Il prezzo dell’università low cost del governo Meloni


Articolo tratto dal N. 29 di Attacco al sapere Immagine copertina della newsletter

L’università per come l’abbiamo conosciuta in Italia rischia di sparire. Al culmine di un processo avviato nel 1989 dalla Riforma Ruberti, le politiche del Governo Meloni segnano un punto di non ritorno. In primis, nuovi e pesantissimi tagli: 500 milioni nel 2024 – i più gravi, ricostruisce su Articolo33 Claudio Musicò della FLC-CGIL, nella storia del Fondo di Finanziamento Ordinario delle università, maggiori di quelli targati Gelmini (2008-10) – altri 700 milioni nel 2025-27.

I tagli colpiscono le università

Con metà degli atenei a rischio dissesto, la governance cerca sostanzialmente di scaricare i costi dei tagli sui più deboli. Per primo, chi lavora nei servizi esternalizzati – biblioteche, pulizia, mense, segreterie, portierati. Queste lavoratrici e lavoratori, infatti, spesso non sono più dipendenti delle università, ma costo per “beni e servizi”, che si può tagliare riducendo gli orari dell’appalto: migliaia di posti di lavoro a rischio di cui è impossibile tener traccia. Appena più facile quantificare il precariato della ricerca (ci ha provato da ultimo ROARS): circa 40 mila a fine 2024 (il 44% del totale), a cui sommare migliaia di borse e docenze a contratto, e 47mila PhD. Numeri comparabili all’intera filiera italiana di Stellantis.

Il precariato della ricerca

Migliaia di lavoratrici e lavoratori a rischio espulsione, a cui la “Riforma del preruolo” (DDL 1240) offre un’alternativa indecente: accontentarsi di borse di studio senza ferie, malattie, maternità né IRPEF – con conseguente esclusione da bonus come quello di maternità, e detrazioni di spese mediche o scolastiche.
Un’assurdità cui l’Unione Europea chiede da anni di porre fine, inquadrando ricercatrici e ricercatori per quello che sono: lavoro dipendente. Oltre che adulti iperqualificati – altro che “ragazzi”! Per questo, nel 2022 il DDL “Verducci” sostituì il vecchio Assegno di ricerca con il Contratto di Ricerca. Una posizione biennale senza sbocco, ma un vero contratto di lavoro.
Nonostante il maggior costo del Contratto rispetto all’Assegno, il Governo Draghi non stanziò però maggiori fondi, e permise anzi di continuare a bandire Assegni con i fondi PNRR – di cui il DDL Verducci era legge attuativa.
Al termine di questa “bolla”, una commissione presieduta dall’ex Presidente della Conferenza dei Rettori, Ferruccio Resta, ha concepito il DDL Bernini, che al Contratto aggiunge ben quattro figure: Contratto Post-Doc (annuale), Professore Aggiunto (nominato per 3 anni senza concorso né limiti di retribuzione), e gli Assistenti alla ricerca (junior e senior), riesumazione degli Assegni che si dovevano superare. Almeno quattro figure – contratti e assistenti – sono pensate non per mansioni diverse, ma per adattare tutele e salario alle minori disponibilità degli atenei.

La competizione delle telematiche e le altre riforme in arrivo

In tutto questo, gli atenei fronteggiano l’inedita competizione delle telematiche – “salvate” dal Governo con il “Decreto Bandecchi”, che permette loro di eludere i criteri minimi imposti alle “concorrenti” – in primis il rapporto docenti-studenti, che nelle telematiche è di oltre 300 a 1. Risparmiando sulla docenza, queste università (dal 2019 società di capitali for profit) offrono un’alternativa scadente ma a basso costo, considerando gli affitti fuori controllo delle città universitarie e l’assenza di borse e studentati: con già il 14% degli iscritti totali, le telematiche si candidano a sostituire del tutto gli atenei pubblici, soprattutto al Sud e nelle aree interne.

Una mobilitazione per un università più libera

A fronte di questi attacchi, dall’autunno scorso, come ho ricostruito sul sito di Jacobin Italia, sono nate in tutta Italia Assemblee precarie universitarie – gruppi di precarie e precari della ricerca che rifiutano il ricatto tra diritti e lavoro.
Dopo mesi di mobilitazione negli atenei, a febbraio un’enorme assemblea nazionale a Bologna ha lanciato un Manifesto delle lavoratrici e dei lavoratori precari dell’Università. Assieme a diverse sigle sindacali, ma anche alle associazioni studentesche, di dottorandi e della docenza che si stanno mobilitando contro tagli e riforma, dopo le proteste in decine di università nella “Giornata dell’Università” del 20 marzo, è in preparazione uno Sciopero del precariato universitario il 12 maggio. Per dire no al DDL Bernini, e rilanciare una mobilitazione più ampia, per un’università veramente pubblica e ben finanziata.
Una battaglia che non può riguardare solo chi ci lavora, ma chiunque nutra ancora speranze di un’Italia diversa da quella fatta di lavoro precario e bassi salari a cui ci rassegniamo da trent’anni. Per immaginarla e dargli gambe, abbiamo bisogno di un’altra università, libera dalla precarietà.

Se il DL Sicurezza ha lasciato cadere l’obbligo di collaborazione con i servizi segreti previsto nell’originario DDL, il clima che configura è sempre più in linea con quello discusso da Silvana Patriarca per gli USA.
Non solo: a settembre la Ministra ha nominato un secondo gruppo di studio, che da allora lavora a una riforma generale dell’ “assetto e della governance della valutazione dell’università e della ricerca” che non può non destare preoccupazione.

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