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Il linguaggio di Trump e la fine dell’effetto serendipity

La comunicazione volgare del Presidente USA rispecchia il modello dei social


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Proviamo a ragionare sul linguaggio di Trump, partendo da due considerazioni che possono aiutarci a descrivere il momento attuale nella costruzione della leadership politica. Da un lato, viviamo in un’epoca segnata dal declino della figura dell’“uomo pubblico, inteso come politico che agisce nell’interesse collettivo, ponendo il bene pubblico al centro della propria azione. Dall’altro, assistiamo a un processo di personalizzazione della politica così radicato nel discorso pubblico da rendere impensabile farne a meno. 

A prima vista, queste due dinamiche sembrano contraddittorie: come può la crescente centralità della dimensione personale della leadership coesistere con la crisi della politica intesa come servizio alla collettività? In realtà, non solo questi fenomeni non si escludono a vicenda, ma sono strettamente interconnessi.

Il declino dell’uomo pubblico

Seguendo la riflessione di Richard Sennett (The Fall of Public Man, 2006), il declino dell’uomo pubblico può essere interpretato come una diretta conseguenza del processo di personalizzazione. Questo processo ha trasformato la competizione politica, spostando l’attenzione dai programmi e dalle istituzioni ai leader perlopiù populisti, capaci di instaurare un legame empatico con una parte significativa dell’opinione pubblica. I cittadini si affidano sempre più a figure che all’apparenza paiono in grado di mettersi nei loro panni, di parlare il loro linguaggio e di incarnarepiù che rappresentare – il loro vissuto e le loro frustrazioni. 

È proprio a partire da questa premessa che possiamo analizzare il linguaggio di Donald Trump. Con Trump, la politica assume toni volutamente volgari e provocatori, rispecchiando un modello comunicativo che si è consolidato nell’era dei social media. L’insulto, la semplificazione estrema e il rifiuto del linguaggio istituzionale non sono semplici scelte retoriche, ma elementi strutturali di un codice comunicativo ormai ordinario.

La volgarità della politica

In un panorama in cui la comunicazione politica si gioca sulla capacità di attirare attenzione, indignare e polarizzare, Trump ha costruito un discorso che rompe deliberatamente con il decoro e le convenzioni del linguaggio politico tradizionale. Questo approccio non è solo un segno di rottura rispetto al passato, ma un indicatore delle trasformazioni più profonde che hanno investito il modo in cui il potere viene esercitato e percepito nella società contemporanea. 

La politica si è fatta volgare. E Trump lo sa bene – anzi, benissimo – tanto da esserne uno degli esempi più evidenti. In un’intervista a diMartedì (24 gennaio 2025), Gianrico Carofiglio paragona il linguaggio del presidente americano a quello di “un ragazzino di 9 o 10 anni con un livello medio di alfabetizzazione negli Stati Uniti, sia per la struttura delle frasi, sia per il lessico, sia per la scarsa padronanza della grammatica quando si va oltre la semplice costruzione soggetto-verbo-complemento […] Questo tipo di linguaggio, questa narrazione, funziona: fa presa su quella parte del Paese che non vive nelle grandi città, ma nella provincia profonda, la stessa con cui Trump ha vinto e che oggi rappresenta una minaccia per la democrazia mondiale”.

Le parole di Carofiglio descrivono con efficacia la strategia comunicativa di Trump, che ha compreso come, nell’attuale fase della politicamediatizzata”, la capacità di catturare l’attenzione sia più importante della qualità del discorso.

Come spiegano Sara Bentivegna e Rossella Rega in La politica dell’inciviltà (2022), l’inciviltà è diventata una risorsa strategica per costruire il consenso. Trump ne ha fatto uno strumento fondamentale della sua retorica, trasformando la volgarità e la provocazione in elementi chiave della sua leadership e del suo consenso. 

Dove risiede la vera minaccia per le nostre democrazie liberali nell’uso di un linguaggio così irriverente, sfrenato, indecente? Il pericolo principale è rappresentato dalla diffusione massiccia della disinformazione e dalla crescente polarizzazione del dibattito pubblico. Diventa sempre più difficile distinguere il vero dal falso, mentre a prevalere è la logica della divisione, che contrappone gli uni agli altri anziché favorire il confronto.

La scomparsa dell’effetto serendipity

Ma c’è un ulteriore rischio, forse meno evidente, ma altrettanto cruciale: la scomparsa dell’effetto serendipity nelle democrazie (Cass R. Sunstein, #republic, 2017). La possibilità di incontri non pianificati, di scambi imprevisti tra idee e visioni diverse, è la vera linfa vitale di una democrazia liberale. Se il dibattito politico si riduce a scontri frontali, senza spazi di interazione casuale, si perde la capacità di costruire ponti, di generare connessioni inaspettate e di trovare soluzioni condivise. Ed è proprio questo che vuole Trump. 

 

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