlinguer. Lo dice Anna Tonelli nell’approfondimento di questo numero di PUBBLICO: per il Segretario del Partito Comunista si trattava innanzitutto di depotenziare la rivoluzione individualista che adotta il paradigma del “consumismo dissennato”.  

Una spinta individualista che, oggi come ieri, frammenta la società e indebolisce l’azione collettiva sotto il mito della conquista di benessere privato. L’abbaglio da cui forse Berlinguer ha cercato di metterci in guardia è quello che Carlo Trigilia ha definito l’“illusione dei ceti medi”: la convinzione secondo cui le classi popolari sarebbero diventate progressivamente ceto medio più o meno agiato. Il capitalismo rampante di questi anni ha invece prodotto progressiva polarizzazione e nuovi picchi di diseguaglianza.  

L’austerità berlingueriana era sì sobrietà, ma era soprattutto richiamo a un patto di solidarietà. Dagli anni Ottanta, invece, tutto l’investimento politico è stato fatto sugli individui e sulle loro libertà individuali, a discapito dei gruppi sociali e delle tutele collettive. La sinistra post-comunista si è accodata negli anni Novanta alla narrazione sulla scomparsa delle classi sociali e sulla fine della storia, con gli effetti che oggi vediamo: senza presa su lavoratrici e lavoratori sempre più impoveriti, con le destre che danno le carte nella narrazione del mondo e con il grande capitale che stringe sodalizi con le forze più estreme e populiste.  

La riscossa della sinistra non può che partire dall’impegno a “rendere più eguali i diseguali”. Se l’austerità tecnocratica di questi ultimi anni ha prodotto sfibranti vulnerabilità esattamente tra i gruppi sociali più esposti – con il progressivo immiserimento del welfare –, forse quell’austerità politica, che segnava la via di uno sviluppo economico solidale, ci dice che a sinistra si può recuperare terreno se ci si oppone all’egemonia liberale. Se si ha il coraggio di tornare a proporre una visione del mondo che faccia perno sulla collettività e non sull’individuo, sui bisogni sociali e non sul privilegio, sulla redistribuzione e non sull’accumulazione. La collettività non c’è più in un’epoca che ha desertificato forme di militanza e riti di appartenenza, si dirà. Ma allora serve ricostruirla dal basso, pezzo a pezzo. Nelle nostre città, sui luoghi di lavoro, davanti ai cancelli delle fabbriche: perché davanti a quei cancelli, letterali o metaforici, si può e si deve lottare ancora.  

È qui, come osserviamo nel libro Tutti i colori del rosso, che battaglie e istanze possono convergere: il bianco del pacifismo, il fucsia dei femminismi, il verde dell’ecologismo, l’arcobaleno dei diritti LGBTQ+ come spettro di nuances che possono trovare una riverberarsi e ricomporsi in quella tonalità comune del rosso che per decenni è stata sinonimo di emancipazione collettiva.  

Ne va del futuro delle sinistre. Ma più in generale della democrazia. Come ricorda il podcast Europa, una storia alla volta che pubblicheremo la prossima settimana, già Tony Judt ci aveva messo in guardia: l’ineguaglianza corrompe la società dall’interno, fino a mettere in scacco le democrazie.  

_____________

Articolo tratto da

Leggi la Newsletter 

La Fondazione ti consiglia

Restiamo in contatto