La contaminazione invisibile
Da sempre, i disastri ambientali causati da un capitalismo predatorio e distruttivo sono stati resi possibili da politici asserviti e scienziati compiacenti. Forze abili nel pianificare e costruire ignoranza collettiva, così da proteggere le aziende da azioni giudiziarie e conferire legittimità morale a pratiche deleterie. Certamente, la consapevolezza dei problemi ambientali è cresciuta. Tuttavia, la debolezza delle norme vigenti fa sì che danni e reati spesso non ricevano un’attenzione commisurata alla loro gravità.
In questo scenario, le comunità locali possono svolgere un ruolo importante. Soprattutto quando tali disastri hanno un andamento lento e progressivo nel tempo, sottraendosi a un’immediata e chiara visibilità. Come è il caso di una contaminazione ambientale. Sulla base dell’esperienza maturata sul campo nel Veneto segnato da un grave inquinamento da PFAS, ritengo che due siano le vie principali da seguire: documentare facendo vedere; generare conoscenza e cambiamento.

Iniziamo dalla prima: documentare
Ora, è evidente la disparità di competenze tra professionisti del settore e membri della comunità. Non è infrequente che i primi siano investiti di credibilità sociale, a svantaggio dei secondi. E un modo per esercitare violenza contro queste comunità è ledere la loro propensione a prendere la parola. Inoltre, la centralità culturale della vittima è accompagnata da diffidenza. Dietro l’angolo, il sospetto che convenga “fare la vittima”. Perché sembrerebbe l’abito sociale che meglio veste la richiesta di riconoscimento di presunti torti subiti. E lo spettacolo del dolore è ormai diventato uno slogan abusato da coloro che mal vedono il protagonismo di chi, storicamente, era semplice “oggetto di discorso” e mai “soggetto di discorso”. Contro il sapere di coloro che si autodefiniscono esperti e che si nutrono di asettiche statistiche, a fronte di un danno ambientale di difficile percezione e di cui non è semplice farsene una rappresentazione, serve intraprendere azioni che sappiano indurre visibilità.
Il caso delle Mamme No PFAS venete
Si mostrano agli occhi della collettività indossando una t-shirt bianca con la scritta del nome del figlio e della figlia e i relativi valori di PFAS nel sangue. Se le pietre d’inciampo sparse nelle città puntano a far incespicare il passante distratto per richiamarlo al ricordo del dramma della Shoah, così le magliette (indossate e esibite ovunque) con i numeri dell’avvelenamento, attraverso un’azione oculare, cercano di attirare attenzione, chiedendo al partecipante di soffermarsi e pensare al dramma della contaminazione ambientale. Sono quindi immagini in grado di mostrare e raccontare allo stesso tempo. Facendosi veicolo per comunicare o condividere realtà altrimenti non esperibili.

La seconda direttrice d’azione: generare cambiamento
Rispetto all’epidemiologia ufficiale, incorporata nelle istituzioni sanitarie e governative, possono nascere associazioni di cittadine e cittadini che sfidano la conoscenza ufficiale, spostando il baricentro dell’indagine scientifica e riorientando l’attenzione sociopolitica. Creando dal basso forum su Internet e gruppi di incontro e sostegno. Smarcandosi dalle condizioni di eterni sudditi e spensierati consumatori, la loro azione è quella di reclamare spazi di auto-governo. In particolare, tali aggregazioni generano una capacità epistemica volta ad acquisire, mantenere, adattare e accrescere la conoscenza necessaria per gestire le problematiche relative all’ambiente di vita. Mentre le agenzie sanitarie possono ritenere, statistiche alla mano, non necessario o conveniente promuovere un’indagine approfondita, i locali hanno motivazioni più stringenti. Così, incominciano a leggere, chiedono in giro, sentono e si avvalgono di studiosi indipendenti, condividono le informazioni, sollecitano i mass media, organizzano eventi, creano una prospettiva comune in grado di incalzare amministratori e organi competenti, impegnandoli in contenziosi e pubblici confronti. Sempre nel Veneto della contaminazione da PFAS, una simile azione ha contribuito all’attuazione di un sistema di biomonitoraggio per la popolazione più esposta e all’emanazione di una legge regionale che limita queste sostanze tossiche.

Prendere posizione contro i disastri ambientali
Di fronte a disastri ambientali human-made avvolti da una cortina di deliberata ignoranza, serve un posizionamento collettivo. Il sapere locale e le voci di comunità, quando riescono a entrare nel discorso pubblico, abbassano la soglia di tolleranza nei confronti di simili devastazioni. Certamente, non è infrequente che la giustizia penale, i rituali di commemorazione, i processi di denuncia e altre iniziative sociali prestino il fianco a distorsioni e manipolazioni. Dovendo pure fare i conti con eventuali insuccessi. Tuttavia, è anche grazie a queste azioni che si favorisce una conoscenza liberata dalla negazione e dall’ignoranza. Creando occasioni di lotta per portare nell’arena pubblica danni che molti non vedono e che altri vorrebbero non fossero visti.