“Ecovandalo”, “Gretino” e “ecoterrorista” sono appellativi che non fanno più sorridere gli attivisti e le attiviste dei movimenti per il clima. Ormai stancano, sfiniscono, perché l’uso che si fa del linguaggio non è mai neutro e apolitico. In modo simile, le persone militanti dei centri sociali o dei movimenti della sinistra non istituzionale diventano “zecche”, “nullafacenti” o “figli di papà”, parole intercambiabili per chi le pronuncia, ma evidentemente in contraddizione.
Se il linguaggio non è mai neutro, ci dev’essere per forza essere un obiettivo finale che ne legittimi la strategia: indebolire l’agency, quella forza che spinge l’individuo ad agire. In altre parole, screditare la volontà di cambiare le cose attraverso degli spostamenti di significato.
“Ecovandalo”
“Ecovandalo” fa una strana operazione: a livello letterale, sarebbe la persona o il soggetto che vandalizza l’ambiente, quindi chi? La risposta ragionata è “le aziende inquinanti”, quelle che emettono grandi quantità di CO2 nell’atmosfera, che bruciano, estraggono e finanziano le estrazioni di fonti fossili, o che inquinano le acque e il suolo, per fare giusto qualche esempio. Il termine, invece, è usato per “barbarizzare” – cioè per marginalizzare – un desiderio politico: agire adesso per mitigare gli effetti del cambiamento climatico di origine antropica.
“Ecoterroristi”
Allo stesso modo, chi sarebbero gli “ecoterroristi”? Forse chi nega che eventi estremi come la siccità o le alluvioni siano causati dalla crisi climatica? O chi inquina interi ecosistemi, distruggendo comunità indigene e risorse vitali, come le grandi aziende inquinanti, come Eni, Shell e BP?
“Gretini”
E invece i “Gretini” sappiamo bene chi sono: i “seguaci” di Greta Thunberg, che adesso è invisa ai più, dal momento che ha cominciato a indossare la Kefiah e a usare una più convinta retorica anticapitalista e decoloniale. “Gretini” è una parola curiosa, che forza sui giovani l’immagine delle attiviste riducendole a “ragazzine”. Perché, si sa, le ragazzine non sanno nulla del mondo.
Attraverso i media, il realismo capitalista (il sintagma usato da Mark Fisher per indicare l’ideologia di questo sistema economico, fondata sul “there is no alternative”) modella l’opinione pubblica. Il neoliberismo si fonda su sfruttamento e oppressione e nell’emergenza – per esempio, quella bellica – dà il massimo. Ed è ormai chiarissimo che la strada del capitalismo non è interrelato al percorso delle democrazie, ma può sussistere serenamente in autocrazie, dittature e sistemi democratici che progressivamente promuovono leggi in odore di fascismo.
Parlando di “ecovandali” e “terroristi del clima”, l’emergenza diventa quella del dissenso, non quella – molto più reale – climatica. Così, questo governo, per sentirsi sicuro di esercitare il proprio potere senza contradditorio, elabora proposte di leggi liberticide: come il ddl 1660, ideato dal trio Nordio, Valditara, Piantedosi e già approvato alla Camera, adesso in esame al Senato. Molti articoli sono specificatamente pensati contro gli attivisti e le attiviste per il clima, per intimidirli – intimidirci – con un aumento di pene spaventoso, mettendo, dunque, una sorta di barriera d’accesso all’attivismo, prima di tutto ideologica.
Quindi, da un lato, la delegittimazione della lotta climatica è perpetuata attraverso i media, sul piano simbolico; dall’altro, l’attivismo per il clima subisce un attacco diretto attraverso la legge, sul piano fisico. Un assedio da ogni parte. Poi, quando gli eventi climatici estremi diventeranno ineludibili e ci chiederemo perché, la risposta sarà: perché si è guardato il dito e non la luna.
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