La necessità di riformare la legge sulla cittadinanza nasce dalla constatazione della sua inadeguatezza rispetto alle esigenze del nostro Paese e della ingiustizia che produce nei confronti delle persone straniere maggiorenni che risiedono legalmente in Italia ma hanno origini da paesi non appartenenti alla Unione europea. I non comunitari, infatti, pur rispettando gli stessi obblighi degli europei, devono attendere almeno il doppio degli anni, 10 e altri 3 per la pratica amministrativa, prima di poter inoltrare la richiesta. Un periodo che nella realtà spesso si allunga a causa del sopraggiungere di impedimenti anche minimi come un documento scaduto, la mancata ricezione di versamenti contributivi, la perdita temporanea del lavoro, fino a divenire anche di 20 anni o più.
Basta osservare il presente
Tempi così lunghi sono un danno per il nostro Paese perché scoraggiano e allontanano proprio chi agisce da “cittadino esemplare” per aderire ai requisiti necessari alla domanda, che prevedono l’obbligo di avere per tutto il periodo di residenza in Italia un contratto di lavoro regolare, un reddito adeguato, un eventuale contratto di affitto regolare, non aver commesso reati, conoscere l’italiano e pagare regolarmente le tasse.
È una legge inadatta a un Paese profondamente cambiato: basta osservare le aule scolastiche, popolate da tantissimi alunne e alunni nati in Italia da genitori stranieri, o arrivati a pochi mesi nel nostro Paese, per comprendere che è dannoso costringerli ad attendere i 18 anni per poter avanzare la richiesta e lasciarli crescere senza purtroppo gli stessi diritti dei loro coetanei. E non solo per le limitazioni pratiche come l’impossibilità di partecipare alle gite scolastiche o a progetti di studio all’estero ma soprattutto per il senso di esclusione e di rifiuto da parte di un Paese, spesso l’unico che conoscono, che si comunica loro.
L’importanza della piattaforma digitale
Nell’agosto 2024, abbiamo deciso di ricorrere allo strumento referendario e portare all’attenzione del Paese una riforma che il Parlamento nei 33 anni precedenti non ha voluto affrontare nonostante le numerose promesse di cambiamento. Il quesito referendario è molto semplice ed affronta la questione cruciale dei tempi, chiede infatti se si è d’accordo a ridurre da 10 a 5 anni il tempo di residenza legale necessaria per avanzare la domanda di cittadinanza per i maggiorenni di origine straniera non comunitaria che già vivono nel nostro Paese. Abbiamo utilizzato la prima occasione favorevole, rappresentata dalla possibilità di usare la piattaforma digitale per la raccolta firme, appena istituita dopo una lunga battaglia proprio grazie a un nostro emendamento. La piattaforma ci ha permesso di superare l’ostacolo principale rappresentato sino ad allora dal notevolissimo impegno economico per l’autenticazione delle 500 mila firme necessarie.
Inoltre, siamo stati incoraggiati dalla percezione che, sulla scia dell’oro conquistato alle Olimpiadi dalla nazionale di volley femminile, trainata da giocatrici simbolo come Paola Egonu e Myriam Sylla, e le medaglie ai tanti atleti italiani di origine straniera, si fosse aperta nell’opinione pubblica la consapevolezza che il Paese era cambiato, in positivo.
637 mila firma in tre settimane
Sin dall’inizio abbiamo cercato di coinvolgere le forze politiche progressiste senza trovare grandi risposte, che invece sono arrivate dalle tantissime ragazze e ragazzi delle associazioni di italiani senza cittadinanza, che hanno accolto con entusiasmo la possibilità di far sentire finalmente la loro voce, e dalle tante associazioni del terzo settore, laiche e cattoliche, oggi diventate 170. La velocità con cui sono arrivate le firme necessarie, 637 mila in sole tre settimane, ci ha confermato che le valutazioni non erano infondate.
Purtroppo, nella storia del referendum c’è una costante, il riflesso dei governi che, sentendosi in difetto per non aver saputo o voluto cogliere l’istanza che viene dalla società civile, reagiscono tentando di silenziare il dibattito o invitando a disertare le urne, e in questo momento stiamo vivendo purtroppo entrambe le dinamiche. Poiché la votazione è valida solo se si reca a votare la metà degli aventi diritto al voto più uno, il famoso quorum, al di là della bontà del merito il nemico principale di ogni referendum è proprio la mancanza di informazione. Il servizio pubblico radiotelevisivo è ostaggio di un regolamento che non consente di tenere confronti o dibattiti tra le parti coinvolte quando il contraddittorio non si rende disponibile a partecipare e questo di fatto lede il diritto dei cittadini ad essere informati per poter scegliere. Per questo la sfida referendaria dell’8-9 giugno sulla cittadinanza è così difficile eppure così carica di significato e di valore democratico.