Padroni del presente, assassini del futuro

La forma di governo delle autocrazie? Il prolungamento infinito del potere degli adulti.
La strategia è usare le nuove generazioni per reprimere la voglia di futuro dei loro coetanei


Articolo tratto dal N. 25 di

Non siamo un hashtag

Stai leggendo La Barba, una rubrica tematica a cura di David Bidussa per far dialogare presente e passato.

Ritorno al futuro

A lungo la giovinezza ha rappresentato non solo uno stadio della vita, ma la certezza di una sfida al presente in nome del futuro. È ancora così?

È Paul Nizan a segnare quel confine tra sfida e amarezza, ma sempre sapendo che la domanda si rivolge a chi deve sapere di aver mancato o di sentirsi in colpa e di non potersi sottrarre. Avevo vent’anni non permetterò a nessuno di dire che questa è l’età più bella della vita. È la frase di esordio di Aden Arabia (1931) il romanzo della fuga dal destino di «eccellenza» che gli riserva la sua condizione di studente dell’École Normale (la sua è la classe 1924-1927, la stessa in cui si trova Jean Paul Sartre). 

La giovinezza come sfida e rivoluzione

Prima la giovinezza è stata molte cose, spesso ha percorso scelte non meno radicali, delle passioni ardenti, dei tentativi spesso senza futuro. La consapevolezza era che tentare ne valeva la pena. Il segno era dato dalla «ricerca» (quella del cavaliere medievale) e degli apprendistati incerti (professionali, militari, erotici), sempre segnati da un’altalena di successi e di insuccessi. La vestizione del giovane cavaliere, la novizia che prende il velo, la visita di leva del futuro soldato, i riti goliardici dell’università, la sfida di rovesciare il potere per dare inizio a un nuovo tempo.

Sono dei trentenni (talvolta dei ventenni) le figure che segnano il tempo della Rivoluzione francese. Lo stesso accade a Milano come a Roma nel 1848: i giovani risorgimentali che insorgono sono più vicini ai 20 che non ai 30. Tutti quelli che in Italia scendono in campo nel 1943 – 1945, dovunque scelgano di andare, hanno 20 anni. Il segno del malessere è Gioventù bruciata (1956) e l’icona è James Dean (1931-1955), che muore nel momento stesso in cui quel film va nelle sale cinematografiche. 

Il declino della giovinezza e la lotta per il potere

Trent’anni dopo – siamo a metà degli anni ’80 – improvvisamente quella condizione si sposta. Ora la vita si allunga, il ricambio si fa più lento e sono gli over 50, talvolta gli over 80, a voler rappresentare il futuro. Non hanno bisogno dei ventenni. Quei ventenni ricordano loro che la loro vita sta andando verso il momento del declino, che potrebbero essere sostituiti. Non li vivono come futuro. Sono solo concorrenti. Comunque rappresentano un’insidia. 

La loro pulsione è allora allontanarli, deresponsabilizzarli, escluderli. Oppure, «furbescamente», arruolarli come loro cloni. Dunque assumerli a garanzia del loro potere. Non accade solo nelle post-democrazie. I luoghi in cui governano i fanatici (Iran in testa) esprimono la stessa condizione: un signore «over 70» che trasforma i ventenni in miliziani del nuovo. La loro mission non è più prendersi il futuro, ma la distruzione fisica, morale e intellettuale di qualsiasi forma di dissenso o di opposizione. 

Fine della giovinezza e ripristino della gerarchia. Prolungamento infinito del governo degli adulti, che ora aspirano all’immortalità. Il motto è essere i padroni del presente e gli assassini del futuro. 

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