Articoli e inchieste

Craxi vs Berlinguer:
l’etica del benessere contro l’austerità comunista

Tra le due facce della sinistra, fu la prima ad avere la meglio. Appunti per capire la crisi di oggi

 


Tempo di lettura: minuti

La cesura degli anni Ottanta in politica e nella società 

Se si vogliono analizzare le motivazioni che portano lentamente all’ampliarsi delle difficoltà della sinistra fino ai nostri giorni, bisogna riflettere sul lungo periodo. Senza operare una cesura meccanica o ipotizzare che tutto il male inizi da lì, è certo però che non si può che partire dagli anni Ottanta, uno snodo molto più complesso rispetto alla banalizzazione della dicotomia impegno/disimpegno o collettivo/individuale che ha indotto a giustificare il rifugio nel privato dopo il ripiegarsi della spinta del movimentismo e gli effetti della stasi economica e sociale del decennio precedente. In realtà il decennio è molto più problematico rispetto a tali semplificazioni, ma è evidente che l’affievolirsi della fede e della fiducia nelle ideologie e del senso di militanza e adesione partitica ha influenzato in maniera determinante anche le culture politiche di massa, compresa la sinistra, che si trovano ad affrontare il cambiamento del rapporto fra soggetti sociali e politica e del modo di intendere e praticare l’attivismo politico.

L’irruzione della cultura del consumo 

In tutta Europa, la pesante recessione degli anni Settanta che costituisce uno spartiacque profondo pur nelle specificità geografiche e territoriali, viene affrontata dai partiti progressisti con visioni e modelli che in molti casi non riescono a centrare le risposte al crescente malessere sociale. L’irruzione della cultura del consumo, resa centrale dalla diffusione della televisione di massa e dalla presenza pervasiva della pubblicità, sorprende una parte di sinistra – incarnata nel suo partito più corposo, ovvero il Pci –, ancorata alla struttura ideologica della divisione delle classi e dell’abbattimento del capitalismo per interpretare la realtà. I consumi che determinano invece profili inediti di identità singole e collettive richiedono nuovi strumenti di codificazione, introducendo sulla scena pubblica parole e bisogni estranei, o perlomeno marginali, alla tradizione progressista: benessere, piaceri, felicità, desideri. I temi che riguardano la sfera privata e personale conquistano con velocità la scena pubblica e finiscono per mettere in secondo piano certezze e programmi, lasciando spazio a modelli e comportamenti che cercano nuove forme di rappresentazione, dentro e fuori l’ambito politico.

In gran parte delle società industrializzate, si assiste all’affermazione del discorso neoliberista che non solo segna l’arretramento di tutti i partiti di sinistra europei, ma contraddistingue lo sviluppo di una società composta da consumatori prima che cittadini, animati e spesso omologati sulla frenesia dell’acquisto come status symbol, sulla fiducia illimitata nelle libere professioni, sull’illusione nei guadagni facili degli investimenti in Borsa o nella finanza. Di fronte a questo trionfo di una cultura individualista e arrivista, finalizzata all’arricchimento personale e al riconoscimento sociale, quel tipo di sinistra tradizionale utilizza lo strumento della pura demonizzazione, rimanendo spesso estranea al processo di elaborazione e comprensione delle trasformazioni in corso. Molti dei paesi occidentali, che assistono a questa corsa all’individualismo competitivo vedono i partiti, a partire proprio dal fronte della sinistra, misurarsi con la “concezione estetizzante del vivere sociale” rispetto alla quale non possiedono le chiavi di lettura adeguate.

L’etica del benessere di Bettino Craxi 

In Italia, si gioca qui la dicotomia profonda fra il Partito socialista guidato da Bettino Craxi che, anche da posizioni di governo, cavalca e fa propria l’etica dell’opulenza e del benessere, contro la politica della sobrietà e dell’austerità teorizzata da Enrico Berlinguer per il Pci. Una divergenza di visioni che allarga la rottura a sinistra che da tempo attraversa la storia politica italiana, ma al contempo evidenzia le distanze fra comunisti e socialisti nel recepire i tratti, anche deleteri, della modernizzazione forzata.

I socialisti investono su un linguaggio politico efficace finalizzato a propagandare l’immagine di un partito moderno, dinamico, attivo, in grado di intercettare adesioni in quell’area composita dove convive il ceto medio con gruppi di interesse distaccati da un’affezione ai partiti classici.

Una spettacolarizzazione della politica che si fonda sul ruolo portante del leader che diventa il protagonista principale della scena e si fa interprete di una stagione che fa leva su parole chiave quali “rinnovamento”, “certezze”, “fiducia”, ribadite in contesti che perdono l’aura della vecchia liturgia politica per acquisire il significato di luoghi moderni e accattivanti, compresi i congressi che diventano arene spettacolarizzate con monitor, ragazze immagine, coreografie ad effetto. Ricoprono un interesse sempre maggiore gli interessi privati, la vita familiare, i passatempi e le passioni dei leader (i cimeli di Garibaldi di Craxi, i balli del ministro Gianni De Michelis), accompagnati dalla convinzione che quello stile di vita rappresenti il sentimento collettivo dell’Italia rampante e vincente.

