Morto Dio, come fonte di legittimità della sovranità ci era rimasta solo la maggioranza. Ma ora sembra barcollare anche quella ed è un discreto problema.
Detta altrimenti: emancipandoci dall’idea che il potere abbia un aggancio metafisico, abbiamo felicemente sostituito il diritto divino con il suffragio universale e con il diritto a governare della maggioranza; adesso però ci chiediamo se quella maggioranza sia sempre fonte di legittimità oppure, a volte, no. Ad esempio, secondo alcuni potrebbe non esserlo quando il processo di creazione del consenso (quindi della maggioranza) è inquinato da campagne mediatiche attuate attraverso meccanismi che erano sconosciuti ai padri della democrazia: bot, falsi account, big data, psicometria, intelligenza artificiale, algoritmi di enfatizzazione e rimbalzo di messaggi e news più o meno fake ma comunque in grado di influenzare gli elettori – quindi di “manipolare” gli esiti elettorali.
La Manipolazione Mediatica: quando il consenso diventa controllo
La questione di fondo non è nuova: la creazione mediatica del consenso avviene da quando esistono le democrazie e i media, che peraltro sono più o meno coetanei. Noam Chomsky e Edward Herman ci hanno scritto un monumentale saggio nel 1988, altri ne sono seguiti e per quanto riguarda l’uso delle cosiddette nuove tecnologie il caso pioniere (quello di Cambridge Analytica e della sua possibile influenza sulle elezioni americane) è di quasi dieci anni fa.
Ma mai si era arrivati all’annullamento di un’elezione presidenziale per “manipolazioni mediatiche” come accaduto in Romania a inizio dicembre, tra stupore e contestazioni. Il caso Bucarest è dunque epocale – tra l’altro, in un paese dell’Unione europea.
Da un lato non bisogna farsi prendere dal panico, proprio perché la battaglia è antica, mai del tutto vinta e mai del tutto persa: la democrazia “compiuta” non esiste, è un modello verso cui tendere infinitamente, a cui talora ci si avvicina e da cui talora ci si allontana. Oggi è cambiato però il campo in cui si svolge, cioè quello degli algoritmi, come fino a pochi decenni fa era quello delle tv.
L’Arma Letale della Democrazia
A proposito: un piccolo esempio storico di questo conflitto lo abbiamo avuto anche qui in Italia, quando nel 1994 Silvio Berlusconi fece un uso persuasivo del suo impero mediatico per creare da zero un partito e portarlo al trenta per cento dei consensi in pochi mesi. All’epoca tuttavia nessuno mise in dubbio la legittimità del voto, mentre se si arriva ad annullare un turno elettorale vuol dire che forse siamo un passo oltre: quello in cui una Corte costituzionale ritiene che ci sia stata una tale “manipolazione” da togliere legittimità al risultato delle urne.
E qui esplode il primo problema: chi ha diritto a decidere se le campagne mediatiche sono state “manipolatorie” al punto da negare la legittimità della maggioranza?
Certo, le Corti costituzionali sembrano gli organi più imparziali possibili, ma sono anch’esse di nomina politica e qualche dubbio di coscienza viene se si pensa che nel caso romeno nove persone hanno deciso che “non vale” la scelta di milioni di cittadini. Tra l’altro, anche qui – cioè nella ricerca di un organo super partes quasi “ontologico” – abbiamo dei precedenti non eccelsi proprio nell’informazione: la ricerca di commissioni, autorità e osservatòri che stabiliscano che cosa è fake news e cosa non lo è va avanti da quasi dieci anni con autorevolezze molto dubbie, tanto che alla fine – nel reale – contano solo le policy private dei social network e dei loro proprietari.
Accanto alla scivolosa questione dell’organo preposto a valutare se vi è stata o no “manipolazione” nel creare consenso, c’è anche una domanda più a monte – e perfino più importante: quali sono le regole per stabilire se una campagna mediatica è stata “manipolatoria” o meno?
Di nuovo, in Italia abbiamo un piccolo precedente, cioè la legge sulla par condicio del 2000. Sarebbe ipocrita dire che sia stata un successo (è un guazzabuglio un po’ bizantino, oltre che ampiamente aggirato) ma almeno è stato un primo tentativo di far concorrere i partiti con armi un po’ meno impari. Fuori dai nostri piccoli confini le cose non sempre vanno meglio e sarebbe da ciechi non vedere quanto le elezioni statunitensi siano sempre più finanziate da grandi sponsor – nell’ultimo turno anche dal proprietario di un social network che le regole le ha proprio in uggia.
L’Illusione della Democrazia: il Ruolo Cruciale dell’Istruzione
Ad ogni modo, alcuni criteri di base in realtà ci sarebbero, per quanto difficili. Il primo è quello della trasparenza: perché una campagna occulta – cioè senza che si sappia da chi è prodotta e con quali fini – è per sua implicita ammissione illecita. La trasparenza però non può riguardare solo il committente e i suoi fini ma tutte le sue pratiche – si pensi semplicemente alle immagini create con l’Ai senza che l’utente lo sappia.
Poi c’è la gigantesca questione della provenienza dei soldi e dei tetti ai finanziamenti: questi erano strumenti voraci di consenso già ai tempi dei poster sulle strade, figuriamoci nell’epoca dei bot e degli algoritmi, che spesso costano più degli spot in tv. Ancora: l’uso stesso di bot, falsi account, troll, sockpuppet, tecniche di astroturfing e di bandwagoning oggi rientrano di fatto solo nelle giurisdizioni private dei social, non in quelle pubbliche delle democrazie. I social sono diventati dei sovra-Stati proprietari con miliardi di cittadini-sudditi, con leggi proprie e qualche dittatore: il filosofo americano Peter Ludlow pose la questione già una quindicina d’anni fa ed è rimasto inascoltato (anzi: oggi si arriva a delegare gli stessi proprietari dei social all’azione di prebunking, cioè in sostanza di diventare i guardiani preventivi della verità).
Poi, ovviamente, ci sarebbe l’arma letale, quella che può salvare qualsiasi democrazia e legittimare qualsiasi maggioranza. Cioè l’istruzione, la conoscenza, la cultura, la storia, la coscienza civile, l’educazione al tessuto sociale e non all’atomizzazione individualista – il tutto in una scuola obbligatoria almeno fino alla maggiore età, che fornisca robusti strumenti di cittadinanza anziché alternanze con il lavoro finalizzate alla produzione. Ma qui entriamo nel campo dell’utopia, in un contesto globale di “brain rot” nel quale la semplificazione estrema è diventata un valore e ogni tentativo di ragionamento viene gabellato per “supercazzola”.
Un processo di dealfabetizzazione talmente impetuoso da autorizzare il sospetto che non venga fermato proprio allo scopo di svuotare la democrazia.