8 maggio 1945: La liberazione non è per tutti


Articolo tratto dal N. 27 di

Aprile libera tutti

Il doppio volto dell’8 maggio 1945

Un esempio rivelatore dell’urgenza di porre la questione delle memorie postcoloniali è costituito dalla data dell’8 maggio 1945. Il giorno della capitolazione della Germania nazista esultano anche gli algerini: solo nel Corpo di spedizione francese in Italia, gli algerini rappresentavano infatti circa il 60% degli effettivi.
Quel giorno, in Algeria, nelle manifestazioni di Sétif e Guelma, poi a Kherrata, all’est, nel dipartimento di Constantine, le masse che scendono in piazza portano con sé per la prima volta le bandiere del movimento nazionalista algerino: la mezzaluna e la stella rossa su fondo bianco e verde.
Non si è forse combattuto assieme, “europei” e “musulmani” (per usare i termini dell’epoca), in nome dell’eguaglianza, della libertà, della fratellanza? E soprattutto, non si è forse combattuto insieme – e si è morti – per liberare la Francia e l’Europa dal giogo dell’occupante nazifascista?
Ma quell’8 maggio la polizia francese interviene per confiscare la bandiera algerina comparsa in testa al corteo e nella confusione spara uccidendo due manifestanti. La rivolta scoppia come una fiammata. Il bilancio è pesante: ci sono 102 vittime “europee”.
La repressione francese – immediata – durerà settimane e sarà spietata: 15 mila, forse 20 mila i morti algerini. Rimarrà celebre la dichiarazione del generale Duval: «Vi do la pace per dieci anni: fatene buon uso» (la guerra d’indipendenza verrà effettivamente dichiarata dal Fronte di liberazione il 1° novembre 1954) 1

La bandiera algerina sventolata da Bouzid Saâl l'8 maggio 1945 a Sétif.
La bandiera algerina sventolata da Bouzid Saâl l’8 maggio 1945 a Sétif.

L’importanza di affrontare la questione delle memorie postcoloniali

Il significato duplice, o meglio diametralmente opposto, di questa data, 8 maggio 1945 – libertà per gli uni, oppressione per gli altri – indica inequivocabilmente l’urgenza di affrontare la questione delle memorie postcoloniali (trascuro qui il terzo significato che la data rappresenta per i paesi dell’Europa orientale ritrovatisi alla fine della guerra nel girone sovietico).
In questo senso, come ha scritto Sandro Mezzadra, diventa decisivo proprio il significato del “post” in postcoloniale: il tempo postcoloniale è infatti «quello in cui, contemporaneamente, l’esperienza coloniale appare consegnata al passato e, proprio per le modalità con cui il suo “superamento” si è realizzato, si installa al centro dell’esperienza sociale contemporanea» 2 .
Il violento rifiuto di una qualsiasi prospettiva “postcoloniale” (perché ritenuta infondata scientificamente e pericolosa politicamente) mostra con chiarezza il cul de sac in cui si rinchiude una certa concezione del «repubblicanesimo» francese così come del preteso universalismo delle politiche memoriali europee.
Una postura in fin dei conti difensiva e che lascia soprattutto inevase le questioni di fondo: è possibile una narrazione polifonica capace di tenere insieme i diversi significati dell’8 maggio 1945?
Detto in altri termini: è possibile una storiografia che sappia affrontare e dar conto della complessità e contraddittorietà del mondo in cui viviamo?
Il rischio, altrimenti, è di restare impigliati in una vera e propria «impasse intellettuale», come ha notato Pieter Lagrou relativamente alle memorie europee, nel senso che «l’assioma della singolarità nazionale è il più grosso ostacolo all’emergere di uno spazio comune di dibattito e ad un linguaggio comune sulle esperienze passate» 3 .

Memoria è capire quel che abbiamo davanti

Lo storico francese Pierre Nora è stato forse uno degli ultimi guardiani “illuminati” della «religione civile repubblicana» fondata sul legame tra «Lumières, ragione, democrazia e educazione» a cui resta d’altronde visceralmente attaccato 4 .
Ha dedicato una vita di ricerche all’identità storica della Francia. E non manca certo di riconoscere il “doppio discorso” caratteristico dell’universalismo repubblicano, ma evita di coglierne le conseguenze e insieme la sfida intellettuale, storiografica, politica: «la memoria coloniale – scrive infatti – è quella che va più lontano nella denuncia di una tradizione repubblicana in cui libertà, eguaglianza e fraternità si sono tradotte in schiavitù, oppressione e razzismo. E che porta dritto a bruciare la bandiera tricolore e a oltraggiare La Marsigliese» 5 .
Nora – e con lui schiere di superciliosi guardiani dell’identità e delle radici (nazionali, europee, cristiane, occidentali…) – non ci aiutano però a capire conflitti e contraddizioni che caratterizzano il presente dove, come scriveva Edward Said, «nessuno è soltanto questo o quello. Indiano, donna, musulmano, americano: etichette che non sono altro che punti di partenza. Se ci accostassimo anche solo per un istante alle persone nella loro vita reale – concludeva l’intellettuale palestinese –, ogni etichetta risulterebbe immediatamente fuori corso. L’imperialismo ha agglomerato su scala planetaria infinite culture e identità» 6 .
È proprio di questo processo di agglomerazione planetaria che una politica della memoria all’altezza dei tempi dovrebbe raccogliere la sfida. Altrimenti, anche lo sterminio degli ebrei d’Europa e la promessa di non dimenticarlo (Zakhor) così come la memoria della lotta antifascista rischiano di trasformarsi nel loro contrario, e cioè in vuota retorica. «Memoria», diceva Franco Fortini, «è capire quel che abbiamo davanti» 7 .

1 Vedi J.-P. Peyroulou, Guelma 1945. Une subversion française dans l’Algérie coloniale, Paris, La Découverte, 2009.
2 S. Mezzadra, La condizione postcoloniale. Storia e politica del presente globale, Verona, ombre corte, 2008, p. 25.
3 P. Lagrou, L’Europa come luogo di memoria comune?, in F. Focardi, B. Groppo (a cura di), L’Europa e le sue memorie. Politiche del ricordo dopo il 1989, Roma, Viella, p. 268
4 P. Nora, De l’héritage à la métamorphose, in Id., Recherches de la France, Paris, Gallimard, 2013, p. 552. Vedi F. Dosse, Pierre Nora: homo historicus, Paris, Perrin, 2011.
5 P. Nora, De l’héritage à la métamorphose, cit. Si tratta di un articolo scritto per «Le Débat» (2010) che si conclude con un paragrafo significativamente intitolato L’histoire menacée.
6 E.W. Said, Culture et impérialisme, Paris, Fayard, 2000 [London, 1993], p. 464.
7 «il manifesto», 24 dicembre 1985.

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