Il Pci: austerità come scelta etica

A contrapporsi a tale modello, per vocazione storica unita al ruolo di opposizione, è l’altra faccia della sinistra, ovvero il Partito comunista italiano, uno dei più rappresentativi d’Europa in termini di consenso e radicamento sul territorio. In questo periodo, la politica del segretario Enrico Berlinguer funge da punto di riferimento solido in un mondo alla ricerca di stabilizzazione, ma proprio la morte improvvisa del dirigente nel giugno1984, durante un comizio a Padova, innesca un processo di lento declino che si va poi a complicare con la caduta del muro di Berlino e la dissoluzione dell’impero sovietico.

Per contrastare gli effetti di una crisi economica e sociale sempre più preoccupante, Berlinguer insiste sulla necessità di intraprendere la strada della sobrietà e della misura come occasione per trasformare l’Italia e per opporsi a un sistema, e quindi a uno stile di vita, i cui caratteri distintivi erano “lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato”. Il leader sardo individua alcuni caratteri nocivi della nuova società e vuole contrapporre ad essi i valori di una tradizione comunista ancora più rafforzata. Austerità diventa la parola chiave per un’etica comunista che sappia connotare una comunità capace di “andare oltre l’appagamento di esigenze materiali artificiosamente indotte, e anche oltre il loro soddisfacimento, negli attuali modi irrazionali, costosi, alienanti e, per giunta, socialmente discriminatori”. Non si tratta di una ricetta per tentare di risolvere solamente i problemi economici e le insoddisfazioni sociali, ma di un vero capovolgimento di prospettiva. Di qui l’insistenza sulla necessità di una “moralità nuova” che deve contraddistinguere i comunisti nella società contemporanea contro il modello edonista imperante al quale ribattere valori forti atti a sopravvivere in una società malata.

L’austerità è per i comunisti lotta effettiva contro il dato esistente, contro l’andamento spontaneo delle cose, ed è, al tempo stesso, premessa, condizione materiale per avviare il cambiamento. Così concepita l’austerità diventa arma di lotta moderna e aggiornata sia contro i difensori dell’ordine economico e sociale esistente, sia contro coloro che la considerano come l’unica sistemazione possibile di una società destinata organicamente a rimanere arretrata, sottosviluppata e, per giunta, sempre più squilibrata, sempre più carica di ingiustizie, di contraddizioni, di disuguaglianze.

Quando espone tali principi, Berlinguer non si rivolge semplicemente ai propri elettori o militanti, bensì teorizza un progetto di comunità e di società del quale il Pci si fa interprete e garante, anche all’interno di una politica non sempre condivisa.

Da qui discende il richiamo alla sobrietà comunista impostata su un senso di responsabilità che deve anteporre l’interesse del partito e dei cittadini a qualsiasi desiderio di soddisfazione personale e individuale. Una posizione intransigente che interessa i comportamenti pubblici e privati, perseguendo quel tipo di rigore che connota la cosiddetta diversità comunista.

Un modello che non convince l’Italia 

Il modello berlingueriano che rinforza principi da sempre perseguiti dal partito e ora ancora più urgenti di fronte al rampatismo incipiente, si rivela però stridente rispetto agli umori di un paese che stava cambiando pelle e di un elettorato che non riconosceva più l’universo dei valori tradizionali per vivere dentro una società diversa da quella del passato, anche prossimo.

Il ritorno di una nuova spinta neoliberale che amplifica l’individualismo e celebra la supremazia del privato sul pubblico, mette in discussione le “basi dell’egemonia culturale social-comunista”, con la richiesta di nuovi mezzi e strumenti per entrare in contatto con una società in fase di metamorfosi. Su questo terreno la sinistra rappresentata dal Pci perde certezze e consensi, percepita come una forza arretrata e ancorata a un sistema di riferimenti e ideali distanti dalla lettura della realtà presente.

Mentre il Psi cavalca l’onda della modernizzazione, anche a scapito dell’ampliarsi del debito pubblico, i comunisti vengono identificati come il prodotto di un passato che non cede il passo ai ritmi imposti dal rinnovamento di mentalità e costumi.

In questa battaglia fra i valori della società comunista e quelli della società del benessere, il Pci e gli eredi di quella tradizione negli anni Novanta non hanno saputo creare un nuovo sistema di codici comuni e di azioni condivise, continuando ad alternare fragili tentativi di apertura dentro una struttura di apparato però ancora troppo rigida e difficilmente permeabile, soprattutto in direzione della reale comprensione di alcuni settori come i consumi, la vita di relazione, il senso e i luoghi di aggregazione e socializzazione. Un’ambivalenza che non favorisce proposte e risposte convincenti, con una netta scelta di campo sul terreno dei diritti e dei bisogni, lasciando ad altri lo spazio di manovra e, di conseguenza, ampliando le cause della crisi interna.

_____________

Articolo tratto da

Leggi la Newsletter 

La Fondazione ti consiglia

Restiamo in contatto