I referendum
A partire dagli anni ’70 i referendum hanno testimoniato di due dinamiche distinte che riguardavano gli enti promotori: in alcuni casi sono stati gruppi minoritari a essere coloro che avviavano la battaglia. In altri casi strutture di massa, ma non i grandi partiti politici di massa. Questi ultimi però non erano assenti. Una volta avviata la campagna, stabilita la data, i grandi partiti politici di massa entravano nell’agone del confronto. Si schieravano per il “Sì” o per il “No” perché pensavano che esserci rispondesse alla loro funzione: essere agenti dell’educazione civica del cittadino. Essere a favore del divorzio, dell’aborto, o anche mobilitarsi per il mantenimento della scala mobile o per la gestione pubblica dell’acqua rientrava in una battaglia per aiutare il cittadino a partecipare, a farsi un’idea. Insomma, un percorso di maturazione.

Il ruolo delle istituzioni
In breve, quella campagna politica in cui il «paese si spaccava in due» era concepita come un confronto che non poteva essere disertato perché ciò che era in gioco era sia quale futuro sia quale paese si voleva per affrontare quel futuro.
I partiti sceglievano di esserci, e dunque non disertare, perché pensavano che una delle loro funzioni fosse accompagnare il cittadino. Soprattutto non pensavano che la politica fosse una «rottura di scatole» o una «perdita di tempo».
Nel tempo attuale quel confronto si è trasformato radicalmente.
Chi invita a boicottare ammicca, produce satira trattando gli avversari da perdenti. La sua argomentazione è la ridicolizzazione. Nessuna proposta volta alla crescita di informazione, ma propaganda e coccolamento dell’antipolitica.
Chi invita a votare proponendo come argomento principe il contrasto al boicottaggio comunica una preoccupazione che c’è: votare è dare una risposta all’antipolitica. Richiamo, fondato e urgente. Tuttavia, da solo non aiuta a far crescere una consapevolezza: la necessità di dotarsi di una diversa idea di sviluppo o di altro programma economico (come opportunamente invita a fare Emanuele Felice nel suo Manifesto per un’altra economia e un’altra politica (Feltrinelli).

La sfida
È vero che la scelta di insistere sul tema del boicottaggio è originata dalla condizione di crisi di risorse dei partiti (su questo ha ragione Federico Fornaro nel suo Una democrazia senza popolo (Bollati Boringhieri). Ma allora il problema è come trasformare l’occasione del referendum nell’opportunità di mettere al centro della discussione un processo di crescita che contrasta le disuguaglianze crescenti.
La sfida e l’urgenza di questa azione – ovvero: come trovare parole e forme di discussione pubblica volte a far crescere la consapevolezza del cittadino o far sì che il cittadino elettore trovi luoghi, fonti, piattaforme in cui ricavare dati, informazioni – è strutturale di questo nostro tempo. Se prevarrà il «Sì» la sfida sarà aprire quella riflessione per uno sviluppo diverso. La vittoria del boicottaggio non sarà una soluzione ai problemi di fondo che ci attanagliano e ci inchiodano a un presente incerto.
Una risata non salverà nessuno: né sconfitti, né vincitori. Anzi ci consegna a una visione complottista fondata sulle fake news.